Dalla storia uno sguardo al futuro (Il dopoguerra 1947-'59)


Di
Alberto Gandolla

 

 

Nel 1947 finisce l’azione di soccorso alle città del nord Italia, inserita nell’ambito del Dono svizzero per le popolazioni bisognose; l’ultima a chiudere è, nel mese di settembre, l’assistenza alla casa per ragazze madri a Varese. Per Caritas termina così il primo periodo caratterizzato da eventi eccezionali e comincia il difficile ritorno alla normalità. Senza più le risorse del Dono svizzero, Caritas può operare in sostanza solo con le collette e l’aiuto finanziario del popolo ticinese, pure provato dagli anni di guerra. Se la situazione economica è ancora incerta, anche il momento politico é delicato. Nel 1947-48 inizia infatti la guerra fredda a livello internazionale, in Ticino il governo comincia “l’intesa di sinistra” fra liberali e socialisti, con i conservatori posti in minoranza, mentre in Italia è il momento dei grandi scontri fra DC e PCI; è insomma l’epoca di don Camillo e Peppone.

In Ticino nell’immediato dopoguerra non si registrano subito particolari progressi nella legislazione sociale. Sono ancora le organizzazioni sindacali che con le loro rivendicazioni e anche una serie di scioperi - importante quello dei falegnami nell’estate del 1949, durato ben tre mesi – riescono in alcuni settori professionali a migliorare i salari e le condizioni di lavoro.  Nel campo socio-sanitario è da segnalare, nel ’49, la costituzione, presso il Dipartimento d’Igiene, del Servizio cantonale di igiene mentale (SIM), divenuto necessario per la constatazione dell’aumento dei casi di disturbi nervosi e mentali e per l’urgenza di un’opera di prevenzione. Un tema molto importante, portato avanti in particolare dalle forze dell’area cattolica, è quello della difesa della famiglia. Già nel 1940 Francesco Masina aveva presentato in Gran Consiglio una mozione a favore di allocazioni familiari obbligatorie. Nel novembre del 1945 il popolo svizzero approva un nuovo articolo sulla protezione della famiglia, che autorizza tra l’altro a legiferare in materia di assegni familiari. Finalmente nel luglio del 1953 il cantone adotta una Legge sugli assegni familiari ai salariati (LAF); pur in modo timido inizia così una politica di protezione della famiglia (politica… carente ancora oggi!).

I primi anni del dopoguerra in Ticino sono caratterizzati ancora da un certo ripiegamento, dal pensare che il futuro … non potrà che mantenere l’economia rurale tipica del cantone. Ma lentamente le cose iniziano a cambiare: nel 1946 a Giornico sorge la Monteforno, aperta con capitali italiani, nel 1951 si dà vita a una legge sul promovimento dell’industria e dell’artigianato, si inizia a progettare una serie di grandi opere idroelettriche, si costruiscono strade e si pongono le basi per la costruzione delle autostrade, ecc. Gli addetti all’agricoltura diminuiscono, l’esodo rurale riprende a spopolare le valli e le campagne a profitto dei centri cittadini; per la prima volta il Ticino diventa un paese d’immigrazione e non più di emigrazione. Questi ultimi fenomeni diventano evi­denti so­ prat­tutto dopo il 1955, quando inizia un ventennio di sviluppo senza precedenti: a partire da quella data il Ticino entra davvero, per la prima volta, nella “modernità”.

 

 

Un nuovo direttore di Caritas, don Cortella, per problemi nuovi e vecchi

 

Dopo l’emergenza dell’aiuto alle vicine popolazioni bisognose, Caritas deve operare un “ritorno alla normalità”, come scrive Masina al vescovo Jelmini nella primavera del 1947. In occasione della colletta di Pentecoste del 1948 è distribuita una lettera che tra l’altro dice: dopo aver fatto tanto per le vittime della guerra di altri paesi, è lecito ritenere e sperare che il nostro popolo abbia a compiere un gesto di carità e di solidarietà in confronto di tanti nostri vecchi, bambini, ammalati che si trovano in bisogno reale, tante volte urgente e nascosto. Certo la questione finanziaria diventa subito grave e condiziona un po’ tutta l’attività dell’ente: il personale si riduce al direttore-segretario Masina e a due o tre collaboratori fissi, più alcuni volontari. Un paio di progetti per riorganizzare Caritas sono preparati dal suo direttore e inoltrati in Curia, ma non hanno esito positivo.

