Thomas More: un uomo per tutte le stagioni

 

Di Patrizia Solari

 

 

 

Ci fu chi fece dell’ironia quando lo scorso 31 ottobre Giovanni Paolo II proclamò san Tommaso Moro patrono dei politici. Che c’entra, si disse, la santità con la politica?(...) La migliore descrizione della sua personalità la dobbiamo a Erasmo da Rotterdam che (...) lo definisce ‘un uomo per tutte le stagioni’. La frase (...) non è - come qualcuno l’ha intesa tradendo il pensiero di Erasmo - un elogio del compromesso e del trasformismo, ma un omaggio alla genialità, all’equilibrio e alla versatilità dello statista, che cercò fino alla fine di tenere unite le virtù dell’uomo d’onore: fedeltà al proprio Paese e al suo re, consapevolezza della complessità della storia e di quel guazzabuglio che è il cuore umano, da un lato; e, dall’altro, fedeltà alla coscienza del cristiano, che in caso di conflitto deve privilegiare l’obbedienza a Dio e alle sue leggi, piuttosto che cedere ai capricci dei potenti di questa terra.” 1)

Così scriveva lo scorso aprile Leonardo Zega sulla Stampa di Torino. E per questo motivo, in questo tempo di votazioni e dibattiti politici, ho pensato opportuno offrire allo sguardo di ciascuno la figura del grande statista inglese, Cancelliere di Enrico VIII e amico dell’umanista Erasmo da Rotterdam.

Pio XI, quando lo santificherà il 19 maggio 1935, esclamerà con ammirazione: “È proprio un uomo completo”.

 

Thomas More nacque il 7 febbraio 1477, figlio di John, giudice del diritto comune, e di Agnes Graunger. La loro casa si trovava nel cuore di Londra, nella Milk Street, che era parte del rione di Cripplegate Within.

“Milk Street faceva parte di un quartiere prospero ed elegante: nell’ultimo quarto del quindicesimo secolo vi si trovavano diciassette commercianti, o mercanti, residenti nella stessa Cripplegate. Il grande cronista di Londra e antichista John Strow descrive la via come ‘così chiamata dal latte colà venduto; ci sono molte belle dimore di ricchi mercanti e altri’ (...) Il nonno paterno di More era un fornaio, genero di un birraio londinese, e quello materno, Thomas Graunger, un fabbricante di candele di sego. Entrambi erano membri delle loro gilde (...) come pure cittadini di Londra. Il fatto che in quattro generazioni emergessero giudici, proprietari terrieri e pure un Lord Cancelliere, non è necessariamente sorprendente. Per tre secoli i più importanti uomini di Londra erano stati mercanti (...).” 2)

 

 

La formazione, la carriera, lo stile

 

Dopo aver frequentato per cinque anni la scuola di St. Anthony, a dodici anni Thomas entra come paggio nella residenza dell’arcivescovo di Canterbury, cancelliere d’Inghilterra e poi cardinale. All’università di Oxford segue per circa due anni gli studia humanitatis e, probabilmente, inizia lo studio della lingua greca. Intorno al 1493 intraprende lo studio del diritto e, dal 1496 al 1500 circa, perfeziona la sua preparazione giuridica frequentando il prestigioso Lincoln’s Inn, uno dei quattro istituti destinati allo studio della legge comune d’Inghilterra. Ammesso alla professione forense, dà lezioni di diritto. Per saggiare la propria vocazione ascetica prende dimora presso la Certosa di Londra, ma alla fine la lascia (1503), entra attivamente nella vita pubblica e diventa il prestigioso avvocato dei mercanti londinesi e delle più grandi compagnie marittime.

Non elenchiamo le innumerevoli cariche ricoperte fino a raggiungere quella di Cancelliere del re: fu negoziatore, fece parte di varie commissioni governative, economiche e commerciali, rappresentante dell’Inghilterra in varie controversie, viceministro del tesoro, speaker della Camera dei Comuni e altro ancora.

Famosa è l’amicizia di Tommaso Moro con Erasmo da Rotterdam, un’amicizia che si esplica durante tutta la vita ed esprime l’ideale di un umanesimo cristiano nutrito della pietà dei padri.

Così il grande umanista olandese descrive l’amico: “A meno che il grandissimo amore che ho per lui non m’inganni, io non credo che la natura abbia mai forgiato carattere più abile, più pronto, più avveduto, più fine. In una parola: uno che fosse meglio dotato di lui, di buone qualità d’ogni specie. Aggiungi una potenza di conversazione pari al suo genio, una meravigliosa gaiezza di maniere, ricchezza di spirito... è il più dolce degli amici, quello con cui mi piace mescolare con diletto la serietà e l’umorismo”.3) È infatti conosciuta anche l’arguzia di More e la sua capacità di humor, apprezzata in molte occasioni.

