Progetto Sigrid Undset. Per una reale parità nella vita professionale
Parità nel rispetto delle differenze

A cura di Dani Noris



Dal Sigrid Undset Club l'intervento di un'altra specialista, Barbara Mapelli, consulente del CISEM (Centro Innovazione Sperimentazione Educativa Milano) esperta sulla questione della differenza dei generi e ideatrice di diversi progetti europei sulle pari opportunità.

D: Qual è la situazione delle scelte scolastiche delle ragazze, relativamente alle nuove tecnologie?
R:
Le donne, anche le giovani donne che vanno ancora a scuola, si tengoIn quasi tutti i Paesi europei, la femminilizzazione della scuola, è stato un fenomeno sociale e culturale tra i più importanti del dopo guerra. Negli anni 80 il numero delle ragazze iscritte alle scuole superiori ha superato quello dei maschi, ma questo grande fenomeno non ha di fatto inciso in modo significativo sulle scelte che ragazzi e ragazze continuano a fare rispetto ai percorsi formativi. Soprattutto le ragazze si tengono lontane da alcuni percorsi tecnici e questa loro scelta si perpetua anche all’Università e nelle scelte delle professioni successive. Questo fenomeno ha dimostrato nel tempo di avere una significatività e una profondità che è stata sottovalutata. In Francia sono state fatte, soprattutto negli anni 80, moltissime campagne anche molto dispendiose, per avviare le donne alla professione di ingegneria. Una campagna che si intitolava "L’ingénieur c’est-elle", "l’ingegnere è lei" fatta in grande stile, spostò di pochissimo le percentuali di scelta delle ragazze, dimostrando che non dipendeva dall’informazione che mancava, ma da motivi fortemente radicati nella cultura sociale e interiorizzati dalle ragazze e dalle loro famiglie.

D: Quali sono questi motivi?
R:
Negli anni ’80 mentre facevamo la scoperta di una forte segregazione formativa, che portava alla segregazione occupazionale e quindi a una non scelta di certe professioni da parte delle ragazze, si sviluppò negli Stati Uniti ma anche in Europa, la critica dell’epistemologia femminista alla scienza.
Questa critica delle epistemologhe donne, dimostrava come la scienza con la sua presunta oggettività, con il suo progresso infinito, con la sua "innocenza" rispetto agli esiti, (dopo vennero gli anni di Cernobyl) , era qualcosa di fortemente radicato nella mentalità e nella cultura maschile ed estraneo alle donne. Negli stessi anni svolgemmo in Italia una ricerca tra le ragazze di scuola sui motivi di alcune non scelte. I motivi per i quali, in alcune materie tecnico scientifiche, andavano meno bene dei loro colleghi e coetanei maschi, benché le ragazze in Italia, come dovunque, vadano generalmente meglio a scuola. In questa ricerca, scoprimmo attraverso quanto ci dicevano le ragazze, molte cose che erano vicine alla critica delle epistemologhe femministe. Da una posizione di personale inadeguatezza che ciascuna ragazza esprimeva inizialmente nella nostra intervista, come motivo della sua non scelta si passava poi ad una modalità di critica, spostando il problema da sé alla materia, dicendo: "non mi piace come viene insegnata, è troppo lontana dalla vita, bisognerebbe usare un linguaggio diverso" , una serie di critiche, anche di tipo etico, a una scienza che non si interroga sulle conseguenze di ciò che fa o non si interroga abbastanza.
Questo ci fece pensare alle radici profonde di estraneità della cultura e dell’esperienza femminile che si protraggono anche tra le giovani donne di ora, che sono certamente più colte delle generazioni passate.
Il discorso da fare rispetto ai temi tecnico scientifici, è tutt’altro che un discorso di semplice orientamento, di semplice informazione, è un discorso di cultura radicata.

