A SCUOLA DI CARITÀ
"AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI, COME IO VI HO AMATI"


Di don Giuseppe Bentivoglio



Su questa rivista ho detto alcuni mesi fa che il buonismo è una corruzione della carità. Successivamente ho parlato della moralità, mettendo in luce alcuni aspetti di essa. Intendo in questo numero fare qualche osservazione in merito alla carità, che riassume la Legge e i suoi comandamenti ed è a pieno titolo ritenuta il cuore della morale evangelica.


1 . LA CARITÀ È CRISTO

Ci chiediamo: che cos'è la carità? Risposta: la carità è Dio stesso. Nella sua prima lettera Giovanni dice: "Dio è amore" (4,8: "Deus est charitas"). Ma Dio si è rivelato in Cristo. Allora diciamo che la carità è Cristo. Mediante Cristo Dio dona all'uomo la carità che egli è. Se dunque ci vogliamo rendere conto che Dio è amore, dobbiamo incontrare la sua incarnazione. L'incontro è possibile perché in Cristo, come dice S. Giovanni nel suo vangelo (3,16), Dio ha manifestato il suo amore. Di questo amore facciamo esperienza appunto perché è diventato carne e io lo posso incontrare e seguire. lo incontro Gesù Cristo e, nella misura in cui lo seguo, egli agisce in me, mi cambia e dilata il mio cuore.


2. LO SPIRITO MI RENDE CAPACE DI AMARE

Cristo agisce in me mediante il suo Spirito. L'amore di Dio, cioè Cristo, è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito. Il fatto che mi venga dato lo Spirito di Gesù e che esso agisca in me, mi permette amare. Infatti, se il mio cuore non fosse cambiato e non mi fosse dato l'amore di Dio, sarebbe impossibile amare secondo la misura di Dio. Se l'esperienza di Cristo mi cambia, allora il comandamento dell'amore può essere osservato e io mi accorgo che esso mi corrisponde, corrisponde a ciò che strutturalmente sono, alla natura che mi porto addosso. Di conseguenza nell'osservare il comandamento di Dio io sono libero.

Quindi: lo Spirito, che mi viene dato, mi rende anche capace di amare. Senza questo dono questa capacità non c'è.

Paolo nella lettera ai Romani (7,15-25) dice che l'uomo capisce che deve fare il bene, ma non riesce a farlo. C'è una divisione nell'uomo che è una conseguenza del peccato originale secondo la quale egli è impotente di fronte al bene. Vede il bene e fa il male. Lo Spirito Santo ci libera da questa impotenza. In altre parole l'uomo senza il don dell'amore di Dio, che è Gesù Cristo, non riesce ad amare. Perciò il messaggio del Vangelo non è solo: "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,19b); no è solo: "Amate i vostri nemici ..." (h 5,44). Anche gli antichi, soprattutto c stoici, erano giunti a dire che bisogna amare e che da questo amore no dobbiamo escludere nessuno, neppure i nemici. Il messaggio è che quasi esigenza morale può essere finalmente soddisfatta, in quanto ci è data la capacità di amare. Se mi fosse detti "Devi amare" e mi accorgessi di no esserne capace, questo comando, mento diverrebbe una condanna. Sarebbe come se mi fosse chiesto qua cosa di cui non sono capace. Invece da Cristo mediante il suo Spirito, l'uomo è reso finalmente capace di amare.

Se la carità mi viene data, io debbo accogliere il dono di Dio. Accoglier significa lasciarsi amare da Dio. I questo modo io rispondo all'amor con l'amore. Infatti accogliere è amare, è la risposta che do all'iniziativa Dio, che per primo mi ama. Il suo amore precede sempre il mio.

Vediamo adesso quello che Gesù dice nella risposta a chi gli chiede qual è comandamento più grande: "Uno loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestri qual è il più grande comandamento della legge?" Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti" (v. Mt 22,34-40).

