IL VESCOVO RACCONTA: IL SUO INCONTRO CON IL PAPA

Di Gianni Ballabio




Dal 30 agosto al 7 settembre scorsi i Vescovi svizzeri sono stati a Roma, per la visita "ad limina", che le singole Conferenze episcopali sono tenute a compiere ogni cinque anni. Leggiamo al riguardo nell'apposito "direttorio" del 29 giugno 1988, che traccia le coordinate di questo impegno. "La visita ad limina Apostolorum per tutti i Vescovi che presiedono alla carità e sono al servizio delle Chiese particolari in ogni parte del mondo, in comunione con la Sede Apostolica, riveste un significato preciso: rafforzare la loro responsabilità di successori degli Apostoli, incrementare la comunione gerarchica con il Successore di Pietro, ritrovarsi insieme a pregare sulle tombe dei santi Apostoli Pietro e Paolo, pastori e colonne della Chiesa Romana". Aggiunge lo stesso direttorio che questa visita rappresenta "un momento centrale del ministero pastorale del Santo Padre", che "incontra e riceve i pastori delle Chiese particolari".


UNA SETTIMANA DI DURO LAVORO

Una settimana dall'agenda carica quella dei nostri Vescovi: dal lunedì alla domenica. Un susseguirsi di incontri nelle varie Congregazioni romane (relazioni, scambio, ascolto); le concelebrazioni quotidiane nelle Basiliche romane (Santa Maria Maggiore; San Paolo fuori le Mura; la tomba di San Pietro; San Giovanni in Laterano); spostamenti da un ufficio all'altro; duttilità nell'adattarsi alle impostazioni, esigenze, persone delle varie commissioni pontificie. Certamente tanta pazienza in giornate oltre tutto segnate da caldo e fatica, mentre a volte l'atmosfera poteva apparire quella dell' "esame". E in aggiunta, nei pochi momenti liberi ritagliati dentro il rigido calendario approntato dall'apposito ufficio vaticano preposto a queste visite, i nostri Vescovi, con autentico spirito stakanovista (o svizzero), hanno inserito la loro assemblea ordinaria d'autunno (una delle quattro previste sull'arco dell'anno), con un nutritissimo ordine del giorno. Proseguendo spesso nei loro lavori fino a notte inoltrata, per poi essere pronti e disponibili all'alba per il primo incontro in calendario. Insomma una faticaccia.

Interrogato su questa esperienza, che viveva per la prima volta, il nostro Vescovo si è in particolare soffermato sugli incontri con il Papa: momenti centrali di questo soggiorno super lavorativo in Roma.


PARLARE CON IL PAPA

Precisa: "abbiamo incontrato il Papa tutti insieme, il giovedì 4 settembre. Prima però abbiamo avuto tutti un incontro personale: alcuni Vescovi il lunedì 1. settembre, altri, il martedì, 2. lo facevo parte di questo secondo gruppo. Il mio colloquio è durato 35 minuti". Ben oltre i quindici previsti dal rigido programma predisposto per ogni Vescovo presente. Una particolare simpatia per Lugano, questo raddoppio di tempo concesso a mons. Torti? "Al termine siamo stati a pranzo con il Papa, io ero seduto proprio vicino a lui. Come in famiglia".

Cosa significa incontrare il Papa così? "Sarei veramente felice se riuscissi a partecipare agli altri, anche solo parzialmente, la ricchezza vissuta e ricevuta da questo stare con lui. Già ero stato in udienza privata il 24 giugno del '95, all'indomani della mia nomina episcopale e prima della mia ordinazione. Quella volta ero uscito dall'udienza, pensando che se anche mi fossero cadute addosso montagne di preoccupazioni, avrei conservato ugualmente la serenità, tanta era stata la carica interiore che avevo ricevuto". E questa volta? "L'ho incontrato ancora in questi due anni di episcopato, come a Roma per la beatificazione di tre donne svizzere nell'ottobre del '95, oppure in occasione della sua venuta a Como nel maggio del '96. Sempre, ad ogni incontro, la sua domanda ha anticipato il mio saluto: come va a Lugano? Una memoria lucidissima, quindi, se si pensa alle migliaia e migliaia di persone che incontra. L'udienza particolare durante la recente visita a Roma è stata un momento di grande cordialità. Ho vissuto l'incontro con un padre che non si può dimenticare. Una sensazione forte. Qualcosa che ti resta dentro e ti accompagna. Sempre".


