Autodeterminazione della donna e protezione della vita


Di Monica Duca Widmer


Compito fondamentale dello Stato è quello di salvaguardare i beni principali, tra i quali sicuramente la vita: in effetti secondo il nostro codice penale l’aborto è illegale e tale rimane anche nella proposta denominata “soluzione dei termini”.

La differenza rispetto alla situazione attuale è che lo Stato, pur mantenendo la regolazione dell’aborto nel codice penale e ribadendo che lo stesso è illegale, propone di non prevedere alcuna sanzione se l’interruzione di gravidanza viene effettuata nel corso delle prime 12 settimane da una donna che si dichiara, per iscritto, in stato di angustia (art. 119 cpv 2). Anche dopo questo termine è comunque possibile interrompere la gravidanza senza sanzione alcuna: “L’interruzione della gravidanza non è punibile se, in base al giudizio di un medico, è necessaria per evitare alla gestante il pericolo di un grave danno fisico o di una grave angustia psichica. Il pericolo deve essere tanto più grave quanto più avanzata è la gravidanza.” (art. 199 cpv.1).
Non vi è quindi alcun limite temporale alla richiesta di interruzione di gravidanza: anche dopo le 12 settimane sarà un medico a decidere se e quando la stessa potrà essere eseguita.
Negli ultimi anni, malgrado il nostro codice penale contenesse delle sanzioni molto severe, le stesse non sono più state applicate e le prassi cantonali si sono molto allentate, con differenze regionali notevoli.
Se partiamo dal presupposto che il nostro Paese voglia tutelare veramente la vita umana, che per una donna la decisione di interrompere la gravidanza è sempre una decisione difficile, un dilemma, allora la risposta dello Stato a questo problema non può essere – dopo 60 anni di attesa - solo un “prendere atto” della situazione reale (interruzione di gravidanza praticata liberamente nel nostro Paese) modificando il Codice penale in modo tale che non vi sia più una discrepanza tra quanto avviene e quanto sta nella legge.


Aborto: un fenomeno dilagante

La società deve impegnarsi affinché il numero delle interruzioni di gravidanza diminuisca e ciò con una migliore educazione sessuale, con l’educazione alla pianificazione delle nascite, con il potenziamento dei consultori di gravidanza e familiari ma specialmente offrendo alla donna - che per problemi economici o sociali sta pensando ad un’interruzione di gravidanza per risolverli - delle misure concrete ed immediate di sostegno.
Nel 2000 in Ticino ogni 4,2 nascite si è registrato un aborto. Nel 1999 ogni 5 nascite vi é stato un aborto: 613 sono stati i bambini che non hanno potuto veder la luce.
Non sono quindi casi isolati, è un fenomeno diffuso, che rischia, con la modifica di legge proposta, di venir ulteriormente banalizzato: l’interruzione di gravidanza diviene non tanto l’eccezione per casi estremi, ma piuttosto la risposta dovuta ad una necessità del singolo individuo in una società sempre meno solidale e sempre più individualista. La modifica di legge permetterebbe di fatto anche alle ragazze con meno di 16 anni di abortire senza peraltro dover avvisare i genitori.


Cultura dell’accoglienza

Accanto ad un notevole miglioramento quantitativo e qualitativo dei mezzi preventivi, nel nostro Paese non si é purtroppo sviluppata una cultura dell’accoglienza della vita: il riflesso di questa constatazione lo troviamo nella grave lacuna presente tuttora nelle nostre assicurazioni sociali - l’assicurazione maternità in testa - nella quasi totale assenza di una politica globale a favore della famiglia e nella generale poca considerazione della gravidanza e della maternità da parte del mondo del lavoro.
Le donne in stato di angustia che chiedono l’interruzione di gravidanza sono in molti casi donne sole, che dovrebbero provvedere al sostentamento del proprio figlio, famiglie con già figli che si vedrebbero ulteriormente ridotto il budget famigliare, donne che temono di perdere il proprio posto di lavoro o di dover rinunciare ad una carriera professionale.


Un problema di tutta la società

La soluzione dei termini così come uscita dalle camere – e sulla quale siamo chiamati ad esprimerci - fa diventare privato un problema che è della società e lascia questa stessa donna in stato di angustia, nel nome della propria autodeterminazione, completamente sola con il suo problema.
Rifiutando di introdurre una consulenza obbligatoria, rifiutando la corresponsabilità del partner, rifiutando di offrire degli aiuti materiali e morali per mostrarle concretamente l’alternativa di poter portare a termine la gravidanza e di accettare questa nuova vita, non le si da la possibilità di scelta reale, non si fa nulla per aiutarla in un momento così difficile, ma specialmente non si fa nulla per proteggere questa nuova vita. Si offre alla donna nel dilemma un aborto pagato dalla cassa malati e una consulenza con il suo medico, che può essere lo stesso che praticherà l’interruzione di gravidanza.
Ma quando la gravidanza è già in corso la donna non è più sola, c’è un altro essere umano in evoluzione. L’autonomia dell’individuo sempre più marcata nella nostra società, ci sta facendo dimenticare che il diritto di autodeterminazione non può sopraffare il diritto di protezione di ogni forma di vita. La vera sfida oggi, se si crede veramente che il numero di interruzione di gravidanze debba essere ridotto al minimo, è quella di lottare affinché vi siano le condizioni quadro atte a permettere di conciliare la gravidanza e la maternità con il lavoro, con la coppia, con la famiglia monoparentale, a offrire alla donna, che in ultima battuta dovrà decidere, l’alternativa. Questa alternativa manca totalmente nella modifica del codice penale così come prevista ed allora non possiamo accettarla. Non perché si ritenga la situazione attuale soddisfacente, tutt’altro, ma perché ci si aspetta delle soluzioni degne di questo nome. Questa modifica codifica una prassi vigente senza portare niente di nuovo, se non un’ulteriore banalizzazione dell’aborto. No quindi alla soluzione dei termini così come proposta.