Tra profit e non profit le ONG a una svolta

Di Piergiorgio Tami


Sulle pagine della nostra rivista in questi anni abbiamo più volte affrontato il tema del rapporto tra profit e non-profit riguardo alle organizzazioni socio-assistenziali e/o umanitarie. Più volte abbiamo affermato che un pensiero sociale sano e intelligente va di pari passo con un pensiero economico sano e intelligente. Spesso diciamo che il sociale ha un futuro se pensa anche in termini economici e d’altra parte un’economia sana e lungimirante pensa anche in termini sociali: insomma il concetto di intervento sociale in cui crediamo a Caritas Ticino è una sorta di dialogo tra profit e non-profit dove il sociale è partner dell’economia e non una palla al piede, dove imprenditorialità o fattibilità economica non sono categorie anomale prese in prestito.
Per questo è con grande piacere che pubblichiamo il contributo di Piergiorgio Tami che partito con la moglie vent’anni fa dal Ticino per l’Asia, oggi in Cambogia porta avanti vari progetti di aiuto a donne e bambini con uno sguardo per nulla assistenziale o pietistico. La sua testimonianza e la sua analisi vissuta in una realtà lontana e drammatica ha molto da dire anche alle nostre latitudini per quanto riguarda l’impostazione metodologica del lavoro sociale. Per questo gli sono particolarmente grato.

Roby Noris, direttore di Caritas Ticino

 

Il Progetto Hagar ha iniziato la sua attività nel mese di febbraio 1994 con un Centro di accoglienza per madri e bambini della strada. Il Centro è impostato su un approccio olistico ed offre una clinica di consulenza, vari programmi educativi e una formazione professionale che permettono alle mamme e ai propri figli di reintegrarsi socialmente ed economicamente nei propri villaggi. Nel corso degli anni, il Centro Hagar si è impegnato anche ad offrire una formazione professionale abbinata ad una strategia di mercato e tecnologicamente adeguata per le necessità di un’economia cambogiana ancora molto fragile.
Putroppo nel corso di questi anni l’organizzazione ha dovuto confrontarsi con la triste realtà di una società nella quale le donne, seppur rappresentando la maggioranza della forza lavorativa del paese, sono sempre ancora penalizzate da barriere culturali, sociali ed economiche, e soprattutto continuano ad essere vittime di abusi e di violazioni dei propri diritti. Tutto questo ovviamente senza alcuna difesa legale. Il Progetto Hagar ha quindi deciso di lanciare delle micro-aziende che permettessero a queste ragazze e donne di lavorare in un ambiente ideale e di godere dell’autosufficienza economica a lungo termine. Le attività delle tre micro-aziende Hagar consistono nel cucito industriale, nel catering e nella produzione/vendita di latte di soia. Dopo alcuni anni di attività però, sono apparsi dei sintomi di “infelicità coniugale” tra gli obbiettivi della ONG e quelli delle aziende commerciali. Inoltre, Hagar ha dovuto prendere atto della propria mancanza di crescita tecnologica e professionale a livello di management e di marketing che permettesse alle micro-aziende di trovare un loro posto sul mercato ed una redditività ragionevole a lungo termine. Mancando di risorse all’interno della organizzazione stessa, Hagar ha cercato e trovato un partner ideale per rispondere a queste esigenze nel “Mekong Project Development Facility” (MPDF): un progetto della Banca Mondiale inteso ad offrire agli imprenditori dellla regione un’assistenza mirata a stimolare l’economia locale. Una consulenza tecnica e finanziaria, la creazione di un busniness plan quinquennale, l’assistenza legale e manageriale e l’accesso alle risorse finanziarie necessarie, sono i benenfici ottenuti grazie a questa partnership.
Ciò ha permesso alle aziende di evolversi. Attualmente Hagar Design, per la produzione ed esportazione di prodotti in seta, e Hagar Soya, per la produzione di bibite, sono aziende già attive commercialmente. Il punto più dibattuto e controverso in questo ambito è stato il connubio tra il profit e il non for-profit. Il mondo commerciale non crede che una ONG sia in grado di gestire con profitto un’impresa commerciale, mentre le ONG criticano il mondo commerciale per il fatto di essere succube di interessi finanziari, che ignorarno qualsiasi aspetto sociale. Per i motivi sopraelencati, quando Hagar ha deciso di commercializzare le proprie attività, alcuni esperti della Banca Mondiale, come pure gli esperti del mondo dello sviluppo, hanno espresso il loro scetticismo. Perchè mettere sotto lo stesso tetto manageriale due identità con obbiettivi apparentemente in conflitto? Hagar ha allora cercato di trovare una via di mezzo, partendo da nuovi presuppostii; ossia separando le funzioni delle aziende da quelle della ONG, pur mantenendone l’unità formale. Il processo è chiamato commercializzazione della ONG. Hagar ha effettuato questa innovazione registrando le ditte commerciali separatamente presso il Registro di commercio e creando poi un Consiglio di Amministrazione formato da affidabili uomini d’affari. Queste persone hanno il compito di confermare la credibilità commerciale delle aziende, attenendosi strettamente al piano commerciale prestabilito, secondo i criteri fissati dalla Banca Mondiale. Gli statuti delle aziende sono stati redatti da Hagar, affinché anche gli obiettivi sociali fossero parte integrante della filosofia delle aziende commerciali. Le ditte appartengono alla ONG e quest’ultima, in qualità di azionista, può utilizzare liberamente i dividendi per finanziare i propri progetti. A lungo termine questa possibilità rende giustizia alle esigenze reali delle donne povere, creando lavoro per loro, e allo stesso tempo aiutando la ONG a diversificare le proprie fonti di sostegno finanziario. Gli obbiettivi delle aziende sono i seguenti:

