ATTESA: gioia e trepidazione



La chiamata, diaconato e famiglia, diaconato e comunità, l'attesa: interrogativi, domande, suggestioni. Le abbiamo poste a Marcel, Massimo e Giorgio durante un colloquio a ruota libera. Dante, già presente a più riprese su questa rivista, visto il suo impegno in Caritas, ha scelto di lasciare lo spazio a questi suoi "compagni di viaggio", con i quali è in cammino da anni verso il 10 gennaio, per servire il Signore e i fratelli nella Chiesa.

D: Come è maturata la chiamata al diaconato ?

Marcel

Posso dire che la mia vocazione al diaconato è maturata in modo graduale. Prima c'è stata la mia conversione (mi ero infatti completamente allontanato dalla fede cristiana e facevo una vita dissipata), quando ho incontrato il Signore attraverso il Rinnovamento nello Spirito. Ho così continuato il cammino in questo movimento con grande fervore e gioia, riscoprendo la preghiera, la bellezza della parola di Dio, la grazia fondamentale dei sacramenti. Stavo vivendo l'abbondanza e la gratuità dell'amore di Dio, perciò mi venne spontaneo aprirmi agli altri e mettermi al servizio là dove il Signore Gesù mi chiamava. Prestai quindi il mio servizio sia nel mio movimento che nella parrocchia, soprattutto quale catechista e in diverse altre necessità, come si presentavano giorno per giorno. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date", ci ricorda san Paolo. Arrivare a compiere il passo verso il diaconato mi è sembrata quindi la logica naturale di un cammino compiuto.
Ricordo che allora questa chiamata mi aveva sconvolto. Era stato il Vescovo Eugenio a pormi, di punto in bianco, la domanda: "quando diventerai diacono?". Da quel momento la scuola di teologia, che già seguivo nella mia formazione di catechista, veniva finalizzata a una meta chiara. La chiamata è venuta quindi direttamente dal Vescovo, che mi confermava in questa scelta ad ogni nostro incontro. Il cammino fatto mi aveva preparato spiritualmente a questa chiamata. Un altro ricordo molto ricco si ricollega pure a una fase sempre del vescovo Eugenio: "ho bisogno che voi facciate". In quel momento intuivo che si trattava di una cosa grossa.

Giorgio
Il mio cammino è stato diverso rispetto a quello di Marcel. È avvenuto nella vita di coppia con mia moglie e seguendo insieme il corso diocesano di catechesi e altri corsi. C'è stata così una progressiva presa di coscienza di questo possibile impegno nel diaconato. Inoltre situazioni particolari della vita e l'incontro con persone giuste mi hanno fatto capire che Dio mi stava chiamando. Da parte mia c'è stata la risposta positiva. Una linea diretta quindi, sviluppata dapprima nella vita familiare. Poi ho incontrato Marcel, Massimo e Dante e abbiamo continuato il cammino insieme.

Massimo
La mia scelta diaconale nasce in fondo da un desiderio di sacerdozio, che avevo avuto, sui 17 anni, dopo il mio incontro con Gesù. Un incontro finalmente vivo, perché prima la mia religiosità era la consuetudine dell'andare in chiesa. Avevo quindi pensato con serietà, con riflessione, anche con un esame sofferto al sacerdozio e alla vita religiosa. Ricordo che allora un abate mi aveva detto di vedermi monaco. Poi ho capito che non era quella la mia strada, ma che il Signore mi chiamava verso la vita di famiglia e verso un'attività professionale. Rimaneva però sempre la domanda sul perché di quell'interrogativo, in un momento della mia vita, al riguardo della vita religiosa e del sacerdozio. Concludevo che non poteva essere stato un caso. Così, proprio partendo da quell'esperienza, è nata la certezza di poter servire la Chiesa. Ma come? Mi sono aperto con il vescovo Eugenio, che mi ha parlato del diaconato permanente. È iniziato quindi un percorso che si ricollegava a quel desiderio di allora. A 17 anni mi ero incontrato con il monachesimo dei benedettini e con il Rinnovamento nello Spirito: due realtà che mi hanno fatto iniziare un cammino, ben inserito nella Chiesa. Dopo un po' di strada nel movimento la mia esperienza si è radicata nella parrocchia, vivendo la dimensione del servizio.

