DISOCCUPATI PER SEMPRE? UNA SFIDA PER IL 2000

Di Roby Noris



La disoccupazione sarà la condizione stabile per migliaia di persone anche in Ticino? L'interrogativo, o la sfida, è l'oggetto del dibattito pubblico organizzato da Caritas Ticino sul palco della Primexpo, lunedì 30 marzo, e riproposto dall'emissione televisiva Caritas Insieme, sabato 4 aprile alle 18.30 (in replica Domenica alle 19.30) su TLC.

Interverranno imprenditori, tecnici ed esperti per cercare di mettere a tema in modo corretto la questione, più che per pretendere di trovare soluzioni definitive. Si tratta, infatti, di uscire da alcuni schemi che non ci sembra corrispondano sempre al quadro effettivo della disoccupazione. Almeno a quella che incontriamo a Caritas Ticino con il nostro servizio sociale e soprattutto il nostro programma occupazionale con 150 posti a rotazione per disoccupati "generici". Ogni anno cerchiamo di dare una risposta a 500 persone disoccupate appartenenti alla categoria che rischia maggiormente di essere esclusa definitivamente dal mercato del lavoro perché, salvo eccezioni, sono senza formazione professionale o con una formazione limitata o poco interessante per il nostro mercato; a ciò, per alcuni, si aggiunge l'età "avanzata" che penalizza il disoccupato in quanto costa di più del giovane in assicurazioni sociali ad un eventuale datore di lavoro.

La lettura abituale che si fa di questo quadro in Ticino è quella della mancanza di posti sufficienti e quindi di una sorta d'attesa di tempi migliori dove si potrà contare su nuove possibilità di lavoro, come se fossimo dinanzi ad una crisi congiunturale e quindi passeggera.
La crisi invece è strutturale, e quindi è in atto una trasformazione profonda del mercato del lavoro; si parla allora di riqualifica professionale intesa come apprendimento di una nuova professione, ma noi verifichiamo che per molti dei disoccupati "generici" che incontriamo, quest'opportunità è poco realistica e talvolta illusoria: un'infarinatura di nozioni informatiche o qualche conoscenza di lingua straniera non aumentano le probabilità di trovare un posto per un disoccupato "generico" e probabilmente per nessun disoccupato.

Sembrerebbe che non ci sia nulla da fare, e che il fatalismo del titolo "disoccupati per sempre" senza punto interrogativo, sia appropriato. Ma siamo certi che non si debba ancora gettare la spugna. E del resto alcune incongruenze saltano all'occhio.

Il nostro mercato del lavoro ad esempio utilizza ancora un esercito di manodopera non qualificata importandola, da lontano come nel settore agricolo e da vicino con decine di migliaia di frontalieri che ogni giorno attraversano i valichi di confine perché la nostra economia non può farne a meno. Eppure, quando qualche posto di questi si libera, secondo le dichiarazioni di alcuni imprenditori, si fa fatica a trovare in Ticino un disoccupato disponibile con le caratteristiche richieste.

Ora, tenendo conto delle cifre - 12'000 disoccupati dichiarati e alcune migliaia "sommersi" - c'è evidentemente qualcosa che non quadra. E la giustificazione dei salari decisamente più bassi sembra non spiegare tutto perché sembra che anche quando c'è la disponibilità a pagare salari secondo parametri più "svizzeri" la situazione non cambia.

Forse dobbiamo rivedere quella visione manicheista con la quale anche noi abbiamo letto il fenomeno della disoccupazione: il mercato "cattivo" riduce dei posti di lavoro escludendo i lavoratori (considerati "buoni per definizione"), in nome della massimalizzazione dei profitti. Un quadro certamente vero in alcune situazioni che vanno denunciate puntualmente ma che, generalizzato, rischia di essere ormai solo una semplificazione che spiega sempre meno quanto sta accadendo.

Se da una parte abbiamo bisogno più che mai di un'economia "etica" rispettosa della dignità della persona e quindi capace di sviluppare la produttività e la redditività in un'ottica di bene comune e di ridistribuzione della ricchezza, d'altra parte ci pare esista anche un nuovo aspetto che non va sottovalutato: la bassa, talvolta bassissima, competitività di molti disoccupati in rapporto alle esigenze del mercato. Esigenze soprattutto nei termini di affidabilità, di flessibilità, di capacità e ritmi di produzione.

