Tra cultura della dipendenza e cultura dell'igienismo individualistico neo-positivista

A cura di Mimi Lepori



Graziano Martignoni, medico-psichiatra e docente di psicopatologia all'Università di Friborgo aveva risposto, sulla Rivista Caritas Insieme del settembre 1996, ad alcune domande che sono oggi divenute ancor più attuali. Vi riproponiamo alcuni passaggi di quell'intervista a cura di Mimi Lepori.

I sondaggi effettuati in Svizzera indicano il tema della droga tra i primissimi posti delle preoccupazioni svizzere. Nessuno ha in mano la soluzione, ma comunque le scelte politiche di questi ultimi anni fanno discutere. Prima la sperimentazione, poi la depenalizzazione e in un futuro prossimo la liberalizzazione?
R:
La scelta non mi sorprende. Aderisce, mi pare senza troppo travaglio culturale e intellettuale, ad una sorta di "Zeitgeist" che attraversa oramai molti settori della nostra società. Si potrebbe a lungo tentare una diagnosi sociologica e culturale di questo "spirito del tempo", che sta alle spalle anche di questa scelta in materia di droga, ma la discussione ci porterebbe qui troppo lontano. Tuttavia è solo ponendosi domande fondamentali che si possono leggere criticamente le scelte del momento e soprattutto tracciare gli orizzonti che queste scelte, spesso alla nostra insaputa, preparano. Poniamone alcune. Ho sempre sostenuto che la droga fosse una sorta di "isotopo culturale" particolarmente adatto a tratteggiare in miniatura quella che potrà essere il rapporto (e il contratto sociale) futuro o futuribile tra cittadino e comunità. Di questo infatti è qui questione. Il cambiamento di statuto giuridico del consumo di droga non può non provocare alcune trasformazioni dentro il concetto stesso di droga e soprattutto dentro la sua immagine sociale. La droga necessita di una storia, di una cultura, di convenzioni, di norme" ovvero di una rete di discorso, una retorica esplicita. La droga è dunque, ieri come oggi, una questione fondamentalmente di retorica. Possiamo certo definire la natura scientifica di un tossico, ma non per questo tutti i tossici sono droghe ... la valutazione etica e politica è allora centrale. Il concetto di droga porta in sé la norma e l'interdetto.

