Sigrid Undset: un NOBEL per "la vita"

Di Clara Svanera



Cinquant’anni fa moriva a Lillehammer una donna che ha lasciato un segno profondo nel cuore di tanti. La ricordiamo nelle tappe più significative della sua esistenza. L’hanno paragonata a Dostoevskij e a Zola per il realismo dei suoi personaggi, hanno definito la sua prosa un fluire quasi omerico; ‘Kristin Lavransdatter’, un colossale affresco della vita di una donna, ambientato nel medioevo, è stato annoverato tra i capolavori letterari del nostro secolo. Una delle prime donne ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura, preceduta di un solo anno da Grazia Deledda. L’unica donna ad averlo conseguito in Norvegia, accanto ai due nomi maschili: Knut Hamsun e Bjørnstjerne Bjørnson.Una grande letterata, autrice di 33 opere; una donna esemplare, tanto forte da votarsi al cattolicesimo, pur vivendo in un paese di fede protestante, e tanto sensibile da cogliere per prima le atrocità del nazismo, opponendovisi con un ineguagliabile nerbo, al punto da essere costretta all’esilio negli Stati Uniti; una madre rigorosa e colma di spirito di sacrificio, una madre che ha vissuto con grande dignità e sopportazione il dramma più profondo che possa colpire una donna: la perdita di due figli. Una donna che ha combattuto l’ottuso femminismo della sua epoca, identificandolo in uno sfrenato individualismo che conduce al detrimento dei rapporti umani.
Tutto questo era Sigrid Undset.

