"BISOGNEREBBE DARGLI LA VITA E INVECE GLI SI DA LA MORTE"
Testimonianza di Floriano Giudicelli

Da CARITAS INSIEME TV



D: Nella tua storia personale, hai passato un periodo in cui eri dipendente da droghe. Ad un certo punto hai deciso di intraprendere una strada faticosa per uscirne, hai deciso di rifiutare completamente quello che era stato un periodo della tua vita. Che cosa ti ha spinto a fare quella scelta?
R:
Avevo toccato il fondo. Avevo provato tutte le strade, anche quella di stare con delle persone che vivevano una vita semplice, corretta, ma non avendo dentro di me la voglia di seguirle, ho ripreso con le solite abitudini: non mantenere gli impegni e sconvolgermi. Sono giunto ad un punto in cui ne ho avuto abbastanza. Non trovavo più nessuno che mi accoglieva, che parlava con me perché sapevano che i miei ragionamenti erano sempre rivolti all'eroina, o erano campati in aria. Ho sentito, quindi, l'allontanamento della gente dalla mia persona e mi sono trovato solo, faticando per vivere e portare avanti la giornata , per mangiare, per trovare i soldi per bucarmi o procurarmi tutto quello di cui avevo bisogno. Non avevo più denaro, e allora ho dovuto decidermi. Ho chiesto consiglio per un aiuto ad un amico che lavora come assistente. (...) Il mio amico mi disse di conoscere la comunità Incontro, ci andai per fare dei colloqui e infine sarebbe toccato a me decidere.

D: Quanti anni sei stato tossicodipendente?
R:
Ho cominciato a 18 anni. Stavo passando una crisi di esistenza, non sapevo se volevo scegliere la strade del lavoro (avevo appena preso il diploma di carrozziere). Il mio lavoro mi piaceva, ma non mi soddisfava completamente. Da qui sono sorti altri problemi e ho cominciato a drogarmi dalla mattina alla sera, esageravo e combinavo solo guai, mi hanno pure licenziato e sono sceso sempre più in basso, cercando di abusare di tutto e di tutti. Ho fatto questa vita fino all'età di 24 anni, quando sono entrato in comunità. Mi sono accorto che dovevo cambiare, altrimenti non ce l'avrei fatta più.

D: Prima della comunità, hai tentato altre vie per uscirne?
R:
Ho usato il metadone, ma nel modo sbagliato. Probabilmente ad alcuni può servire, io lo usavo per sconvolgermi. Il metadone era un qualcosa in più da aggiungere alle altre sostanze. Ne ho fatto un uso simile per due anni. Dentro di me non avevo ancora maturato la decisione di smettere. A volte, addirittura, lo vendevo e questo la dice lunga su quanto mi sia servito. La comunità, invece, è stata significativa e mi ha aperto la mente, poiché ho visto delle persone che mi dicevano in modo chiaro quello che pensavano di me e mi accettavano per come ero. Essere accettati per quello che si è, rende tutto più facile.

D: Da soli non si riesce a uscirne?
R:
lo so che alcuni ce l'hanno fatta. Ma non ci credo molto. Posso fare confronti con la persona che ero in quel momento: all'epoca da solo non ce l'avrei fatta, non ero abbastanza forte, necessitavo di persone vicine, disponibili e con tante attenzioni, che mi dessero delle direzioni. Però, ben venga se qualcuno ce la fa da solo. Ma la comunità chiaramente fa bene a tutti, non solo al tossicodipendente, fa bene a qualsiasi persona. Non è una prigione, non è un posto dove ti lavano il cervello. È una famiglia, con persone che hanno un'esperienza sulla pelle .

D: L'esperienza della comunità è comunque affermare un radicale no alla droga, senza concessioni.
R:
Sì, per me è stato così.

D: La situazione che oggi viviamo, ma non solo in Svizzera, è caratterizzata dal confronto di due linee: quella rigida del no assoluto alla droga e a tutte le forme di legalizzazione, e quella più permissiva che vede negli esperimenti di distribuzione controllata di eroina e nella depenalizzazione delle possibili soluzioni. Quando senti dibattere su queste tematiche, come reagisci?
R:
Mi fa piacere che se ne parli. Trovo che è positivo per la gente. Anche per coloro che non sono confrontati direttamente con questo problema, magari in casa. D'altra parte, però mi pare che si stia degenerando con gli esperimenti: sperimentiamo, proviamo, inventiamo, un po' come si ha tendenza a fare oggi. C'è questa moda di trovare una soluzione a questo problema. Mi dispiace che si arrivi a questi esperimenti un po' tragici e svolti su delle persone che magari hanno pochi anni della loro vita. Invece di portarli a vivere in un modo migliore, positivo per loro, gli si da ancora dell'eroina. Questo mi sembra essere proprio una cattiveria nei loro confronti.

D: Però chi lo fa crede di fare del bene ...
R:
Io sento solo che se facessero una cosa così a me, mi farebbero veramente solo del male. Non mi farebbero assolutamente del bene. Dunque sono per una repressione che sia dura perché in quella durezza c'è sicuramente una strada che da più significato. Riscattare la propria vita è duro, però quello che puoi avere dopo è tantissimo, è grande. E ti dà veramente sostegno. Io sono dunque contro questi metodi … li trovo molto meschini. Soprattutto con delle persone alle quali bisognerebbe dare la vita, invece gli si dà la morte. È brutto, è veramente brutto.