Dalla storia uno sguardo al futuro 3a parte
Lo sviluppo di un servizio sociale polivalente
(1959-’75)

Una panoramica storica in cinque puntate su Caritas Ticino
in occasione del 60mo anniversario, curata dallo storico Alberto Gandolla



Di Alberto Gandolla


A partire dalla metà-fine anni Cinquanta il Ticino, come il resto dell’Europa occidentale, conosce un periodo di boom economico, certo con caratteristiche tutte sue: una posizione di partenza piuttosto arretrata, una netta dipendenza dalla Svizzera interna e anche dall’Italia (vedi l’importanza dell’”effetto frontiera” e la sensibilità alle sue vicende politiche ed economiche). Il nostro cantone, pur con dei limiti, si modernizza. Certe forme di povertà e di emarginazione però – ce ne se renderà conto meglio un po’ dopo – non scompaiono con la diffusione della società del consumo. Anzi, si fanno più insidiose: chi per un motivo o per l’altro non riesce a tenere il passo con i nuovi e moderni ritmi di vita rischia di essere emarginato. A Caritas così anche in questo periodo favorevole dal punto di vista economico non manca certo il lavoro, e pur con i suoi limitati mezzi finanziari tenta di far fronte ai bisogni delle persone rimaste ai margini della società del benessere.


Lo sviluppo dello Stato sociale

Con il sorgere di nuovi bisogni sociali nasce la necessità di nuove risposte. Lo Stato sente arrivato il momento di promuovere direttamente il settore sociale, gestito ancora fino agli anni Cinquanta principalmente da enti e associazioni private, molte delle quali di ispirazione cattolica. La costruzione di quello che viene poi chiamato lo Stato sociale avviene comunque in modo pragmatico, inseguendo le necessità; ecco qualche tappa di questo sviluppo. Nel 1949 all’interno del Dipartimento d’Igiene è costituito il Servizio cantonale d’igiene mentale (SIM): dieci anni più tardi lo stesso Dipartimento, ormai inadeguato, è sostituito dal Dipartimento delle Opere Sociali (DOS). Questa nuova creazione è importante, seppur tardiva, e il ritardo accumulato nei settori socio-sanitario non sarà facilmente recuperato. Di fatto i singoli provvedimenti legislativi avverranno sotto il segno dell’urgenza, senza una visione globale. Fino agli inizi degli anni Sessanta, per esempio, la cura dei giovani orfani, abbandonati o debili, in pratica è assunta dagli istituti retti da religiosi o altri privati. Il DOS nel 1959-60 conduce un’inchiesta sulla situazione in cui versano i giovani bisognosi, e il risultato è sconfortante: la pur generosa attività dei vari istituti privati non riesce a garantire delle adeguate cure a tutti, per cui molti ragazzi versano in situazioni gravi o difficili. Si arriva così, proprio per i cambiamenti della società, a concepire e a varare una Legge per la protezione della maternità, dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza (LPMI, 1963), che esprime la volontà dello Stato di promuovere l’azione di prevenzione e di protezione per determinate categorie di persone. Questa risulta un po’ la “legge-madre” (da notare che nel gruppo di lavoro per la sua preparazione vi è, e non è certo un caso, anche don Cortella) del nuovo Stato sociale ticinese, e dà l’avvio a numerosi altri interventi nel campo sociale. Fra le altre leggi importanti ricordo quella sull’assistenza sociale del 1971 – che abbandona il vecchio concetto di “assistenza pubblica” comunale a favore di un’assistenza sociale gestita dallo Stato - e l’inizio di un’attiva politica a favore degli anziani (legge del 1973). Come si sviluppano i rapporti tra le “vecchie” associazioni caritative private e il nuovo tipo di intervento statale? Don Cortella affronta numerose volte questo delicato argomento. In un suo intervento, nel 1970, dopo aver riconosciuto l’importanza dell’intervento dello Stato, sottolinea quattro punti: il rapporto deve essere complementare, lo Stato non può pretendere di avere il monopolio dei servizi sociali, i problemi morali sono più convenientemente affrontati dalle opere private, e infine come sia necessaria una pianificazione e una programmazione comune nel rispetto dei differenti compiti. Nel concreto i rapporti tra lo Stato (il DOS) e le iniziative caritative cattoliche sono di regola corretti, ma non mancano di qualche tensione. Lo Stato non sempre rispetta quanto già esiste nel campo “privato”, e d’altra parte il mondo cattolico a volte è un po’ diffidente verso l’azione laica (“neutra”?) statale. Se di tanto in tanto vi è qualche screzio, vi sono comunque numerosi casi di proficua collaborazione; per esempio dei corsi di aggiornamento organizzati da Caritas per le Suore operanti nelle case per anziani finanziato dal DOS (1970-72), oppure la collaborazione dell’ente cattolico alla preparazione della Legge sul promovimento, coordinamento e sussidiamento delle attività sociali in favore delle persone anziane nel 1973.