Nel 1528, quando lo troviamo quasi all’apice della sua carriera, “ha tre figlie sposate: Cecilia di 21 anni, Elisabetta di 22, Margherita, la preferita, di 24, e un maschio, John, di 19 anni, già fidanzato. Un’altra Margherita è un’orfanella da lui adottata. Si è sposato due volte perché la prima moglie è morta dopo pochi anni di matrimonio, quando i bambini erano ancora troppo piccoli. (...) La sua casa è considerata una delle case più accoglienti e ospitali di Londra. L’armonia che vi regna, l’umorismo, l’intelligenza di Tommaso e dei suoi figli (le figlie potevano correggere delle edizioni critiche di testi greci!), la fede vissuta e diffusa, generano fascino e nostalgia in chiunque li accosta.

Ma Tommaso è anche l’uomo che percorre la sera i quartieri ‘bassi’, per rintracciare i poveri più vergonosi ai quali lascia sistematicamente somme di denaro; che prende in affitto una vasta casa per accogliervi e mantenervi vecchi e bambini infermi (...); che ascolta Messa ogni giorno e non prende nessuna decisione importante senza essesi comunicato; che prega e legge la Bibbia con tutta la famiglia e la commenta personalmente; che scandalizza i nobili cantando con una misera cotta nel coro parrocchiale, nonostante egli sia il Lord Cancelliere. A chi lo rimprovera di questo risponde con fine ironia: <<non è possibile che io dispiaccia al re mio padrone perché rendo omaggio pubblico al adrone del mio re>>.” 4)

 

 

Lord Cancelliere, amico del re

 

Nel 1529, chiamato al vertice della magistratura britannica, diventa Lord Cancelliere del Regno di Enrico VIII, l’uomo più vicino al sovrano e suo diretto rappresentante.

“Enrico VIII è amico di Tommaso Moro: è un re umanista anch’egli, e anch’egli ha delle doti affascinanti, anch’egli è poeta, anch’egli è ‘teologo’. Anzi riceve dal Papa il titolo di ‘difensore della fede’. Purtroppo ha anche ‘uno di quei caratteri che vogliono avere la gioia di fare il bene anche quando fanno il male... (che) girano e raggirano la legge, chiamando virtù il peccato, di modo che non si debbano pentire e, così, sono pericolosissimi a sé e agli altri.’ Enrico VIII (...) inizia il processo di invalidazione delle sue nozze con Caterina d’Aragona. Il caso ha degli aspetti che permettono una discussione, ma la Santa Sede non è disposta a cedere. Enrico chiede e compra pareri, da esperti e dalle migliori università europee (...). Nel 1532, ricattando il Clero, si fa proclamare ‘unico protettore e capo supremo della Chiesa inglese’.(...) Il giorno dopo Tommaso Moro restituisce al sovrano i sigilli - segno della sua carica - e si ritira a vita provata, preparandosi ad affrontare una dura povertà (perdeva improvvisamente ogni stipendio dalla Corte e ogni altro introito professionale e non aveva risparmi, avendo dato tutto ai poveri e al sostentamento della sua numerosa famiglia). All’incoronazione di Anna Bolena rifiutò di partecipare attirandosi l’ira della nuova regina. Nel 1534 viene imposto a tutti il giuramento dell’Atto di successione (...). Tommaso Moro è l’unico laico in tutta l’Inghilterra a rifiutare il giuramento. Del clero rifiutarono soltanto un vescovo e alcuni monaci certosini.

 

 

La prigione e la condanna

 

Incarcerato nella Torre di Londra, Tommaso rifiuta di giurare, ma tace: (...) non vuol dare nessun appiglio per farsi condannare a morte. (...) nel carcere scrive uno dei più bei testi filosofico-spirituali in lingua inglese: il Dialogo del conforto nella tribolazione; poi inizia un Commento alla Passione di Cristo.” 5)