Nella sua risposta il Signore dice che esiste l'amore a Dio e l'amore al prossimo. Sono i due aspetti di uno stesso comandamento. Facciamo però attenzione alle parole del Vangelo: "Il secondo è simile al primo"; simile non vuoi dire identico. C'è una somiglianza, non un'identificazione. Infatti, "Amare il Signore Dio tuo" precede "Amerai il prossimo tuo come te stesso". Se amare Dio significa accogliere il suo amore, che mi rende capace di amare, io non posso amare il prossimo se prima non accolgo l'amore di Dio. Ci viene detto che dobbiamo amare il prossimo secondo la misura di Cristo ("come io vi ho amati"). Altrimenti non è amore. È qualcosa che gli assomiglia ma non è amore: è filantropia. Se invece facciamo esperienza dell'amore di Dio diventiamo capaci di imitare il suo amore: "Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sui malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno cosi anche i pubblicano? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,43-48).

Se vogliamo amare, dobbiamo dunque fare esperienza dell'amore di Dio, ci dobbiamo radicare in Gesù Cristo, come egli stesso dice: "Rimanete nel mio amore" (Gv 15,9b).


3. DOBBIAMO GUARDARE CRISTO PER CAPIRE IN CHE MODO AMARE

Visto che dobbiamo amare gli altri, ci chiediamo in che modo li dobbiamo amare. Se l'Amore di Dio è Gesù Cristo, allora dobbiamo osservare Cristo, il suo modo di amare, il modo con cui ci ama.

a) Amare significa accogliere senza condizioni e condividere i bisogni degli altri
Dio ci ha accolti e amati nel Figlio. Siamo stati accolti senza che ci fosse chiesto alcunché. È stata un'accoglienza incondizionata, come dice S. Paolo nella lettera ai Romani: "... Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (5,6-8). Amare il prossimo non dipende allora dai suoi meriti. Se la persona che abbiamo incontrato agisce male o non corrisponde ai nostri schemi, non dobbiamo prendere le distanze da essa. L'accoglienza dell'altro è incondizionata fino al punto che ci è stato detto di amare i nemici. Dice il Vangelo: "Siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? (Mt 5,45-48).

Come Dio agisce, così dobbiamo agire noi: "... accoglietevi gli uni gli altri come Dio vi ha accolto in Cristo" (Rom 15,7).

Nella lettera ai Galati (6,2) leggiamo: "Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete alla legge di Cristo". Il peso degli altri sono le circostanze dolorose, nelle quali le persone vengono a trovarsi e i bisogni che hanno. Cristo si è fatto carico dei bisogni che gli uomini hanno. I miracoli sono la dimostrazione di questo.

Il bisogno mette in evidenza la nostra strutturale debolezza. Mette cioè in evidenza che nessuno basta a se stesso e nessuno è autosufficiente. Per compiere noi stessi bisogna che qualcuno ci aiuti. È interessante osservare che Gesù, incontrando i bisogni concreti delle persone, metteva in evidenza il fatto che essi sono la manifestazione di un bisogno più grande, di una povertà più grande. Faceva capire che "non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Gesù ha messo in evidenza che l'uomo ha bisogno di Dio. L'uomo non porta a compimento la sua umanità se non soddisfa questo bisogno fondamentale. Perciò che cosa ci ha insegnato Gesù Cristo? Ci ha insegnato che non è sufficiente, accogliendo gli altri e condividendo i bisogni materiali o spirituali che hanno, rispondere a questi bisogni e basta. Occorre andare al di là dell'immediato bisogno per stanare un bisogno più grande e per indicare una risposta. Tutti i miracoli di Gesù tendono, infatti, a suscitare la fede.

Nel convegno della Caritas il vescovo Eugenio ha detto: "È limitante guardare all'uomo e valutario a partire dal suo bisogno immediato, perché l'uomo è più del suo bisogno". Infatti, "la carità non ha come misura il bisogno dell'uomo", per cui ci diamo da fare per soddisfarlo e siamo paghi quando lo abbiamo soddisfatto, "ma l'amore di Dio, il quale ha come progetto la salvezza dell'uomo".

