Clonazione: sfida per la coscienza morale dell’umanità

 

Di Andris-Marie Jerumanis



La rapida reazione del mondo intero dopo l’annuncio fatto dal presidente della società americana Advanced Cell Technology, Michael West, di avere clonato il primo embrione umano ha sorpreso più di uno, dando luogo all’idea che l’uomo di oggi non ha più nessun valore.

Alcuni hanno cercato di interpretare questo atteggiamento come una reazione un po’ primitiva di paura davanti alle nuove frontiere che possono aprirsi con il passo realizzato da West. Ci sembra piuttosto che la risposta negativa non possa che essere un segno positivo del mondo contemporaneo davanti ad una possibile deriva, con conseguenze incalcolabili per il mondo intero. E’ necessario tornare sulla tematica per proporre, senza però polemizzare, una riflessione sistematica che possa aiutare ciascuno a farsi un’opinione meno superficiale dei recenti eventi nel campo della scienza e delle questioni di bioetica.

Bisogna ricordare che l’iniziativa di West è stata criticata da tutti coloro che per ragioni etiche sono contrari alla creazione di embrioni umani per poi distruggerli e che l’accettazione della clonazione terapeutica potrebbe aprire la via alla clonazione riproduttiva. Michael West ha tentato di giustificare la sua ricerca e la scelta della clonazione terapeutica con una motivazione filantropica: “siamo usciti allo scoperto per dare una speranza all’umanità”. Occorre relativizzare queste affermazioni perché a livello scientifico numerosi ricercatori insistono sul fatto che la clonazione di embrioni umani non è l’unica via per ottenere cellule staminali e dunque dare una futuro migliore a tanti malati. Il noto genetista canadese Joseph Cummins, professore emerito all’University of Western Ontario critica le affermazioni di Michael West nel nome della sua esperienza scientifica. Egli sottolinea che esistono molte prove per dimostrare che l’utilizzo di cellule staminali adulte è preferibile a quello delle cellule embrionali. Cummins accenna anche ai numerosissimi problemi creati dalle cellule staminali degli embrioni animali quali,  aberrazioni genetiche e difetti cromosomici che possono indurre ad un invecchiamento precoce e a malattie diverse, tra cui il cancro. Inoltre il ricercatore canadese indica che esistono nel sistema genetico umano delle unità genetiche relazionate a virus così detti ‘dormienti’ che possono essere attivati durante la clonazione.

 

 

La ricerca scientifica non può essere neutra

 

Ricordiamo che la questione della clonazione degli esseri umani  non è una questione apparsa solo la settima scorsa, ma che già qualche anno fa, il dottore Seed proponeva di realizzare annualmente la clonazione di 200.000 esseri umani per il bene dell’uomo. Per Seed la scienza non ha bisogno di regole e dunque nessuno potrà fermarlo nel suo intento. Anche il professore italiano Severino Antinori si è dimostrato favorevole alla clonazione umana a fini riproduttivi per salvare le coppie sterili, opponendosi ad ogni limite della scienza, nel nome della sua libertà intrinseca. Egli parte, come tanti altri scienziati, della neutralità della scienza che è basata su un sofismo: l’essenza della scienza è l’oggettività; ogni regola sarebbe un grave ostacolo a tale oggettività; quindi tutto deve essere lecito allo scienziato. Dunque, nel fare la scienza egli deve essere libero. In fondo, si tratta di una presunta neutralità della ricerca scientifica, infatti lo scienziato deve fare i conti con i soggetti che sono coinvolti nella ricerca. Il ricercatore non può non sentirsi responsabile davanti alla comunità umana delle conseguenze delle sue ricerche come non può essere indifferente di fronte a coloro che subiscono la ricerca: gli “embrioni umani” anche nel caso della così detta clonazione terapeutica; e infine il ricercatore non può non tenere conto del fatto che la scienza è condizionata economicamente e culturalmente. Sviluppiamo questa triplice responsabilità.

Esiste un primo livello di responsabilità verso la comunità umana. Lo scienziato deve guardare all’avvenire dell’umanità. L’uomo, in quanto essere storico e sociale, deve responsabilmente fare attenzione alle conseguenze che le sue scelte e le sue azioni possono avere, al di là del momento immediato e della propria vita individuale. Ogni essere umano, a meno che non sia un’egoista puro, deve affrontare le sue decisioni in una prospettiva futura, cioè in questo caso, pensare alle prossime generazioni, al mondo che rischia di sorgere molto simile al “nuovo mondo” di A. Huxely (1932) che ha immaginato la produzione di individui umani tutti uguali, fecondati in laboratorio per essere poi “usati” come automi a servizio dello stato. Dal punto di vista morale possiamo chiederci,  come può l’uomo decidere di “creare” un essere umano che non avrà un vero padre perché la clonazione è una fecondazione “asessuale”, e in nome di quale diritto possiamo mettere un altro essere umano in una situazione “psicologica” pericolosa, visto che si ritroverà come una perfetta fotocopia di un altro. A questo punto è  più facile capire la reazione negativa della comunità umana verso la clonazione riproduttiva. E’ proprio la paura di un mondo disumano che ha spinto molti politici a reagire contro la clonazione umana.