E qui troviamo la spiegazione alla sua sconcertante posizione: l’aver reso omaggio pieno alla verità solo dopo essere stato condannato a morte. “Moro non si crede degno della grazia del martirio: ha paura di sé, della sua debolezza, della vita trascorsa tra gli agi del mondo. Ha invidia dei certosini che vanno sereni a quel terribile martirio6) (...). Tutto ciò lo terrorizza, la sua vita non lo ha preparato a questo. Davanti all’eroismo che gli è chiesto si sente soltanto un terribile peccatore. (...) In tutto il Commento alla Passione, parlando delle paure provate da Cristo nel Getsemani, spiega questa sua posizione: avere paura, non è anticristiano, ma chi ha paura deve seguire Cristo. Seguire vuol dire mettere davvero i passi nelle sue orme, non volersi muovere da sé. (...) Per essere sicuro che è Dio a chiamarlo, egli non vuole né provocare il proprio martirio, né fuggire.”7) E alla figlia Margaret “scrive: ‘Certamente, Meg, tu non puoi avere un cuore più debole e più fragile di quello di tuo padre... e in verità, in ciò è la mia grande forza, che benché alla mia natura ripugni così grandemente il dolore, che un buffetto mi fa quasi traballare, tuttavia in tutte le agonie sofferte, grazie alla pietà e alla potenza di Dio, non ho mai pensato di acconsentire a tutto ciò che fosse contrario alla mia coscienza.’ Quest’uomo, quest’umanista che aveva il culto della propria dignità, ma anche la consapevole umiltà della propria debolezza, si trova collocato da Dio là dove la sua umana grandezza deve essere totalmente affidata ad un Altro per potersi incamminare anche sulla via della croce.8)

Così parla Cristo nel Getsemani: “Fatti coraggio (...) Pensa che ti basterà camminare dietro di me... Affidati a me, se non puoi avere fiducia in te stesso. Vedi: io cammino innanzi a te per questa via che ti fa tanta paura, aggrappati all’orlo della mia veste a da lì attingerai la forza che (...) terrà saldo il tuo animo al pensiero che stai camminando dietro le mie orme.” 9)

 

Con la sua vita, e con la sua morte, Tommaso Moro afferma che c’è ancora qualcosa o Qualcuno per cui valga la pena di accettare il martirio. “...aveva tratto dalla sua fede, e dall’entusiasmo umanistico del suo tempo, la voglia di essere ‘uomo’, totalmente uomo. Ma un giorno comprese che ci sono situazioni in cui un cristiano, proprio per voler essere pienamente ‘uomo’, deve consegnare a Cristo tutta la sua umanità; situazioni in cui c’è posto solo per questa alternativa: o la disumanità, o l’Umanità del Risorto. E perciò ‘scelse’ di morire. 10)

Fu processato e condannato a morte per alto tradimento nel 1535 e la sua testa mozzata fu esposta sul Ponte di Londra. La Chiesa lo ricorda come martire il 22 giugno.

 

 

 

Alcuni scorci della vita londinese all’inizio del XVI secolo.

(tratti da: Peter Ackroyd - Thomas More - Ed. Frassinelli)

 

La casa

 

“Immaginiamo un portone su Milk Street che conduce a un cortile quadrato di circa sette metri per sette. Sulla sinistra vi è un salone a tutta altezza, la stanza principale della casa: era la sala per i pranzi e i ricevimenti, con la lunga tavola e le sedie, con paraventi, arazzi e candele; riscaldata da un camino o da un braciere (...). In questa camera era anche collocata la credenza con il vasellame; in ogni casa questi erano gli oggetti più costosi e importanti, e nel salone ci aspetteremmo di vedere coppe, bacili, caraffe, piatti di metallo e lunghi cucchiai rosseggianti alla luce del fuoco. Il mobilio era semplice, sedie e sgabelli, tavolini e cassapanche, collocati sopra stuoie di giunco a protezione del pavimento. Qui avremmo anche colto tutti gli odori del legno, della pietra e del fumo, di erbe secche e di carne arrostita.

Oltre il salone si trovavano la cucina, la dispensa e il ripostiglio - a volte anche un salottino dove la famiglia poteva pranzare assieme. Ma le rimanenti stanze erano nell’altra ala della casa. All’inizio del secolo era ancora abituale per le famiglie dividere una sola camera da letto, con un letto con baldacchino e tendaggi per i padroni, e letti su cavalletti o materassi per tutti gli altri. Ma a partire dal tardo quindicesimo secolo venivano spesso usate due camere da letto (i servi dormivano nelle soffitte), e gli inventari di materassi di piume, coperte, lenzuola, cuscini e copriletti arrivati fino a noi indicano che erano lussuosi (...). Queste ricche famiglie tardo-medievali vivevano nelle comodità. Le camere erano tappezzate con arazzi o teli dipinti, mentre le parti in legno e le boiserie erano decorate con delicate tonalità; saloni e salotti erano rivestiti di pannelli di legno, a volte dipinti con scene della Bibbia o leggende classiche. Nel cortile c’era spazio per fiori ed erbe multicolori, per piante rampicanti e alberi di fico e alloro; vi razzolavano oche e polli (...).” (pp.10-11)

 

 

Lo scolaro

 