Ecco perché riflettere sulla questione della depenalizzazione è anche e soprattutto chiederci in che cosa e in che modo viene ad essere mutato l'ordine retorico che ne definiva sino ad ora il concetto e l'immagine sociale. Con la depenalizzazione la droga arrischia di scomparire come domanda sociale, mentre invece sopravviverebbe come veleno muto e come causa di miseria e di morte. È come se insieme alla depenalizzazione avvenisse una caduta di senso della droga stessa. Il drogato non sarebbe allora ancora più solo di fronte ad una malattia oramai solo individuale? Credere dunque che la riforma proposta sia solo un accorgimento tecnico procedurale per meglio affrontare il grande traffico , per superare e chiarire una prassi giuridica, almeno per il consumo, già nei fatti molto depenalizzante o ancora per spostare l'asse verso un vertice educativo curativo (la qual cosa rimane tutta da dimostrare) significa disconoscere gli effetti di questo "scivolamento retorico" e minimizzare le ricadute sul modo già sufficientemente disorientato di pensare il futuro collettivo (penso soprattutto agli adolescenti) e sulla legìttimità per una società di continuare a regolare i confine tra lecito e illecito, tra norma e interdetto, tra libertà e necessità. Ecco perché l'indicazione politica delle nostre Autorità non è innocente (guai se lo credessimo svagati dal tempo estivo delle vacanze), anche se oramai una sottile e apparentemente poco gridata campagna di stampa, da mesi, lascia intendere che la soluzione della depenalizzazione, surrogata e confusa indirettamente dalle decisioni del Consiglio federale sulla sperimentazione con eroina e affini, sia divenuta la sola scelta possibile, la soluzione ragionevolmente inevitabile. La maggior parte dei mass media prepara infatti il consenso su questo delicato problema, così che il giorno dì una possibile consultazione elettorale, non potremo che acconsentire a qualche cosa, che parrà a tutti logica e unica soluzione, avendo accuratamente sospinto gli scettici e i contrari alla depenalizzazione nel campo perdente di un conservatorismo anacronistico. Al di là delle buone o cattive ragioni delle parti, stiamo di fronte ad un vero e proprio tentativo di "imbonimento "collettivo, non riguardante un qualsiasi prodotto di consumo, ma ben più minacciosamente un "valore" culturale (con alto significato simbolico e dunque "connettivo" per tutta una comunità), che una parte della società vuole cambiare (e cambiare l'assetto legislativo giuridico attorno alla droga non è come modificare una qualsiasi norma della circolazione stradale ...). Un esempio tra i molti di questa sottile costruzione del consenso. È presa dalla cartelionistica dell'Ufficio federale della sanità dell'anno scorso sulla prevenzione della AIDS. Si diceva a grandi lettere pressappoco così (lo cito a memoria): "drogarsi fa male, ma se proprio lo devi fare usa una siringa sterile" e solo in piccolo sul fondo del cartellone stradale (e dunque molto meno visibile, anche queste cose contano!) una dicitura che diceva che drogarsi era proibito dalla legge. L'operazione è subdola. Chi infatti non sarebbe d'accordo di prevenire a tutti i costi le mortali conseguenze dell'AIDS? Il cartellone che fa leva su questo consenso introduce però un vero e proprio messaggio subliminale, che lascia intendere la caduta di valore della illiceità dell'uso di droghe e prepara al contrario nella coscienza collettiva il suo passaggio nell'ambito del lecito, anche se individualmente dannoso. È come se, paradossalmente e senza nessuna contiguità vera con la tossicodipendenza, (stiamo infatti esaminando un effetto comunicativo e non i fatti in sé nelle loro radicali differenze) per prevenire i rischi della pratica del furto o della rapine ( anche questi atti illeciti hanno dietro di sé un uomo con le sue sofferenze e le sue miserie..) in cui può incorrere il ladro, si scrivesse "rubare (rapinare) fa male, ma se proprio non ne puoi fare a meno, usa il giubbotto antiproiettile" ... e solo in calce ricordarsi di dire che il furto è proibito dalla legge. Se siamo giunti a questo punto di sovvertimento delle categorie fondamentali di lecito e illecito , vuol dire che la questione droga non si esaurisce in se stessa banalmente, ma diviene frontiera di una concezione dell'uomo e della società, di una antropologia dunque sempre più relativistica sui valori e pragmatica strumentale sulle scelte concrete (là dove lentamente solo ciò che è pragmatico, strumentale e calcolabile diviene poi vero e giusto ...), su cui non si deve rinunciare a discutere e se del caso ad opporsi. Un processo, a mio modo di vedere, in atto in campi diversissimi tra loro, che investono il rapporto oramai disordinato tra etica, comportamenti e libertà individuali e bisogni della comunità. Processi di una società post morale, che mentre sembra produrre una "deregulation" sui valori di fondo, vede risorgere nuove forme di neo moralismo igienico individualistico (come le campagne americane antitabacco, i fanatismi sulla cura del corpo e sulla salute, ecc.). In questo processo trova posto anche l'idea della depenalizzazione/legalizzazione. La depenalizzazione infatti, tende a liberare la questione della droga dalla tutela "proibizionista" (che nulla ha a che fare, è bene ribadirlo, con il carcere per i tossicodipendenti), in cui è la collettività che impone i suoi valori culturali e le sue leggi e separa ciò che è lecito da ciò che è illecito, al di là dall'efficacia immediata di simile scelta, sottoponendola (normalizzandola) a quella del promuovimento della salute. Non più luogo dell'etica ma luogo della salute. Il salto è radicale, dalla collettività all'individuo, alla sua responsabilità, alla maturazione della sua coscienza e in ultima analisi alla sua libertà (ma quale libertà in ambito di droga?). (...)

Ma è su questa idea di uomo che io pongo la mia radicale opposizione. L'uomo è certo libero e tende alla libertà, ma non solo e la vicenda della droga mostra bene quanto egli sia nello stesso tempo governato dal proprio mondo nascosto e ribelle ad ogni dominio da parte della coscienza. (...) Abdicare da parte della società a questa funzione di scelta tra il lecito e l'illecito, a porsi il problema della sopportabilità antropologica delle scelte in materia di droga, pur sottolineando la sua dannosità per la salute (sic! quale salute?), è dunque, a mio modo di vedere, molto rischioso. Per questo, come per altre molte ragioni più di ordine concreto e contingente oltre che clinico su cui qui per brevità non posso entrare, la mia opposizione è , non da oggi, radicale e ferma.

D: Il Consiglio federale davanti alle due iniziative sulle quali saremo presto chiamati a prendere posizione non ha voluto presentare nessun controprogetto. Votare no a queste due iniziative vuol dire accettare la linea del Consiglio federale?
R:
(...) Il fatto che il Consiglio federale non ha voluto presentare un controprogetto è scelta astuta ma scarsamente democratica, poiché speculando su un probabile rigetto delle due opposte iniziative, spera di fare vincere senza veramente sottoporlo al giudizio dei cittadini una propria prassi (e dunque dei propri valori) che di fatto già sta applicando, in modo da portare il cittadino poi a considerare queste scelte come le uniche possibile e dunque le uniche ragionevoli ...

La droga è indice di una crisi della civilizzazione ed è sostanzialmente su quel piano che deve essere pensata ogni strategia sociale nei suoi confronti. Il resto è cosmesi politico sociale o peggio pratica di nuove forme di dominazione igienico burocratiche sui soggetti deboli del collettivo. Una crisi che è nello stesso tempo, una sfida, che richiamala necessità e l'urgenza di una risposta capace di sottolineare con fermezza inequivocabile una scelta di civiltà e istanza etica che produca una barriera a quella che potremo chiamare da una parte la collettiva "cultura della dipendenza e dall'altra la non meno deteriore "cultura dell'igienismo individualistico e neo moralista".