Marcel
Prima di scoprire la realtà parrocchiale facevo il mio cammino nel movimento, ritrovandovi sempre la spinta e l'invito all'impegno in parrocchia, per rendere concreto il nostro servire. Proprio dalla parrocchia, ad esempio, ho ricevuto l'amore alla liturgia.

Giorgio
Anch'io ho scoperto la parrocchia proprio come il luogo dove vivere il mio servizio.


D: Diaconato e famiglia: due realtà, due sacramenti.

Marcel

L'andare verso il diaconato è avvenuto in un cammino con mia moglie. Già il nostro fidanzamento era stato un'esperienza di fede all'interno del Rinnovamento nello Spirito, dove avevo incontrato Gabriella, vivendo poi il matrimonio come un impegno cristiano, che dava significato al nostro stare insieme. Tutta la maturazione è avvenuta grazie a un aiuto reciproco. Gabriella è stata un forte sostegno per me su questa strada e anche lei, in un certo qual modo, ha dovuto formarsi alla diaconia. Noi viviamo già un sacramento, quello del matrimonio. Ora la famiglia viene arricchita di un altro sacramento. Di fronte a questo sento di vivere un grande mistero. Un mistero di grazia.

Giorgio
La mia prima vocazione è stata il matrimonio. Se non mi fossi sposato, non sarei arrivato alla scelta del diaconato. Una deriva dall'altra e una completa l'altra. Non sarei arrivato al diaconato senza Raffaela, che è stata la prima persona giusta che ho incontrato. Il servizio a vicenda in famiglia si apre, se autentico e sincero, verso gli altri. È il significato della Chiesa domestica, chiamata all'apertura. La diaconia nasce in me proprio dall'esperienza della ricchezza del matrimonio. La famiglia è invitata ad essere aperta e la diaconia la apre sempre di più.

Massimo
La mia vocazione riceve dalla realtà famigliare quegli impulsi che mi servono per vivere la mia preparazione al diaconato. Nel servizio: senza pretendere retribuzioni, meriti, gratificazione, riconoscimenti, anche gratitudine. L'esperienza in famiglia è quella di una donazione totale. Scopro che deve essere così anche il mio impegnarmi e servire nella Chiesa: con gioia e senza esigere apprezzamento o appagamento. Senza pretendere nulla, nemmeno il grazie. Nella gratuità totale. Perché anche nella famiglia il servizio è tanto più ricco, quanto più è abnegazione totale. Uno spogliamento. Sento che quanto più cresce la mia capacità di servire in famiglia, tanto più cresce anche la mia disponibilità di servire nel diaconato. Come scrive Paolo nella sua prima lettera a Timoteo: "il diacono deve essere fedele alla propria moglie, saper governare bene la famiglia e educare i figli". Colgo così una complementarità fra famiglia e diaconato: una realtà fa crescere e arricchisce l'altra.


D: Cosa significa attendere?

Marcel

L'attesa è timore e trepidazione: sento che questo dono mi supera. Non è questione di essere o non essere degno, perché è Lui che sceglie, anche se noi dobbiamo essere il più conformi possibile alla chiamata con il nostro impegno. Ricordo una frase detta a me e a Gabriella dal nostro vescovo Giuseppe durante un incontro: "vi verrà addosso un fiume di grazia". Sento quindi che la situazione si rovescia. Quando c'erano state la chiamata e la mia adesione, vivevo questa realtà come un mio dono, un mettermi a disposizione. Ora invece sono io nell'attesa di un dono grande, che mi arriva dalla gratuità del suo amore. Sento l'ordinazione come la conferma di un aiuto per il servizio che sarò chiamato a compiere. È l'attesa di continuare nel mio servire, ma con una forza diversa, con una forza in più.