Nasce nel 1882 a Kalundborg, in Danimarca dalla danese Charlotte Gyth e dal norvegese Ingvald Undset, archeologo di fama internazionale. A soli due anni si trasferisce a Cristiania, l’antica Oslo. Vive i suoi primi anni in un clima di prosperità e serenità, legata al padre da un profondo affetto e respirando, proprio grazie alla sua presenza e influenza, un’atmosfera di cultura e di amore per la storia. E nel segno della storia, una storia che ha la forza dell’autenticità e il sapore del dettaglio, si innestano i suoi più grandi romanzi medioevali, ‘Kristin Lavransdatter’ e ‘Olav Audunssøn’. Dal padre la piccola Sigrid apprende un insegnamento che terrà presente per tutta la vita e che sarà imprescindibile nei suoi romanzi storici: la consapevolezza che ogni scienza ha come regola fondamentale lo scetticismo e, di conseguenza, non ha valore di verità assoluta e incontrovertibile. Gli undici anni rappresentano per la vita di Sigrid una tappa significativa e drammatica: l’improvvisa morte dell’amato padre la mette di fronte alla quotidianità non più ovattata, ma dura e dolorosa. Deve fare i conti con un’economia vacillante che la vedova Charlotte fa fatica a gestire, e con due sorelle più giovani cui provvedere. La decisione di affrontare studi commerciali e quella, a sedici anni, di iniziare a lavorare come impiegata presso la ditta Wisbech di Cristiania, rappresentante della Società di elettricità A.E.G. di Berlino, diventano scelte obbligate. Ma quella che sembrava una brusca deviazione del destino segnerà in positivo la sua carriera di artista. L’incontro in giovane età con il mondo borghese dell’ufficio e la possibilità di lavorare a stretto contatto con le donne di quel mondo, le consentono di approfondire la conoscenza dell’universo femminile. Lo scruterà, lo scandaglierà con grande spirito analitico e profonda lucidità e proprio quest’universo farà da base ambientale ai numerosi romanzi a sfondo contemporaneo. Ma sono anni importanti questi anche per la formazione letteraria di Sigrid Undset: si immerge da autodidatta nella lettura di testi di storia e letteratura norvegese: miti, saghe e leggende nordiche, ma anche di letteratura straniera. E sono questi gli anni in cui furtivamente, rubando le ore alla notte, stende i suoi primi racconti. È il 1902 quando la casa editrice Gyldendal le rifiuta il suo primo manoscritto, ironia della sorte, di ambientazione medioevale. La risposta dell’editore è secca e inequivocabile: ‘gentile signora il suo stile non è congeniale a quello di una scrittrice’. La delusione è grande, ma passano solo cinque anni e la casa editrice Aschehoug decide il destino della Undset, conferendole fiducia e pubblicandole il suo primo romanzo, ‘Signora Marta Oulie’, recepito molto bene dal pubblico e definito dalla critica contemporanea la ‘Madame Bovary’ nordica (simbolica, a questo proposito, la frase di esordio ‘ho tradito mio marito’). Fu la madre, in occasione del debutto nel mondo della letteratura, ad esortarla ad ‘essere di integerrima onestà, osservare senza timore la vita quale essa è e ritrarla senza mai scostarsi dalla verità’. In questi anni Sigrid instaura, infatti, con la madre un rapporto di fiducia e affinità intellettuali, un rapporto che le sarà di sostegno in molte occasioni. Negli anni immediatamente successivi seguono ‘L’età felice’, in cui viene presentato il ritratto di giovani e inquiete figure femminili dibattute nella crisi di valori di inizio secolo, e ‘La saga di Vigdis’, fedele al modello delle antiche leggende norvegesi che la scrittrice approfondisce e sviluppa nel suo capolavoro ‘Kristin Lavransdatter’. Da allora la carriera di Sigrid Undset è una strada tutta in ascesa. Il 1909 segna una data importante nella sua vita: l’abbandono del lavoro impiegatizio, il conseguimento di una borsa di studio che le consente di partire per l’estero, l’incontro con Roma, ove soggiornerà per un anno, l’innamoramento con Anders Svarstad, un pittore norvegese, cui si unirà in matrimonio tre anni dopo. Di Roma aveva sempre sentito parlare dai genitori, a Roma probabilmente era stata concepita, e qui nascerà il suo primogenito Anders. Roma si presenta agli occhi della scrittrice come un mondo magico di cui coglie con stupore e gioia l’atmosfera da ‘dolcevita’, i colori, ma soprattutto il clima culturale. Si accorge di non essere più una segretaria che deve rispettare regole e routine, ma di poter godere pienamente il nuovo stato di libertà e creatività. E proprio dando sfogo alla sua fantasia, in questo periodo concepisce ‘Jenny’, una delle figure più significative del suo universo femminile, quella che, come testimonia la sua biografa ufficiale, Tordis Øriasæter, può a giusta ragione ‘identificarsi con la vita artistica di Sigrid Undset, con la vita romana, sebbene, diversamente da quella di Sigrid, la vita di Jenny si spezzi con un suicidio’. A Roma tornerà un anno dopo la conversione e sarà un viaggio nel segno del cattolicesimo, diverso dai primi soggiorni. L’amore della scrittrice dura solo dieci anni. Nel 1919 si separa dal marito e va a vivere a Lillehammer, con i figli avuti dal matrimonio: Anders e Maureen Charlotte e Hans nascerà un anno dopo. Vivrà per loro, ritiratasi nella sua casa della Gudbrandsdal, dovendo convivere con la drammatica realtà di una figlia malata, che si spegnerà all’età di soli 24 anni. La Undset s’immerge nella scrittura e, abbandonati i personaggi borghesi e non eroici del mondo contemporaneo, forgia i suoi capolavori medioevali. Tra il 1920 e il 1922 esce la trilogia ‘Kristin figlia di Lavrans’, divisa in ‘La ghirlanda’, ‘La signora di Husaby’ e ‘La croce’, per la cui stesura, si serve delle consulenze di un grande storico medioevista, Fredrik Paasche, riuscendo, così, ad entrare nei meandri più occulti di quest’affascinante epoca storica.