L'ATTENZIONE DI GIOVANNI PAOLO PER LUGANO

C'è imbarazzo, almeno inizialmente? "Il Papa facilita subito l'incontro che avviene con grande spontaneità. Pone domande, si interessa alla vita della diocesi, chiede spiegazioni, consiglia. Soprattutto incoraggia: non solo con le parole, ma anche con lo sguardo, che infonde subito fiducia. Come una forza. Parla con concretezza, non rimanendo nel vago, ma facendo capire di essere ben aggiornato sulle singole situazioni. A un certo punto, è arrivata una domanda: come va la Facoltà? Un interrogativo che dimostra ancora una volta una bella memoria e un preciso interesse verso questa istituzione, che gli richiama un Vescovo che aveva tanto a cuore, il nostro Vescovo Eugenio. L'ho visto reagire con gioia alla mia risposta: la Facoltà fa quello che può per essere sempre di più".

Avrete parlato certamente anche della Chiesa in Svizzera? "Mi ha posto alcune domande su certi modi di pensare e di gestire la Chiesa. E si è dimostrato molto attento, intervenendo con pacatezza, senza giudizi e senza osservazioni. Soprattutto mi ha più volte ripetuto: grazie di questo. Cioè per quello che gli dicevo. Ho parlato con semplicità, godendo forse del privilegio di poter guardare alla Chiesa svizzera da un osservatorio neutrale, quale è appunto la nostra Diocesi, la cui situazione è un po' particolare rispetto alle altre". Cosa sentiva? "Prima di tutto avvertivo un grande interesse e una grande partecipazione in questo colloquio. Non era assolutamente una formalità. Era un dialogo fra fratelli. Il Papa era la guida, il vicario di Cristo, che voleva prima di tutto aiutare e incoraggiare un Vescovo. Era il Pastore universale della Chiesa, che chiedeva la mia collaborazione per conoscere di più la nostra realtà, attraverso una testimonianza diretta, al di là dei sentito dire, che a volte sono un po' troppo scontati e non sempre oggettivi. Mostrava attenzione e soddisfazione per questo sentirsi informato". Un momento intenso quindi? "È difficile riuscire ad esprimere compiutamente quello che si prova. È un qualcosa che va al di là, da vivere, più che da raccontare. Senti soprattutto la forza di questa persona. Avverti che dentro quel corpo stanco c'è ancora una forza immensa, infinita. Senti che vive l'Assoluto. Rimani colpito, come quando si tocca la corrente elettrica. Dopo c'è bisogno di silenzio per rivivere e ritrovare l'istante vissuto. Perché il Papa ti avvince. Questo non è sentimentalismo, ma la forza dello Spirito Santo che è in lui. E che senti. Avverti che è un uomo del tempo, ma soprattutto dell'eternità. È il Papa per gli uomini, ma prima di tutto per Dio. Per questo ha un impatto così forte su di noi. Su tutti. Senti che ha dentro il divino, e nel contempo segue la nostra storia, realisticamente. Viene giù nel dettaglio, come un parroco. Vive le nostre attese, i nostri entusiasmi, le nostre delusioni di preti e di Vescovi. Ma soprattutto le nostre speranza, con una fiducia, che dona certezza". Questa è stata anche l'esperienza degli altri Vescovi? "Ogni Vescovo si è sentito certamente rincuorato. Poi ognuno interiorizza secondo la sua personalità, magari anche secondo le sue esigenze o le sue predisposizioni in quel momento. lo ho sentito questa forza dello Spirito Santo e l'ho anche ricevuta".


UNA DOMANDA SPECIALE

E il pranzo con il Papa, il martedì 2 settembre? "Un momento molto familiare, estremamente semplice. Eravamo in cinque Vescovi, e i due segretari". Gli altri Vescovi (i Vescovi svizzeri a Roma erano in tredici: sette titolari, 5 ausiliari e l'abate di Einsiedeln) erano stati ospiti il giorno prima, come fissato dal rigido programma. "Il pranzo è durato un'oretta. Frugale, con menu polacco, iniziando con una torta di verdure. Ero seduto proprio vicino a lui". E cosa diceva? "Mi faceva ancora delle domande, intercalate da momenti di silenzi: cosa ne pensa delle mie visite nel mondo?. Ho risposto con immediatezza, come sono solito fare: Santità ne faccia più che può". E il Papa? "Mi ha guardato e dopo un attimo di silenzio, ha chiesto ancora: ma dice sul serio?" La risposta? "Con altrettanta semplicità e serietà ho replicato: Si possono dire bugie al Papa? Poi ho aggiunto: hanno un impatto forte, fra qualche anno vedremo il bene che da questi viaggi lentamente sarà germogliato. Mi ha guardato negli occhi per un lungo istante, serio. Poi mi ha sorriso".