SOLO CURA DEI SINTOMI
Padre Lino Ciccone della Facoltà di Teologia di Lugano in Caritas Insieme TV con Dante Balbo sulla liberalizzazione della droga



D: Siamo in un periodo caldo: la discussione è centralizzata sulle due iniziative che sembrerebbero ridurre il dibattito alla legalizzazione o alla proibizione dell'uso di droghe. Padre Lino, il problema droga non è qualcosa di più di tutto ciò?
R:
Possiamo distinguere un problema di facciata, che non è mai il problema vero, e il problema di fondo che molte volte rimane nascosto e sommerso. Quindi, come problema di facciata può essere formulato nei termini di droga sì droga no ed altre espressioni equivalenti. Sì finge, invece, di non sapere che questo è un fenomeno con cause e spiegazioni proprie, anche se una conoscenza esauriente che dia una spiegazione davvero completa diventa molto più difficile, trattandosi di fenomeno sociale e non individuale. Allora io credo che noi tutti guadagneremmo molto nell'impegnarci a trovare o a conoscere la risposta alla domanda: ma le cause, quali sono? Così potremo agire sulle cause. Si parla tanto di prevenzione, ma la prevenzione vera è quella che agisce sulle cause.

D: Ma l'uso di droga e la necessità di procurarsi i soldi per il consumo crea microcriminalità; vi è anche tutto il mercato dei trafficanti ... In fondo che lo Stato distribuisca in maniera controllata della droga è comunque il male minore e permette di risolvere già alcuni problemi. Perché è sbagliato?
R:
È limitare tutto l'impegno della società e anche l'impegno politico dello Stato nell'arginare un fenomeno, a difendere la società dai danni che subisce dalla diffusione, dai commercio e dal guadagno che si ricava in questo settore. Siamo ancora al punto di limitarsi alla superficie e, aggiungerei, anche a disattendere praticamente il problema dei soggetti in misura preoccupante, danneggiati profondamente da questo fenomeno, con l'unica preoccupazione di difendere la società. Quindi è far fronte alla criminalità organizzata, che si è potenziata ma non è nata con questa forma di attività, lasciando al suo destino chi è incappato nella tossicodipendenza.

D: Negli stati Uniti esistono dei luoghi chiamati "Wash Center" dove un tossicodipendente può recarsi il sabato e la domenica per "lavarsi" dagli effetti tossici della droga. In questo modo può continuare il lunedì seguente ad esercitare la sua professione, anche di responsabilità. Perché questo non è possibile? In fondo è un modo di convivere con un fenomeno che si è sviluppato in maniere massiccia prendendone atto della sua esistenza.
R:
Quando si agisce seriamente anche nei confronti di una semplice malattia, è solo per scarsità di conoscenza che ci si limita alla cura sintomatica lasciando che la malattia rimanga. È una terapia illusoria: in realtà il malato rimane tale, gli leviamo solo alcuni disturbi. Ancora una volta si spaccia per intervento di terapia ciò che in realtà è soltanto un lavarsi le mani dal vero impegno terapeutico limitandosi alla cura sintomatica.

D: Quali strade percorrere allora? Reprimere il fenomeno, per esempio incarcerando i tossicomani e gli spacciatori e bloccando i trafficanti? Si è però notato che questo discorso non funziona; il fenomeno comunque si mantiene agli stessi livelli precedenti, anzi si allarga. Allora quali strade praticare?
R:
Come già accennavo, bisogna avere il coraggio di andare a sondare nel terreno, che si vuole censurare, del cammino che ha percorso la società e che ha portato al sorgere diffuso del fenomeno della tossicodipendenza. Capisco di semplificare molto un discorso che sarebbe molto più complesso, ma in sostanza gli elementi essenziali sono raccolti nel tipo di cultura venuta avanti nei secoli e che ha finito per sfociare in quella che oggi chiamiamo la cultura dominante. In questa cultura sono caduti gli ideali ed è divenuto quasi impossibile, a chi non si impegna personalmente, scoprire e dare significati al vivere, al lavorare, al soffrire, all'amare, al gioire. E in assenza di ideali e di significati è sorta la caccia all'evasione per trovare un mondo vivibile. Per chi non si è fatto carico di scoprire il significato di valori e ideali nella vita ha trovato, come uscita di sicurezza da una vita altrimenti destinata a morire nella noia, l'evasione nella droga, creando un mondo illusorio in cui il soggetto si sente in qualche modo realizzato. Non è stato questo l'unico significato, capisco che ce ne sono altri, ma andando in profondità, una della radici più consistenti della diffusione della tossicodipendenza è questa cultura che ha cancellato l'aspirazione ai veri valori e ai veri ideali. Falsi ideali e falsi valori si sono allora imposti.

D: La Chiesa, cosa dice sulla tossicodipendenza? Ci sono molte comunità che la Chiesa ha sostenuto, molti religiosi impegnati nelle terapie. Alcuni di essi hanno posizioni forse di tipo più liberale altri più severe. C'è una posizione ufficiale della Chiesa su questo argomento?
R
: Se vogliamo definire posizione ufficiale nel senso di aver trattato con una certa ampiezza e organicità il problema, siamo soprattutto al livello di un testo elaborato dal Pontificio Consiglio per la famiglia, il quale ha preso a tema proprio la tossicodipendenza e le vie di intervento più efficaci contro di essa (vedi articolo a pagina 31, n.d.r). Ma forse direi che è quasi più significativo il fatto che a rimboccarsi le maniche e a farsi carico davvero di come offrire ai tanti giovani che sono caduti nella tossicodipendenza un vero aiuto a recuperare la loro dignità vera di persona, si occupano, non dico esclusivamente ma quasi, chi ha avuto motivo di ispirazione e valori già affermati proprio nel campo della fede. Addirittura una buona parte è costituita da sacerdoti, religiosi e religiose, per un impegno sistematico teso proprio a restituire dignità alla persona e quindi agir sulle cause.