Gran parte della critica tende a identificare Sigrid Undset con il suo personaggio femminile per antonomasia ‘Kristin’. Il temperamento, la personalità, la storia, il sogno di un amore, il sacrificarsi al primo uomo, per poi ritrovarsi tra le mani le ceneri di una passione ardente, la forza della maternità, il dolore della vita. E anche il rapporto di Kristin con il padre, che l’accompagna tutta la vita, pare sia una nostalgica proiezione dell’amore di Sigrid verso suo padre, bruscamente spezzato dalla morte prematura dell’uomo. ‘Kristin, figlia di Lavrans’ è ambientato nella Gudbrandsdal, agli inizi del quattordicesimo secolo, quando i matrimoni dei figli venivano pattuitti dai genitori per accordi patrimoniali. La Norvegia contava appena 450.000 abitanti, circa un decimo di quella attuale. Nel medioevo il paese nordico era un Paese ancora primitivo, ma ricco di eroismo e di grandi ideali. La protagonista vive un’infanzia felice fino a quando le viene imposto di unirsi in matrimonio al giovane proprietario terriero, Simon Darre. Il disagio per l’imposizione, la sofferenza per un tentativo di stupro e il dolore per il grave incidente che colpisce la sorella, la inducono a chiudersi in un convento di Oslo. L’ambiente intimo e solenne le danno la possibilità di meditare sulla vita, ma la grande città le offre tentazioni, mai vissute in precedenza. La più grande: il cavaliere Erlend, un uomo dal passato burrascoso che le fa conoscere il significato dell’amore. Incontri furtivi, baci rubati, emozioni represse, fino all’inevitabile confronto con il promesso sposo Simon che, però, intuendo l’impossibilità di costruire un futuro con Kristin, si ritira in buon ordine. Le difficoltà non finiscono: il padre della ragazza, ingaggia una battaglia con Erlend, e si susseguono ancora sofferenze, rifiuti e privazioni per la già segnata Kristin, fino al giorno in cui Lavrans, per evitare lo scandalo, decide di concedere il matrimonio. Una donna ribelle che, nel tentativo di conquistare il suo amore, si batte contro le convenzioni del suo tempo e si sottrae ad un destino già scritto per lei dalla famiglia, e alla fine vince la sua battaglia. Questa è ‘Ghirlanda’, la prima parte della trilogia - capolavoro undsetiana, quella che Liv Ulmann, come regista e sceneggiatrice, ha ripreso per il più grande film mai prodotto per la tv norvegese, e che recentemente è apparso sugli shermi di Tele Ticino. Per l’attrice norvegese l’incontro con Kristin è stato propiziatorio. Aveva solo vent’anni quando esordì sul palcoscenico taetrale proprio nelle vesti di ‘Kristin Lavransdatter’, un grande successo di pubblico. Il sogno di Liv Ulmann era quello di interpretare il ruolo di Kristin anche al cinema e tra i progetti di Ingmar Bergmann, il suo grande regista, c’era anche questo. I diritti del film erano stati già venduti ad Holliwood nel 1930, due anni dopo l’attribuzione del premio Nobel per la letteratura a Sigrid Undset. L’opportunità di realizzare questo sogno la ebbe quando, nel 1993, la Norsk film, la casa produttrice del film, le chiese di curarne la regia e la sceneggiatura. Quello della Ulmann fu, come dice la stessa attrice, un inequivocabile e immediato YES! A proposito della regia Liv Ulmann afferma "ho trovato giusta l’attribuzione della regia di Kristin Lavransdatter a me perché oltre al fatto di essere norvegese come l’autrice del romanzo, la storia è stata scritta da una donna su una donna ed era naturale che una donna realizzasse il film. ‘Una storia di passione, passione tra un uomo e una donna, tra una figlia e un genitore, passione tra un uomo e Dio’. Sono le parole della Ullmann. A suo dire Ghirlanda rappresenta la parte più romantica, quella in cui meglio si coglie la sensualità tipica della scrittrice. La Undset aveva, infatti, una fine capacità di riconoscere i profumi, i rumori, i sapori. A questo si deve una delle sue più grandi passioni: la botanica che l’accompagnò per tutti gli anni vissuti nella casa di Bierkebæck, in cui il giardino aveva un ruolo primario. I sensi campeggiano ovunque nelle sue opere, ma è qui ne ‘La ghirlanda’, più che in ogni altra, che trionfano.