D: Ma le donne possono rimanere estranee alle nuove tecnologie?
R:
Ora che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, diventano invasive della vita, del lavoro, della scuola e della formazione, il problema si ripropone.
Quando cominciarono ad affacciarsi le nuove tecnologie vi furono due posizioni totalmente opposte: da una parte le entusiaste che dicevano:"ecco, le nuove tecnologie sono una grande occasione per le donne, perché, siccome sono nuove, non sono ancora state invase dagli uomini, e partiamo finalmente su un piede di parità". Dall’altra invece c’erano le meno ottimiste, le quali dicevano: "no, c’è il pericolo che anche questa volta tutto si trasformi in uno scacco femminile". Non so chi abbia avuto ragione e quale profezia si sia avverata, probabilmente in parte tutte e due. Resta il fatto che se non vogliamo che si avveri lo scacco che prevedevano le seconde, bisogna ragionarci in sede formativa e in sede scolastica, cioè dove le ragazze e i ragazzi si formano.
Alcune ricerche svolte in alcuni Paesi europei ci dicono che già nelle scuole e in età adolescenziale o pre-adolescenziale, c’è uno scarto fra femmine e maschi. I ragazzi usano di più il computer, ci giocano e intanto si amichevolizzano con lo strumento. In casa è più facile che siano i maschi piuttosto che le ragazze ad avere un computer e , c’è una diffusa maschilizzazione di questo strumento. Così avviene anche nelle scuole.
Abbiamo fatto un dibattito, con alcune studentesse e studenti sulle nuove tecnologie nelle scuole. E’ stato un dibattito interessante, molto vivace e anche molto ironico, da parte loro. La posizione femminile era riassunta in "aiuto aiuto", la posizione maschile "vediamo cosa sta succedendo". Queste due posizioni, sono molto chiare. Le ragazze arrese, i maschi curiosi, ci mettono le mani, fanno magari anche pasticci, ma perché? Perché hanno più abitudine ad usare il computer. Giocano. Una ricerca statunitense ci dice, e non è difficile crederci perché lo possiamo verificare anche noi, che i giochi sono tutti misurati sul maschile. Sono giochi di guerra, sono giochi di competizione, sono giochi per i maschi. Le ragazze non giocano al computer anche perché non hanno dei giochi che possano in qualche modo soddisfare i loro desideri, i loro bisogni.

D: La via preferenziale è una via intelligente e fino dove?
R:
Ci sono diversi Paesi europei, che hanno fatto la scelta di incentivare l’informatica con lezioni aperte solo alle ragazze e fare dei percorsi preferenziali. Era già stato fatto nel passato, per esempio per la matematica, per colmare lo scarto.
A mio parere, questi interventi hanno un’efficacia limitata perché comunque sono sempre nella prospettiva di una sorta di rincorsa femminile al maschile. Le ragazze diventano sì più brave, ma sempre con una rincorsa in salita, dovendo sempre fare i conti con qualcosa di diverso, con qualcosa che non è stato costruito, misurato e fatto per loro. Una riflessione seria, degli interventi formativi seri, richiedono un ripensare la cultura delle nuove tecnologie, il linguaggio, le rappresentazioni, i giochi.
Alcuni esperti sostengono che le stesse icone dei computer sono delle icone discriminatorie, più facilmente riconoscibili dai maschi che dalle femmine perché sono state misurate su dei contesti cognitivi, che non sono e non appartengono all’esperienza della cultura femminile.