Alla fine del 1948 vi è un importante cambiamento: Francesco Masina, non più in verde età e sempre molto impegnato nell’OCST e in politica, si ritira dalla presidenza dell’ente diocesano; lo sostituisce il giovane sacerdote don Corrado Cortella. L’annuncio è contenuto nella lettera vescovile del 21 dicembre. Mons. Jelmini scrive che lo sviluppo preso da Caritas in sei anni di vita, il moltiplicarsi dei bisogni e delle iniziative, il desiderio di assicurare sempre più saldamente l’avvenire di questa istituzione che ha dimostrato di saper fare tanto bene e che é chiamata a farne ancora di più, il lavoro che aumenta di giorno in giorno, mi hanno portato alla decisione di consacrare alla Centrale Ticinese di Carità un Sacerdote come direttore. Don Cortella, nato nel 1910, consacrato nel ’37, parroco a Pollegio e a Porza, è chiamato dal vescovo Jelmini in Curia nel ’42. In qualità di cappellano militare durante la guerra si occupa anche dell’assistenza religiosa dei profughi finiti nei campi per rifugiati dipendenti dalla autorità militare; è in questo modo che entra in contatto anche con l’attività di Caritas. Dal punto di vista materiale la situazione, per il nuovo direttore, non è certo molto incoraggiante: personale fisso ridottissimo, una sede modesta (dalla casa in via Nassa al seminterrato del palazzo vescovile; in seguito nuovo spostamento in via Stazione, presso la casa dei Chierici poveri), un finanziamento lasciato alla generosità del vescovo e del popolo ticinese. Don Cortella inizia però la sua attività con una grande fiducia nella Provvidenza, e pur con un lavoro umile e spesso poco appariscente comincia a dare un’impronta caratteristica alla Caritas diocesana. Per il nuovo direttore é importante incontrare l’uomo nel suo bisogno, partecipare alla sua sofferenza e cercare di alleviarla; spesso disagio materiale e disagio morale si accompagnano. Sul Monitore Ecclesiastico del maggio 1950 don Cortella (che il mese seguente entra a far parte anche del comitato esecutivo della Caritas centrale di Lucerna) presenta il proprio ente e delinea una sorta di programma. La presenza di Caritas deriva dall’esistenza dei poveri, dalla necessità di raggiungere i bisognosi dove altre istituzioni non arrivano e dalla volontà di essere un continuo richiamo ai cattolici al dovere della carità. Il campo di attività è l’assistenza diretta ai bisognosi, il collegamento con le altre istituzioni assistenziali cattoliche e laiche e la creazione di Caritas parrocchiali. Si spera anche di costituire l’Associazione ticinese di carità, un gruppo che possa riunire i benefattori e i collaboratori che si impegnano ad aiutare l’ente e a versare regolarmente una certa somma; quest’associazione purtroppo stenterà a costituirsi e per molti anni resterà un sogno ricorrente.

 

 

Le attività di Caritas negli anni Cinquanta

 