Il 1925 è la data in assoluto più decisiva per Sigrid Undset: l’autorità giudiziaria pronuncia il suo divorzio. La scrittrice, durante un viaggio a Montecassino, abbraccia ufficialmente la fede cattolica, alla quale si era progresivamente avvicinata, sotto i moniti di Karl Kjelstrup. Ma è anche l’anno della stesura dell’altro capolavoro, ‘Olav Aundssøn’, e del saggio ‘La propaganda cattolica’. La conversione nasce dall’esigenza di sottomettersi ad un’autorità più grande di lei e sicuramente il fatto di essere cresciuta in un ambiente di tradizione classica ha influito sulla scelta del Medioevo come scenario storico dei suoi grandi romanzi, un intrinseco desiderio di ritorno alla chiesa madre. Si è trattato di un graduale e meditato avvicinamento al cattolicesimo, e i motivi sono da ricercare nella storia, e più precisamente, nel rischio in cui cadevano le chiese protestanti, divenire strumenti temporali del potere civile. E, dunque, per sfuggire alla sopraffazione del materialismo e dello statalismo, e per non ricorrere ad un assurdo fatalismo cui si piegavano le religioni non cattoliche, scelse la strada che le appariva più naturale. Considerava la conversione l’unica risposta all’esistenza. Si sentiva chiamata direttamente da Dio ad una scelta così radicale, una scelta che definiva non un passaggio da una fede cristiana ad un’altra, bensì una vera conversione dal paganesimo alla cristianità. Nel segno del cattolicesimo i suoi grandi capolavori e tutta l’ultima produzione. Ogni opera è pervasa da un senso cristiano del perdono e dell’umanizzazione, da una misericordia quasi manzoniana. Il cristianesimo nella sua opera e, in particolare in ‘Kristin’, si configura come antidoto contro la violenza e la sopraffazione e, soprattutto, come il raggiungimento di una libertà individuale.

Tre anni dopo, nel 1928, arriva alla scrittrice il riconoscimento più alto che si possa conseguire: il premio Nobel. Sven Saderman, membro del Comitato Nobel dell’Accademia svedese, definiva l’opera ‘Kristin Lavransdatter’ epica e affermava:"In Kristin tutto è poesia e verità umane. È un capolavoro che giustificherebbe da solo la candidatura dell’autrice al premio Nobel". Invece, forse a causa dell’immediato successo popolare dell’opera (non solo nei Paesi scandinavi, ma anche in Gran Bretagna e in Germania, dove vendette 250.000 copie), l’Accademia evitò di citare espressamente l’opera nella motivazione del Premio. In essa si dice, infatti, che è stato assegnato a Sigrid Undset "soprattutto per la potenza con cui ha rappresentato il medioevo". L’insegnamento e l’esempio paterni l’avevano spronata ad immergersi con passione e curiosità intellettuale nella ricerca storica, un terreno consono alla sua fantasia da cui trasse ispirazione per i suoi due capolavori epici, basati sulla rievocazione del medioevo. Sono anni questi di intensa attività saggistica, che vive con grande serenità nella di Bierkebæck, insieme ai suoi figlioli. Ma questo stato di tranquillità non dura che pochi anni: il nazismo, la guerra, la morte prima di Maureen Charlotte e poi, del figlio Anders sul campo da guerra portano Sigrid Undset alla fuga negli Stati Uniti d’America, una fuga rocambolesca che ha dell’incredibile: risale la penisola scandinava con gli scii da fondo e, attraverso Russia e Giappone, raggiunge finalmente gli Stati Uniti. Al seguito c’è l’unico figlio rimastogli, Hans. Il periodo americano è segnato dal dolore per i lutti familiari, ma anche dallo strazio provocato dal nazismo. La sua attività saggistica per combatterlo è nutrita e polemica. E il dolore sembra accompagnarla sino alla fine dei suoi giorni: il ritorno in patria, l’illusione, presto disillusa, di trovare, dopo cinque anni, a conflitto terminato, un mondo migliore, la bomba di Hiroscima, la più grande umiliazione di tutta la sua carriera di scrittrice: il rifiuto da parte di una casa editrice americana di ‘Caterina da Siena’, un’opera storico-agiografica colossale che, però, non corrispose nella realizzazione alle richieste del committente, la malattia renale, l’affaticamento e la morte, sopraggiunta nella più piena solitudine, senza parenti, nè amici. L’ultimo grande regalo della Undset, ‘Caterina da Siena’, a cui, anche dopo il rifiuto, continuò a lavorare instancabilmente, ci è pervenuto, fortunatamente, postumo.

