La POVERTÀ vende bene

Di Roby Noris



I
n questo periodo si parla come non mai di povertà in Svizzera e in Ticino in particolare; si moltiplicano i dibattiti, i servizi televisivi, gli articoli, i documenti e le giornate di studio. Una nuova ondata di solidarietà e di sensibilizzazione ai temi sociali all’orizzonte? Neanche per sogno! Noi di Caritas Ticino vediamo solo una cattiva informazione che dipinge un quadro allarmante di povertà in espansione che non condividiamo affatto. Qualcuno dirà che non siamo mai contenti: se non si parla di povertà ci lamentiamo della mancanza di sensibilità ai problemi sociali, se invece se ne parla troppo non ci va bene l’analisi. È vero, ma prima di tutto ci sta a cuore la verità. E la verità sul fronte della povertà è che non sta dilagando né tantomeno esplodendo in Svizzera e in Ticino, dove nessuno fa la fame. La verità è che, se si usano tutti i mezzi di "protezione" che lo stato sociale ha inventato, il minimo vitale è garantito a tutti. La verità è che certi guai del nostro sistema ci sono da un pezzo e non sono novità di oggi, per cui non stiamo precipitando nel caos più di quanto non avvenisse nei decenni passati: che nel settore della ristorazione i salari siano vergognosamente bassi e quindi che i lavoratori di quel settore siano dei lavoratori "poveri" è una vecchia disuguaglianza contro cui lottare e non un fenomeno drammatico esploso ieri mattina. Che i salari femminili siano ingiustamente e irragionevolmente più bassi è una penosa macchia che il nostro sistema un giorno dovrà finalmente cancellare, ma non certo una novità. E che la ristrutturazione economica abbia spazzato via molti posti di lavoro non significa automaticamente che chi è escluso oggi da un mercato del lavoro che non riesce a pensare a nuovi modelli, stia facendo la fame. Sempre per amor di verità ci opponiamo a quelle analisi che confondono la povertà molto ma molto relativa di 700’000 persone in Svizzera con la povertà assoluta di intere popolazioni del terzo mondo. E non siamo i soli a pensarla così fra i professionisti dell’intervento sociale (vedi art. a pag. 21).

Da dove ci viene l’ardire di negare questa immagine catastrofista presentata dai nostri media come il frutto di approfondite analisi scientifiche? Dal modesto osservatorio quotidiano di Caritas Ticino che ogni anno entra in contatto con un migliaio di situazioni di bisogno, metà toccate dalla disoccupazione tramite il nostro programma occupazionale, e metà che si rivolgono al nostro servizio sociale. Piccolo osservatorio ma che pur significa qualcosa in una regione di trecentomila abitanti. Da questo osservatorio il quadro è quello di una realtà che per molti è dura e soggettivamente a volte vissuta in modo drammatico, ma che riportata alle giuste dimensioni presenta sempre qualche possibilità di evitare l’esclusione e l’emarginazione. Qui probabilmente sta il punto nodale che ci differenzia profondamente dall’analisi catastrofista di cui sopra: siamo convinti che non è piangendosi addosso che si trovano soluzioni, e che i primi attori della lotta all’emarginazione sono proprio gli interessati a cui nessun funzionario e nessun assistente sociale potrà mai sostituirsi, ma solo fornire strumenti di sostegno.

Ci domandiamo come mai sia in atto questo battage generalizzato sulla povertà, ma possiamo solo fare delle ipotesi: qualche grande fratello dietro le quinte magari con elezioni all’orizzonte, oppure reazione a catena scatenata da coincidenze casuali, oppure il tema vende bene e finché dura lo si cavalca anche a costo di dire falsità o mezze verità.

Avete già notato con quale voluttà un giornalista televisivo pronuncia le nuove paroline magiche "Working poor" (poveri lavoratori) che si pronunciano in una sola "uorchinpuur". Potete provare anche voi davanti allo specchio: il massimo del godimento si raggiunge evitando di arrotolare le "R" ripiegando leggermente in alto all’indietro la lingua, creerete così la giusta e magica atmosfera da NBC News con Time Square sullo sfondo. Ci vediamo dopo lo stacco pubblicitario.