Le nuove attività di Caritas

Nel campo della socialità è ormai evidente che non bastano più l’intelligenza, la sensibilità e la generosità, ma c’è ormai bisogno anche di competenza e di tecniche adeguate. La necessità di un salto qualitativo viene percepito dalla Caritas diocesana, che nel 1959 assume la sua prima assistente sociale fissa, la signorina Giovanna Tognola. In questo modo l’attività caritativa assume un carattere più professionale, anche perché, seguendo un’evoluzione dettata dal bisogno, negli anni seguenti il personale si amplia e vengono assunte altre operatrici sociali; Caritas diventa probabilmente il primo vero servizio sociale polivalente del cantone. La sua attività si allarga (anche geograficamente: si aprono degli uffici a Bellinzona e a Locarno) e nel 1967, anno in cui Caritas festeggia i suoi 25 anni di esistenza, grazie all’interessamento del vescovo mons. Jelmini può trasferirsi nella nuova sede in via Lucchini 12 a Lugano. Nel frattempo, con il boom economico, il Ticino diventa – per la prima volta – una terra d’immigrazione; fra i molti lavoratori, soprattutto italiani, che arrivano, ve ne sono alcuni che dopo un po’ hanno problemi finanziari e di integrazione. Don Cortella, conscio dei propri limiti finanziari, decide (a malincuore) di poter aiutare solo le persone provviste di un regolare contratto di lavoro o di un permesso di dimora. Lo stesso don Cortella – che nel 1959 viene nominato Arciprete della Cattedrale di Lugano e nel 1961 con la prelatura diventa Monsignore - partecipa tra l’altro, per incarico della Conferenza episcopale svizzera, anche al lavoro della Commissione cattolica per l’emigrazione. Quando poi alla fine degli anni Sessanta si sviluppa il movimento xenofobo di Schwarzenbach, Caritas, insieme alle altre organizzazioni umanitarie, assume (ma è il caso di dirlo?) una netta presa di posizione contraria.
Un’altra importante questione è quella delle madri nubili. Nel 1964, per iniziativa di Caritas si apre a Lugano una Casa della madre e del bambino, con lo scopo di permettere alle giovani madri di allevare il loro bambino e di continuare il lavoro. Questa interessante esperienza di accoglienza dura sei anni.
A partire poi dagli anni Sessanta intanto, grazie all’azione e alla diffusione dei mass-media e soprattutto della televisione, il mondo diventa un “villaggio globale” e le sciagure e le disgrazie internazionali entrano nelle nostre case. Anche la carità si fa mondiale e nel 1970-71 la nostra Caritas diocesana collabora a organizzare delle collette a favore della gente del Biafra (Guerra civile), della Turchia (terremoto), della Romania (inondazione) e del Pakistan (guerra civile). Un sintomo dell’allargamento delle attività di Caritas è la partecipazione di mons. Cortella e di altri suoi collaboratori a diversi altri organismi caritativi a livello nazionale, come per esempio al Groupement romand des institutions d’assistance publique et privée e al Cartel romand d’hygiène sociale et morale, oltre naturalmente ai legami con la Caritas centrale di Lucerna. Nel 1972, intanto, Caritas compie trent’anni. Non è nello stile di mons. Cortella indulgere nelle commemorazioni; alla fine di quell’anno viene comunque pubblicato un libretto in cui si presenta il significato e l’azione di Caritas, definita l’”espressione del servizio di carità che la nostra Chiesa vuole offrire alla società nella quale è incarnata”. In questo momento il personale, oltre che dal direttore, è composto da otto impiegati fissi, da altri sei collaboratori e da vari volontari. L’anno seguente per iniziativa di Caritas nasce la Federazione ticinese delle opere sociali e assistenziali (FTOSA), interessante tentativo di collaborazione e coordinamento fra vari enti caritativi cantonali.