Tirando le somme della vita e della carriera di Sigrid Undset, ciò che ci arriva di più profondamente originale e ciò che ha fatto di lei una donna fuori dagli schemi, è la sua visione della donna: una donna che si dedica senza risparmio alla cura dei figli, pur senza che ciò rappresenti un ostacolo alla apprezzabilissima produzone letteraria, la più significativa nel panorama scandinavo. Questa concezione ne ha decretato l’indice di gradimento della critica, facendo registrare periodi di buio e incomprensione e, solo nell’ultimo ventennio, passata l’ondata del femminismo più militante, un’ adeguata rivalutazione e un tardivo riconoscimento.

Sigrid Undset disprezzava il femminismo dei suoi tempi, quello che vedeva la mortificazione della maternità, come strumento per raggiungere la parità dei sessi. La maternità, l’amore dei sensi dovevano essere bandite dalla vita di una donna, secondo le intellettuali femministe e suffragiste Gina Krog e Aasta Hansten. Un articolo di grande veemenza verbale apparso su un importante quotidiano, ad inizio secolo, a firma di Sigrid Undset, reagiva alle dichiarazioni considerate ridicole delle due femministe. ‘Non ci sarà mai nessuno che pensi che una signora di una certa età, che combatte per la parità dei sessi, possa convincere una giovane donna al nubilato. Non è così grande il rispetto di una giovane donna per una vecchia vergine’..Per Sigrid Undset considerare un traguardo la sola ricerca del successo nel settore riservato agli uomini costituiva un forte limite. La parità dei sessi era per la scrittrice un mito fabbricato: gli uomini e la donna sono fisiologicamente diversi e la donna non può rinunciare a ciò che la contraddistingue dall’uiomo: la maternità. Condannava, inoltre, le assurde considerazioni delle donne borghesi che riducevano gli uomini della classe lavorativa ad ‘animali da cui proteggersi’. Anker Møller, una di loro, sottolineava l’incapacità di quella categoria di uomini di provare affetto, tenerezza e amore. Una frase questa celante un forte classismo che strideva con la pseudo-volontà di queste donne di emanciparsi.

Una tale visione della donna ha fatto di Sigrid Undset un bersaglio delle neo-femministe più agguerrite dei nostri anni ’70, perché vista come reazionaria, avendo esse una distorta visione della famiglia, intesa come luogo della dominazione maschile; ma ne fanno un modello per le donne norvegesi del 2000, ormai appagate da tante vittorie e felici di poter riconoscere nel premio Nobel Undset l’ideale della donna vincente divisa tra lavoro e famiglia.
Ma il messaggio che Sigrid Undset lascia alle donne dei nostri tempi ci piacerebbe fosse lei stessa a trasmettercelo dal cielo ove si trova’. Sono le parole commosse di Tordis Øriasæter che si fa portavoce del pensiero della scrittrice :’Avrebbe sicuramente detto alle donne di occuparsi il più possibile dei propri figli e di guardarsi intorno, oltre i meri orizzonti della vita quotidiana, guardare a ciò che succede nel mondo, combattere per ciò che è giusto e avere una consapevolezza politica, individuando il pericolo delle ideologie autoritarie’. E sarà stata forse lei ‘dal cielo’, a dire basta a una guerra che da mesi uccideva innocenti e lacerava gli animi dei deboli, quella del Kosovo, quando proprio l’appena trascorso 10 giugno venivano firmati gli accordi di pace, esattamente cinquant’anni dopo che Sigrid Undset si spegneva, sola nella sua casa di Bierkebæck.