· creare lavoro per ragazze e donne provenienti dai programmi Hagar o da altre ONG
· introdurre nuove tecnologie in Cambogia
· creare dei modelli di gestione basati sui valori dell’onestà, della giustizia e della trasparenza
· trarre dei profitti atti ad autofinanziare Hagar.

Questo tipo di imprenditorialità sociale crea delle strutture economiche sostenibili, fatte di relazioni, di organizzazioni e di pratiche che generano un beneficio sociale continuo.
La condizione per l’ottenimento di questi risultati è la disponibilità di competenze commerciali indirizzate per principio a produrre un impatto sociale. Probabilmente questa pratica non è molto conosciuta, ma non è comunque nuova. In Sud America diverse organizzazioni applicano con successo questo sistema. Nel 1911 un prete gesuita creò una Fondazione con l’espresso intento di finanziare i propri programmi di sviluppo attraverso delle imprese commerciali. Attualmente la Fondazione possiede ben 13 aziende del valore complessivo di circa un miliardo di dollari americani.
L’eventuale fallimento nel raggiungere gli obbiettivi prefissati sarebbe da imputare o al fatto che essi non erano realistici o alla mancanza delle capacità interne della ONG di gestire armoniosamente sia il profit che il non for-profit. La sfida, insomma, consiste nel gestire i cambiamenti interni e esterni, in mondi essenzialmente instabili e incerti.
Vorrei anche attirare l’attenzione sulla questione dell’auto-finanziamento. Per i direttori delle ONG, il finanziamento delle proprie attività è una grande responsabilità. E’ questo un argomento di importanza fondamentale e da affrontare con la massima urgenza, perché nei paesi sottosviluppati il settore pubblico è praticamente inesistente o disinteressato all’argomento. Infatti, sarebbe auspicabile che, ad un dato momento, il settore pubblico locale intervenisse dando man forte nel finanziamento, perché le ONG non possono dipendere perennemente dalle medesime fonti di sostegno: fonti che provengono principalmente dall’Occidente. Le ragioni sono molteplici: il flusso degli aiuti finanziari sono instabili, per esempio per il fatto che i donatori pongono delle condizioni che compromettono la flessibilità e i valori innovativi delle ONG; oppure vogliono intervenire in quelle situazioni che appaiono più drammatiche, che hanno un risvolto politico o che fruttano una buona dose di pubblicità. Va’ inoltre aggiunto che spesso i finanziatori pongono dei limiti specifici e fissano dei criteri su come deve essere speso il denaro o sulla durata stessa del progetto. Molto spesso le ONG fanno le spese di queste restrizioni e i budget per i costi di amministrazione e i costi generali devono essere ridotti all’osso. In questo modo la sostenibilità dell’Organizzazione stessa diventa estremamente difficile. Il donatore entusiasta è maggiormente interessato all’aspetto più eclatante, immediato e concreto del Progetto e preferisce quindi rivolgere la sua attenzione alle attività della ONG, piuttosto che al sostegno della ONG stessa. Di conseguenza, lo sviluppo istituzionale dell’organizzazione rimane purtroppo sempre ancora una delle ultime priorità, anche se poi allo stesso tempo i donatori si aspettano la SOSTENIBILITA’! La realtà è che le ONG devono cercare i finanziamenti “laddove ce ne sono” e ciò a dispetto delle priorità stabilite nel proprio piano strategico. In questo modo l’Organizzazione è intrappolata in un circolo vizioso di dipendenza. Questo discorso si applica alle fonti esterne, tipiche dell’Occidente ricco e più disponibile e generoso. Per le fonti all’interno del paese, la situazione è poco confortante. Fonti private, donazioni pubbliche e governi stessi non sono ancora abbastanza sviluppati per poter rispondere in modo adeguato alle esigenze. Una corruzione endemica e disumana, la violenza, la povertà e il caos sociale rappresentano un grosso ostacolo alla filantropia locale. Per non parlare poi dei valori sociali, delle tradizioni e della cultura: fattori che rappresentano grandi barriere al processo di finanziamento dello sviluppo del paese. E’ imperativo quindi che le ONG diventino più intraprendenti e imparino a sfruttare le opportunità di mercato e a trasformarle in beni e capitali sociali per i bisognosi. Le organizzazioni imprenditoriali sono così stimolate a cercare l’autofinanziamento creando delle nuove fonti di risorse sostenibili. Tale autofinanziamento contribuirà a diversificare le fonti di aiuto finanziario consentendo alle ONG di offrire nuove alternative per raggiungere poi nuovi livelli di impatto e di trasformazione sociale a lungo termine. Insomma, la famosa “sostenibilità” si trasformerà in obbiettivo raggiungibile invece di rimanere un mero concetto. La ONG del nuovo Millennio è un ibrido tra il “non for-profit” nell’intento e il “profit” nell’approccio.