Credo ci debba essere un incontro reciproco tra le donne e le nuove tecnologie e non solo che le donne si adeguino a ciò che già c’è

La femminilizzazione della scuola, ha una grande importanza di tipo sociale, culturale e economico, perché sempre di più ci troveremo davanti donne più colte, più laureate e più diplomate dei maschi.
Questa grande trasformazione epocale avrà delle conseguenze nel mondo de lavoro perché legittimamente queste giovani si aspettano impieghi professionali che corrispondano ai titoli di studio, alla formazione e alle competenze ottenute nel loro percorso.
Le scuole poco e molto faticosamente hanno adeguato i loro programmi e la loro organizzazione dei saperi alla maggior presenza femminile. Ovunque la scuola si è mantenuta largamente tradizionale. Non ha impedito che le ragazze entrassero, però non ha creato delle condizioni in cui queste donne ritrovassero dei percorsi di formazione, dei saperi, un’organizzazione della scuola che potesse corrispondere ai loro bisogni.
In particolare abbiamo verificato che gli strumenti più tradizionali della scuola, che sono i libri di testo non si sono, se non di pochissimo, modificati e rappresentano ancora un mondo largamente maschile.

D: I giovani come si pongono di fronte ai cambiamenti epocali in atto?
R:
Quando mi occupo di orientamento, con ragazze e ragazzi, li faccio parlare non solo delle loro attese professionali, ma anche delle loro attese affettive, perché è chiaro ed evidente che le due cose sono profondamente innestate. Si registrano dei cambiamenti, perché le ragazze adesso danno per scontato che lavoreranno, e pospongono, di solito, o almeno così dichiarano di voler fare, il matrimonio o la vita di coppia, a quando già lavoreranno, perché vogliono essere autonome e indipendenti. Le attese sono innanzitutto rispetto al lavoro e poi rispetto alla famiglia, anche se tutte più o meno pensano di fare tutte e due le cose.
Per quanto riguarda i giovani uomini, ci sono forti attese affettive, voglia di famiglia, di formarla e di essere presenti, di occuparsi dei figli. Si stanno registrando dei cambiamenti, che diverranno forse nel tempo significativi, ma che sono molto lenti.

D: Questo cosa significa?
R:
Significa che i ruoli sessuali sono profondamente radicati. È difficile per una donna pensare di rinunciare a tutta una serie di cose che fa per la sua famiglia, per la sua casa. Ogni tanto ci sono dei deliri di onnipotenza, in cui le donne pensano di poter fare tutto.
I ruoli sono radicati nelle donne ma anche profondamente radicati negli uomini, che non sono stati protagonisti del cambiamento dei rapporti tra i sessi, ne sono stati in qualche modo "vittime", trascinati da un cambiamento che è stato voluto più dalle donne.
Essi si trovano a dover rinunciare a una serie di situazioni di comodo, ma sta apparendo loro come questo possa anche significare dei vantaggi, un arricchimento nella vita affettiva o nella possibilità di stare di più con i propri figli.
E’ certo però che molte cose devono cambiare nelle mentalità delle persone, nelle culture di relazione tra i due generi, ma anche nelle istituzioni.
Il datore di lavoro che resiste ad assumere una donna, perché teme maggiori assenze gli impegni di famiglia, davanti ad una legislazione che consente anche ai padri di starsene a casa, di prendere i permessi di paternità, si troverà in una situazione in cui scegliere più facilmente, e le donne stesse avranno più possibilità di puntare sul lavoro e fare carriera.
Ma anche questo discorso meccanicamente, così da solo, non funziona.
Guardando le realtà europee, considerate assolutamente all’avanguardia, quindi i Paesi nordici, Svezia, Norvegia, Finlandia, ecc. che hanno permessi di paternità identici ai permessi di maternità, registrano delle percentuali molto basse di uomini che usufruiscono di questi permessi.
Innanzitutto perché non è ancora entrato nella mentalità degli uomini i quali ammettono di vergognarsi davanti ai loro colleghi di fare una cosa del genere. Inoltre lo stipendio del marito è considerato lo stipendio prevalente, quindi è più importante che faccia carriera lui piuttosto che lei.
Sono rari e vengono citati i casi in cui è la donna che guadagna di più e che ha più possibilità di carriera.
Ci troviamo davanti a fenomeni di trasformazione che hanno dei tempi molto lunghi, i mutamenti stanno avvenendo ma saranno sempre più visibili solo nell’alternarsi delle generazioni.