Giorgio
Vivo questa attesa con gioia interiore, cercando però di tenere i piedi in terra, come mi ricorda anche Raffaela. Mi rendo conto dei miei limiti e delle mie difficoltà. Vivo nella speranza che attraverso di me il Signore compia qualcosa di bello e io possa essere utile al suo progetto di amore. Non mi aspetto certamente onore e gloria. Spero solo di essere uno strumento giusto nelle sue mani. Magari sarò solo una vanga. Basta che sia una vanga in ordine. Altri invece saranno il trattore.

Massimo
Attendo l'ordinazione come momento forte di accoglienza da parte della Chiesa. È importante per me sapere che la Chiesa di Lugano ci attende e ci abbraccia. C'è trepidazione ed è bello sentire che è condivisa. Ho bisogno di avvertire che la Chiesa sa far festa intorno a questo evento. Mi attendo la Chiesa come una madre che mi accoglie, prepara la casa per la festa, appronta il banchetto Penso anche che potrei un giorno lavorare a tempo pieno nella Chiesa quale diacono. Non so se oggi lo farei, perché sono affezionato alla mia professione. Ma il poter pensare al diaconato con il coraggio di affidarmi completamente alla Provvidenza, mi dà gioia. Sento inoltre che la nostra Chiesa riscopre con questo evento la sua pienezza , come la prima Chiesa di Gerusalemme, quando furono scelti i primi diaconi, presentati negli Atti. Il diacono infatti è una necessità della Chiesa, ma non perché ci sono pochi preti e occorrono dei super chierichetti. Questa presenza è resa necessaria dalla realtà stessa della Chiesa, anche se ci fosse abbondanza di preti.

Marcel
Anch'io mi pongo l'interrogativo sul come ci accoglierà la Chiesa. È un ulteriore motivo di trepidazione e tremore. La nostra speranza è quella di essere accolti come figli.


D: Qual è l'attesa nella vostra comunità ?

Marcel

Bisogna dire che il diaconato permanente non ha una tradizione di presenza concreta nella nostra Chiesa. Ne consegue anche una scarsa conoscenza di questo servizio. Così bisogna spiegare. A volte, nel nostro contesto, può risultare difficile far comprendere che uno con moglie e figli abbia questo compito specifico, con una presenza molto chiara anche nella liturgia. Sento che il mio movimento (ndr. Rinnovamento nello Spirito) è più sensibilizzato a questo rispetto alla parrocchia, anche perché c'è stata una crescita insieme e mi sono sentito sostenuto in questo cammino. Nella parrocchia sento piuttosto un certo affetto, mi sento accolto con simpatia al di là del fatto che la gente capisca o meno le implicazioni teologiche e pastorali del mio diventare diacono. Ritengo però che conti soprattutto l'autenticità della testimonianza. La gente infatti guarda alla persona e la credibilità gioca una funzione determinante. Se sei credibile, vieni accettato, anche se non sempre riescono a capire chi sei come diacono.

Giorgio
Tra quelli che sono a conoscenza del mio diventare diacono ci sono i contenti e i perplessi. lo spero soltanto di essere accettato. Sento comunque che, pur con tutti i miei limiti e difetti, c'è qualcosa che va al di là.

Massimo
Nella mia comunità di Melide sanno da diversi anni che ho scelto di diventare diacono. Ho cercato di rendere le persone partecipi nel susseguirsi delle varie tappe, in questo cammino di avvicinamento, facendo vedere che mi stavo preparando a questo servizio. Non mi faccio però grandi illusioni sul grado di comprensione, perché anche ogni comunità, come ogni persona, ha i suoi limiti. Sento però che la comunità intuisce che sta avvenendo qualcosa e la stessa atmosfera di festa che intendono preparare per la mia ordinazione, è il segno di questa intuizione.


D: Come vive questo tempo la vostra famiglia ?

Marcel

Mia figlia non vede l'ora della mia ordinazione. Continua a farmi domande sul mio diventare diacono.

Giorgio
Mio figlio, già adulto e sposato, inizialmente era scettico su questa mia scelta. Ora ne è convinto e contento.

Massimo
Per la mia famiglia il mio diventare diacono è in fondo un naturale compiersi delle cose. È il realizzarsi di quello che insieme pian piano abbiamo costruito in questi anni. L'attesa è comunque viva e anche dai miei figli le domande fioccano.