Nuovi statuti per Caritas

Spesso mons. Cortella aveva definito Caritas “la meno burocratica delle opere di beneficienza”. Falliti nell’immediato dopoguerra alcuni tentativi di riorganizzazione interna, Caritas rimane per più di vent’anni un semplice ufficio diocesano. A partire dalla metà degli anni Sessanta, di fronte ai mutamenti in corso della società, inizia un tentativo di precisare e definire meglio lo statuto giuridico e pastorale dell’ente caritativo. Il 5 ottobre 1965 il vescovo mons. Jelmini costituisce la Caritas diocesana in Fondazione ecclesiastica, quale centro di coordinamento di tutta l’attività assistenziale cattolica ticinese. All’inizio del 1968 sembra poi potersi realizzare un vecchio sogno di mons. Cortella, e cioè la formazione di un’Associazione ticinese di carità, che potesse essere un valido punto di appoggio alle iniziative di Caritas, ma la morte del vescovo Jelmini interrompe per qualche tempo lo slancio verso la costituzione di questa associazione. Quest’ultima prende vita l’anno seguente, in maniera però meno significativa di quanto sperato. Nel maggio 1969 vi è un’importante lettera di Caritas a tutti i sacerdoti della diocesi, controfirmata anche dal nuovo vescovo mons. Martinoli. In essa si domanda l’esplicita collaborazione di tutti i preti, per poter davvero fare di Caritas “il punto di partenza dell’attività cattolica nel campo educativo ed assistenziale”. Mons. Cortella afferma inoltre che l’intenzione originaria del vescovo Jelmini riguardo a Caritas si era potuta realizzare solo “in minima parte” per i pochi mezzi a disposizione; scrive anche che si impone una riorganizzazione dell’attività caritativa cattolica per meglio dialogare con lo Stato e per meglio tutelare la fisionomia morale delle opere cattoliche. Il 15 ottobre 1971 mons. Martinoli con un decreto conferma la Caritas diocesana come organo di collegamento tra il vescovo e tutte le congregazioni religiose e le associazioni cattoliche aventi fini caritativi e sociali. Il 7 settembre dell’anno seguente il vescovo con un ulteriore decreto ribadisce la Fondazione ecclesiastica Caritas diocesana quale centro di coordinamento di tutta l’attività assistenziale cattolica del cantone e l’Associazione ticinese di carità quale sua filiazione con personalità giurifdica propria.


Il Sinodo 72

Se il Concilio Vaticano Secondo (1962-65) segna una tappa fondamentale per il mondo cattolico contemporaneo, è noto che proprio negli anni seguenti inizia una grave crisi di quest’ultimo. La laicizzazione e la secolarizzazione della società, il crollo dell’associazionismo cattolico tradizionale, ecc., determinano un momento difficile per la comunità cristiana. La pratica tradizionale entra in crisi, anche se d’altra parte si sviluppano dei tentativi di un recupero dei valori e dell’esperienza cristiana vissuti in nuove forme. Nel 1969 la Conferenza episcopale svizzera decide di indire dei sinodi diocesani, con una preparazione a livello nazionale, coinvolgendo anche i laici, proprio nello spirito del Concilio. Mons. Martinoli inaugura il Sinodo diocesano il 23 settembre 1972, affermando la necessità di rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo con uno spirito di apertura, di aggiornamento e di conversione. All’esperienza sinodale partecipano anche vari operatori di Caritas, che per l’occasione preparano alcune utili riflessioni sul proprio operato. Nel documento no.8 “I compiti sociali della Chiesa” vi è la redazione di un testo sulla Caritas diocesana. Si chiede di istituire una commissione che esprima la reponsabilità sociale della Chiesa locale; la realizzazione di quanto studiato o deciso deve essere affidato alla Caritas diocesana, che a questo scopo deve essere dotata delle necessarie strutture e aiuti finanziari. Altri orientamenti importanti sono presenti anche in altri documenti (per es. il no. 3 e 4) in cui la “diaconia” è giustamente considerata nel contesto di una efficace pastorale d’insieme e sempre come vivace testimonianza di solidarietà verso ogni forma di povertà e di emarginazione.
Le indicazioni del Sinodo 72 – i cui lavori terminano nel ’75 - sono state realizzate e hanno portato a una reale maturazione della comunità cristiana ticinese? Il bilancio è complesso e probabilmente non troppo positivo; di sicuro le discussioni hanno comunque favorito un’ulteriore riflessione sul senso e l’opera della nostra Caritas dicocesana.