Sarebbe certamente sbagliato generalizzare un'esperienza settoriale come quella del nostro programma occupazionale ma alcune verifiche empiriche non possono evitare alcuni interrogativi allarmanti. Costatiamo, infatti, nel nostro programma, strutturato sostanzialmente come un'impresa che svolge un ventaglio piuttosto ampio di attività a carattere artigianale e industriale, una presenza numerosa di disoccupati non in grado di inserirsi con un livello di efficienza sufficiente. Se all'interno di un programma occupazionale dove l'inserimento lavorativo è temporaneo, questo basso profilo si traduce in fondo solo in problemi organizzativi che anche se gravi possono trovare soluzioni dal punto di vista della "produzione", nel mercato del lavoro diventano invece motivo di esclusione praticamente definitiva. Significa che questi disoccupati non sono, di fatto, più proponibili a ditte che hanno esigenze sempre più elevate, sia perché la legge della domanda e dell'offerta glielo permette ma anche perché oggi non possono concedersi sprechi inutili. Ma chissà per quale buona ragione se li permettevano in passato!

Purtroppo non stiamo parlando di casi estremi, cioè dello "zoccolo duro" della disoccupazione, dei "casi sociali", ma di una nuova fascia di disoccupati: persone normali che credono davvero di essere disoccupati solo perché ci sono meno posti a causa della crisi, ma che poi ad una valutazione delle capacità effettive, fatta sul terreno, risultano non ricollocabili secondo i parametri e le esigenze attuali.

Non è ricollocabile ad esempio chi fa fatica a spostarsi col motorino o a lavorare all'esterno perché fa freddo, chi non accetta un posto a trenta chilometri dal domicilio - il Ceneri sembra una frontiera insormontabile - ; chi non riesce ad apprendere nuove tecniche, nuove modalità e ritmi di lavoro diversi, chi cerca solo un posto se pagato in "nero". Non è ricollocabile chi è complessivamente poco affidabile quando è in condizioni di lavoro autonomo.

Inutili i moralismi colpevolizzanti; se si vuole capire questo fenomeno bisogna cominciare a domandarsi perché e come si sia arrivati ad avere persone fino a ieri apparentemente integrate perfettamente nel mondo del lavoro, ridotte oggi a una fascia di esclusi non più competitivi. Quale economia e quale politica del lavoro hanno permesso e favorito un processo di deresponsabilizzazione e di diseducazione di un numero troppo grande di giovani che rischiano di pagare duramente sulla propria pelle grossi errori di prospettiva fatti nei periodi di vacche grasse.

E anche sulle misure adottate per lottare contro la disoccupazione si impongono profonde riflessioni: ad esempio sui programmi occupazionali, in cui Caritas Ticino crede fermamente da dieci anni, che ci pare rischino fortemente di perdere il loro carattere attivo per diventare, con le nuove disposizioni legislative, sostanzialmente una forma quasi punitiva di parcheggio obbligatorio a carattere assistenziale (vedi)?

La questione che ci poniamo con urgenza è cosa proporre a corta e media scadenza a chi oggi sulla carta ci appare come non più ricollocabile. Come si può, infatti, anche solo immaginare, senza inorridire, che a molti giovani di 25/30 anni, si prospettano i prossimi 30/40 anni da disoccupati a carico dell'assistenza? Sarebbe una follia non intervenire tempestivamente sia da un punto di vista sociale, sia da quello economico.

Ma, a scanso di equivoci, è meglio sbarazzare il campo dalla possibile mistificazione consolatoria del cosiddetto "terzo settore" o economia sociale o non profit. Caritas Ticino crede nella necessità e nelle possibilità straordinarie di sviluppare nei prossimi anni forme di economia sociale, ma queste, è meglio dirlo chiaramente, offriranno ben poche opportunità di lavoro a chi oggi non è competitivo nel mercato del lavoro tradizionale: i criteri di efficienza necessari per far funzionare l'economia, infatti, per certi versi sono praticamente gli stessi che fanno prosperare quelle esperienze autentiche di economia sociale che non vogliono ridursi a parcheggi di tipo assistenziale. Un semplice esempio: chi è ritenuto poco affidabile ed efficiente come magazziniere, sarà altrettanto poco affidabile ed efficiente se si occuperà di trasportare o far compagnia a persone anziane affette dal morbo di Alzheimer; semplicemente farà maggiori danni.

Che fare e, se possibile, come fare in fretta? Sono le preoccupazioni che, evidentemente senza pretese esaustive, cercheremo di portare sul palco di Primexpo e a Caritas Insieme TV, con Marco Casella, Exten SA, Mario Crivelli, Associazione Imprenditori Cristiani (ASIC) - Nicola Giambonini, Ufficio Cantonale del Lavoro - Mimi Lepori-Bonetti, consulenza sociale e non profit (Consono) - Costanzo Marchi, Marcmetal SA - Glauco Martinetti, Federazione Orto Frutticola Ticinese (FOFT) - Meinrado Robbiani, OCST e Martino Rossi, Divisione dell'Azione Sociale.