Per tutto questo periodo (e a lungo anche dopo…) l’attività di Caritas è condizionata dall’esiguità delle risorse finanziarie. Oltre alle varie offerte più o meno saltuarie, le entrate sono costituite dall’annuale colletta di Pentecoste, dalla vendita di francobolli e altri oggetti nelle parrocchie e dalla partecipazione alla Fiera svizzera a Lugano, con relativa vendita di prodotti vari. La (poca) pubblicità a Caritas è affidata ad alcuni articoli che appaiono di tanto in tanto sul Giornale del Popolo e alla rivista Messaggero Ticinese. A partire dal giugno 1952 don Cortella avvia su quest’ultima rivista (un “periodico apolitico per la famiglia”, con una tiratura sulle 40mila copie) la regolare rubrica “Casi pietosi” - che poi diventerà “L’angolo della carità” - nella quale segnala piccoli bisogni concreti e chiede qualche aiuto preciso. Un altro modo con cui don Cortella si fa conoscere ed apprezzare è la sua partecipazione a emissioni radiofoniche: regolarmente con la conversazione religiosa domenicale, saltuariamente in altri singoli interventi. Nell’estate del 1951 Caritas organizza a Bedigliora una prima piccola colonia – gratuita – per una ventina di bambini particolarmente bisognosi. L’esperienza ha successo e quindi prosegue negli anni successivi, svolgendosi a Vico Morcote (’52), a Viglio (’53-’55), a Signora (’56), Cavergno, ecc. Dal 1953 queste colonie sono aiutate finanziariamente dal Lions Club di Lugano; la preziosa collaborazione con questa associazione durerà a lungo. L’interessante esperienza educativa delle colonie dura una dozzina d’anni e viene sospesa quando diventa troppo difficile e impegnativo trovare il personale preparato necessario; da notare che tutte le persone che lavorano nelle colonie in quegli anni svolgono il lavoro sotto forma di volontariato. Altra attività caritativa che inizia in quei primi anni Cinquanta é una presenza al vecchio Penitenziario cantonale di Lugano, ancora privo (sembra incredibile…) di vere strutture di assistenza sociale. Grazie al direttore del carcere avv. Sergio Jacomella e al cappellano padre Francesco da Melano, don Cortella e poi qualche altro amico di Caritas possono così incontrare i detenuti, mantenere i rapporti con le loro famiglie, organizzare tombole, pranzi in comune eseguire qualche richiesta di patronato sociale. Seguirà anche una presenza al Manicomio cantonale di Mendrisio. Fondamentali poi per Caritas rimangono i molti incontri diretti con persone con tutta una serie di problemi personali o sociali, con chi vuole un consiglio, una buona parola o chi cerca di uscire da una situazione di solitudine. Vengono anche ideati dei progetti che però non potranno realizzarsi (una casa di rieducazione per ragazzi, una casa per giovani andicappati, ecc.); anche la possibilità di coordinare le varie iniziative cattoliche assistenziali é scarsa. Nel 1951, anno di calamità naturali, i vari enti pubblici e privati devono impegnarsi in una vasta azione di soccorso. Caritas non riesce a soddisfare tutte le richieste, e affida temporaneamente il compito di provvedere ai poveri della città di Lugano alle Dame della Carità.

Il Ticino negli anni Cinquanta vive una fase di vivace transizione: la società contadina scompare rapidamente e inizia una stagione di rapido sviluppo economico e demografico. Il vecchio Dipartimento d’Igiene é ormai inadeguato a far fronte a tutta la nuova e vasta problematica del campo sociale e sanitario. Il Cantone finalmente capisce di doversi assumere la sua responsabilità nei confronti dei più bisognosi; nel 1959 vi é l’importante, anche se tardiva, creazione del Dipartimento delle Opere Sociali (DOS). Caritas, insieme ai numerosi altri enti privati e assistenziali cattolici, non ha certo mai preteso di risolvere il problema della povertà nel Ticino. Il suo compito é un altro: con i suoi pochi mezzi cerca di offrire un piccolo ma concreto aiuto alle persone nel bisogno che incontra; don Cortella spesso definisce in quei tempi Caritas come una “centrale di pronto soccorso per i casi urgenti”. Possiamo però porci qualche interrogativo: perché, nonostante i vari richiami del suo direttore, in quegli anni non si procede ad una riorganizzazione e a un potenziamento di Caritas? Sembrerebbe che la Curia ticinese non abbia capito subito i grandi cambiamenti sociali in corso, non abbia compreso l’importanza che avrebbe avuto un ente diocesano assistenziale veramente efficiente. Caritas Ticino era nata poco prima dello sviluppo dello Stato sociale cantonale; i dirigenti del mondo cattolico forse non hanno subito colto l’importanza e la novità dell’affermarsi del Welfare State anche nella nostra realtà, con tutti i cambiamenti che questi avrebbe comportato (vedi la laicizzazione della società, ecc.). Forse, paradossalmente, ha anche nociuto la “divisione del lavoro” molto spinta realizzatasi all’interno della diocesi luganese: don Del-Pietro responsabile dell’azione sociale-sindacale, don Leber responsabile dell’Azione cattolica e del Giornale del popolo, don Cortella responsabile dell’aspetto caritativo; la collaborazione fra questi settori non sempre é stata reale e operativa. Il campo caritativo, dei tre ambiti, è certamente quello rimasto più modesto, con meno mezzi.  Durante i primi anni di Caritas il direttore Masina aveva potuto assicurare un collegamento con il mondo sindacale e politico; questo legame poi si affievolisce. Naturalmente queste considerazioni nulla tolgono alla profondità e alla verità dell’esperienza umana e religiosa che in quegli anni don Cortella e i suoi collaboratori portano avanti.