 

 

L’essere umano ridotto a materiale biologico

 

Il secondo livello di responsabilità dello scienziato riguarda l’embrione umano stesso. Coloro che ammettono la clonazione terapeutica per raccogliere cellule staminali hanno tendenza a relativizzare la loro responsabilità verso l’embrione. E’ questo certamente il punto più delicato nell’ambiente scientifico attuale, nel quale, c’è una tendenza a considerare indifferentemente l’embrione umano. West, lui stesso, dichiarava che “dal punto di vista biologico, e scientifico, le entità che stiamo creando non sono individui. Siamo di fronte solo a una vita cellulare, non certo a una vita umana”. Come non accennare a diversi fattori che hanno indebolito il senso del valore assoluto dell’embrione umano. In molte nazioni la sperimentazione fino alla 14.mo giorno dalla fecondazione è lecita (perché è solo dopo che appare la linea primitiva). Anche la sorte degli embrioni soprannumerari destinati ad essere sacrificati nella fecondazione artificiale è diventata quasi una questione secondaria. Inoltre l’assenza del diritto alla vita di ogni essere umano concepito nel grembo della madre, crea una perdita del senso di rispetto verso la più debole delle creature umane. Occorre ancora accennare al fatto che la distinzione introdotta da alcuni tra il pre-embrione e l’embrione merita una riflessione critica. Biggers, che è un’autorità nel campo della biologia della riproduzione umana alla Harvard Medical School di Boston ha rilevato che ogni partizione della vita prenatale è arbitraria perché non esiste un significativo salto quali-quantitativo. Alcuni negano l’individualità del pre-embrione basandosi sul caso dei gemelli monozigoti, poiché l’embrione umano, fino a che non è impiantato nell’utero, può dividersi in due gemelli. A questo proposito il professore Ph. Caspar dell’Università di Lovanio ha giustamente mostrato l’infondatezza filosofica di questa posizione che si fonda su una definizione dell’individuo come entità unica non riproducibile. Anche dal punto di vista etico notiamo che nella clonazione terapeutica esiste una strumentalizzazione utilitaristica dell’embrione umano destinato ad essere sfruttato come materiale biologico o come banca per futuri trapianti di organi.

 

 

Le riflessioni etiche rischiano di essere soffocate dagli interessi finanziari

 

Nella riflessione sui diversi ambiti di responsabilità della scienza è importante ricordare che essa  dipende anche da un potere sia economico che politico. Il professore canadese Cummins parlava di una lobby economica e politica che manda avanti la ricerca sulle cellule embrionali e cerca di condizionare l’opinione pubblica. Non c’è dubbio che dietro ogni ricerca vi sarà un organismo che ha il potere di manipolare la scienza secondo i suoi interessi. L’uomo dell’epoca postmoderna rischia di avere la memoria corta quando pretende di appoggiarsi sulla neutralità della scienza per fare le sue sperimentazioni sugli esseri umani. Perché è esattamente lo stesso approccio degli scienziati nazisti che facendo i loro esperimenti, si giustificavano nel nome della scienza. Essi erano controllati dal potere nazista, così come lo erano gli psichiatri sovietici, dal partito comunista. E come non immaginare che le ditte farmaceutiche non cercheranno di sfruttare “essere umani clonati” anche al livello embrionale come un prodotto umano molto efficiente per i loro esperimenti. E poi, è evidente, che potrà sorgere la tentazione tipica di ogni totalitarismo, di arrivare a sottomettere uomini prodotti secondo certi criteri per il raggiungimento di certi scopi. Non è dunque vero che la scienza non abbia nessun rapporto con l’etica.

Rifiutare la clonazione è porre un gesto profetico all’inizio del terzo millennio, significativo per la salvezza della dignità dell’uomo. Non è un gesto oscurantista o intollerante, un freno al progresso della scienza, ma l’affermazione che la scienza non è un sistema chiuso, che per essere veramente libera non può distruggere il soggetto della sua ricerca, soggetto che non è solo un “bios”, ma possiede un livello psichico, mentale e trascendente (religioso). La dignità della scienza non consiste nella sua autonomia assoluta, ma nella sua capacità di servire l’uomo senza trascurare un principio etico fondamentale: mai trattare l’essere umano come un mezzo anche per raggiungere un fine buono. E’ un principio che la medicina “rigenerativa” impegnata a costruire un futuro migliore per tanti malati dovrebbe mantenere come punto di riferimento etico.

 

(*) Prof. di bioetica alla facoltà di Teologia di Lugano. Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata dal Giornale del Popolo il 5 dicembre 2001.

 

 

Quando inizia la vita

 

Nella discussione sulla clonazione terapeutica il vero pomo della discordia rimane lo statuto dell’embrione. Ricordiamo alcuni punti che, la ragione aperta alla ricerca della verità, dovrebbe poter riconoscere. Un approccio dell’embrione solo dal punto di vista biologico ci permette di affermare: con la fecondazione dell’ovocita inizia un “nuovo sistema” che comincia ad operare come una nuova unità, intrinsecamente determinata, che lo porterà a svilupparsi secondo un disegno-progetto in modo coordinato, continuo e graduale senza salti quali-quantitativi, fino alla formazione dell’organismo completo. Esiste dunque, fin dal inizio, una nuova cellula umana (non di un animale o di un vegetale), dotata di una struttura informativa, che incomincia a operare come un’unità individuale tendente alla completa espressione della sua dotazione genetica. Non è dunque giusto dal punto di visto scientifico come lo afferma Michael West (vedi articolo pag. 16), troppo semplicisticamente, parlare solo di una vita cellulare. Nemmeno una riflessione filosofica seria può accettare questa semplificazione. Basterebbe solo riflettere sull’ironico interrogativo espresso nel titolo di una articolo di bioetica: “Prima di essere un embrione ero un pre-embrione, ma ero già io?”. La dignità personale è costituita non secondo il succedersi di fasi cronologiche, ma secondo il valore ontologico, ossia a partire dall’unico fatto: quello di essere alla presenza di una vita umana.