Dobbiamo capire che il bisogno fondamentale che gli uomini hanno è incontrare ciò per cui sono fatti: Cristo. Con queste premesse, il modo di guardare l'altro, il modo d'incontrarlo, deve cambiare. "Ogni gesto diceva il vescovo deve, nella misura dei possibile, contenere ed esprimere il tutto". lo non posso dare un bicchiere d'acqua a chi ha sete senza desiderare nel mio cuore che l'altro possa intravedere attraverso il gesto che io faccio un orizzonte più grande. Perciò, l'aiuto che diamo agli altri deve sempre manifestare una autentica passione per l'uomo, un'attenzione al destino che gli è stato assegnato, e questo destino è Cristo. Ogni uomo, infatti, è chiamato da Dio a incontrare Cristo e a fare la sua esperienza. Insomma, il vero amore è aiutare la persona a maturare integralmente. Che poi questo aiuto debba passare attraverso alcune circostanze molto concrete, è cosa ovvia. Ma fermarsi alle circostanze è sbagliato.

b) Amare significa donare se stessi
Sappiamo che Cristo ha donato se stesso agli uomini e che questo dono continua. Ogni volta che andiamo a Messa Egli dice: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo" (v. Mt 26,26). Ecco allora un altro aspetto della carità: il dono di sé. Cosa può significare per noi? Nient'altro che mettere a disposizione degli altri i doni che abbiamo ricevuto. Come si legge negli Atti degli Apostoli: "La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà ciò che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro in comune. (...) Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (4,32-35). Questo troviamo nella colletta fatta da San Paolo a favore dei cristiani di Gerusalemme durante una carestia. Ciò significa concepire le ricchezze materiali e spirituali in funzione degli altri. Dobbiamo condividere ogni cosa, quindi anche l'esperienza che facciamo. Nel Vangelo di Giovanni (Gv 15,15b) c'è una frase interessante. Cristo parlando ai suoi dice: "Vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". Cioè: ho messo a vostra disposizione ciò che ho udito dal Padre. Nel donare se stessi dobbiamo mettere in gioco la nostra esperienza. Ciò di cui l'altro ha bisogno è incontrare un'esperienza vera, come quella che i cristiani fanno.

c) Dobbiamo amare nella verità
Nella prima lettera ai Corinti (13,6) Paolo dice che "la carità si compiace della verità" e osserva che mediante la carità dobbiamo fare la verità. San Giovanni nella sua prima lettera (3,18) dice: "Dobbiamo amare nella verità". Ne consegue che non possiamo disgiungere verità e carità. Che significa? Significa che la carità non può mettere tra parentesi la verità. Non sarebbe più tale. Sarebbe buonismo. Nei rapporti con il prossimo bisogna avere il coraggio della verità, dobbiamo aiutare la persona mediante un giudizio sulle cose, sulla vita, su se stessa. lo posso dare al prossimo un aiuto materiale, ma egli ha bisogno della verità. Di questo forse non sottolineiamo mai a sufficienza l'importanza. Occorre portare all'interno di un gesto di accoglienza, di condivisione, qualunque esso sia, una preoccupazione per la verità non solo della persona, ma anche della singola circostanza, in cui la persona viene a trovarsi. Se Cristo non avesse testimoniato la verità, non saremmo stati salvati. Nella prima lettera di San Pietro leggiamo: "Dopo aver santificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità, per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi allora intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri" (1 Pt 1,22). Solo l'obbedienza alla verità permette di amare di vero cuore, cioè con un cuore vero, preoccupato della verità. La generosità e l'altruismo diventano carità a condizione che ognuno sia radicato in quella verità che egli ha incontrato e seguito, e cioè Cristo.


4. L'OBIETTIVO DELLA CARITA È LA GLORIA DI DIO ED È LA CONVERSIONE DEGLI UOMINI A CRISTO

Quale obiettivo la carità intende raggiungere? L'obiettivo è la gloria di Dio. Poiché la gloria di Dio è Cristo, l'obiettivo è rendere Cristo presente nel mondo. D'altronde, anche nel Vangelo di Giovanni (Gv 13,35) Gesù dice: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". In un altro passo del Vangelo leggiamo: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16). Quindi la carità ci viene chiesta perché gli uomini possano rendere gloria a Dio. In altre parole: l'obiettivo è la conversione della gente. Al giorno d'oggi pare diventato un disonore desiderare la conversione degli altri. Ci viene detto che è una violenza. Pensare in questo modo significa essere ai margini della tradizione cristiana, perché il compito fondamentale che il cristiano ha nella storia è la testimonianza di Cristo, in modo che tutti si convertano a Lui. Questo è il compito fondamentale e irrinunciabile, che abbiamo. La carità tende a manifestare Cristo. In Giovanni (19,23) Gesù dice: "lo in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me". Dobbiamo essere una "cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21 b).