 

ABBA dalla Cambogia al Ticino

ABBA: un nome e una sigla per aiutare: in aramaico esprime l’amore del Padre verso i figli, e si identifica quindi con la caratteristica dell’Associazione Bambini Bisognosi D’Asia, con sede a Corzoneso.
Un’Associazione nata per dare un futuro di speranza ai più deboli, i più indifesi, i più maltrattati: i bambini. Bambini nati in famiglie poverissime, che per la disperazione in cambio di qualche soldo, vengono venduti a persone senza scrupoli, diventando merce pregiata sul mercato del sesso, fino a quando l’AIDS non li trasforma in rifiuti da gettare dopo l’uso. Bambini che troppo presto hanno dovuto imparare ad arrangiarsi e per sfamarsi rovistano nei rifiuti, vivono sulle strade, sono disposti a tutto, e la violenza e la delinquenza diventano le loro armi per sopravvivere.
Una situazione comune in molti paesi, e fra questi anche la Cambogia: un paese che oltre a 20 anni di guerra civile, disordini e sconvolgimenti politici alle spalle, non ha ancora rimarginato le ferite profonde inflitte dal duro regime di Pol Pot. È in questa realtà che Piergiorgio e Simonetta Tami-Sangiorgio nel 1993 hanno dato vita a un progetto di aiuto e sviluppo, il progetto Hagar.

E noi, cosa centriamo in tutto questo? Cosa possiamo fare a migliaia di chilometri di distanza? Poco o tanto non è ha importanza, ma qualcosa possiamo fare, perché con la forza della solidarietà, anche il poco si moltiplica e cresce, dando i suoi frutti.
ABBA è nata proprio per questo. Per raccogliere e coordinare i fondi necessari, per permettere la realizzazione di progetti di aiuto e sviluppo nei paesi del sud, per accendere una luce di speranza nell’oscurità dell’abbandono. Ma non solo per questo: ABBA vuole parlare di quei problemi che se da un lato sono geograficamente lontani, sono vicini anche alle nostre latitudini, come l’abuso dei bambini, l’Aids, le mamme in difficoltà, sensibilizzando in particolare i giovani, che saranno gli adulti del domani.
ABBA ha uno statuto legale dove è scritto nero su bianco che tutti i doni raccolti vengono inviati integralmente ai progetti: nessuna deduzione per spese collaterali, che vengono coperte dalle quote sociali. Tutti quelli che collaborano con ABBA lo fanno gratuitamente. ABBA si impegna a informare sulle attività, su come evolvono i progetti, come le offerte vengono tradotte in aiuti concreti, pubblicando INFO, il giornale dell’associazione. ABBA importa e distribuisce i prodotti artigianali realizzati nel laboratorio del cucito Hagar, dove le donne possono lavorare ricevendo un salario equo che permette loro di mantenere la propria famiglia.

Segretario ABBA: CH- 6722 Corzoneso
Tel. Fax: 091 871 11 62 - ccp. 90-114717-2
www.abba-ch.org
ABBA è riconosciuta dal Cantone come ente di utilità pubblica ed è membro della FOSIT