“Thomas More venne iscritto alla scuola di St. Anthony, in Threadneedle Street. Le lezioni iniziavano alle sei di mattina, e d’inverno gli allievi dovevano portare con sé una candela. More riporta la descrizione di una madre che ricorda al figlio: <<Porta con te il pane e il burro>>. Lo scolaro era abbigliato in farsetto e calzoni stretti al ginocchio, dato che era considerato la versione ridotta di un adulto, e portava sulla schiena una cartella di cuoio con un ‘portapenne e corno da inchiostro (...) un pennino (...) un paio di tavolette’; il portapenne conteneva una penna d’oca e le ‘tavolette’ erano lavagne. (...) St. Anthony era famosa come scuola di grammatica (...) il suo scopo primario era di insegnare ai giovani londinesi la grammatica latina, che includeva sia la lingua che la letteratura. Ma (...) era importante che sapessero leggere nella loro lingua, per esempio, anche perché le preghiere fondamentali e i manuali di devozione erano in inglese. (..) Vi era anche una ragione burocratica e nazionale per lo studio precoce dell’inglese, perché si riteneva promuovesse ‘il grande vantaggio dell’aumento di uniformità’. (...) Gli scolari (...) dovevano applicarsi a un’altra, forse più importante, disciplina. L’ ‘arte del canto’ (...) e, dal momento che la chiesa di St. Anthony aveva un certo numero di coristi, era naturale, per i ragazzi più piccoli, venire educati nell’arte del canto gregoriano e del contrappunto nelle loro forme più elementari. (...) Lo studio della musica doveva essere, secondo l’intenzione, pratico (...) ed era tuttavia associato con lo studio di retorica, matematica e filosofia. A uno stadio più avanzato si insegnava l’arte della discussione pubblica, ma sempre con una formale connessione fra l’oratoria e l’armonia musicale; analogamente, l’esame del valore delle note e la proporzionalità metrica forniva un’introduzione elementare alla matematica. (...) la comprensione dell’armonia musicale era parte di un’educazione complessiva che enfatizzava l’importanza primaria dell’ordine e della gerarchia.” (pp.15-17)

 

 

Il paggio

 

“A dodici anni divenne paggio della casa di John Morton, arcivescovo di Canterbury e Lord Cancelliere d’Inghilterra. (...) I paggi erano tenuti a fungere da ‘principali servanti’ delle grandi feste della Hall. (...) L’elaborato cerimoniale iniziava quando il ‘guardarobiere’ portava le tovaglie sopra la sua spalla sinistra e il ‘panaio’ recava il ‘sale principale’ e fette di pane (ciascuna alta cinque centimetri e lunga diciotto) con un tovagliolo drappeggiato sul braccio sinistro. Il primo compito del paggio era di servire e aspettare in piedi, attento a passare un piatto  o un calice d’argento; pronto, anche, a cogliere un messaggio sussurrato da un ospite a un altro o a svolgere una commissione all’interno del palazzo.

Le feste erano notevoli per l’ordine e la varietà, con ogni portata servita agli ospiti a seconda del rango. C’era la portata iniziale di bue o montone, cigno o oca, seguita da una seconda che poteva contenere non meno di renta diversi tipi di carne, tra le quali gru, airone e chiurlo; finalmente arrivava il formaggio ‘passato nello zucchero’, insieme con i diversi frutti di stagione.

Alla fine del pasto More aiutava a disporre un doppio asciugamano per tutta la lunghezza della tavola, così che, dopo il ringraziamento, ogni ospite potesse lavarsi nelle ciotole di acqua calda e fredda che vi erano state disposte sopra. Tavole e cavalletti erano poi sgombrati del cibo rimasto, i resti di pane e della carne raccolti per il ‘recipiente delle elemosine’, e i paggi scortavano gli ospiti nelle loro camere, dove si assicuravano che il letto fosse fornito ‘di cuscini e avesse lenzuola, in caso volessero riposare’, e che ci fossero prelibatezze quali ciliegie, zenzero fresco, vino dolce.” (p. 27)

 

 

Umanesimo e Rinascimento

 

“(...) questi movimenti esaltanti parlavano di un uomo in adorazione dell’antichità classica, greca e romana, della bellezza delle forme, del sentimento del proprio valore e della propria dignità: un uomo desideroso di un progresso ottimale che gli si spalancava dinnanzi.

Ma tale avventura manteneva comunque l’uomo in bilico: l’Umanesimo poteva essere o l’ascesa dell’uomo verso la sua vera e rivelata immagine divina o un progetto di divismo umano che avrebbe chiesto all’uomo di concentrarsi sempre più nelle sue sole forze, in una sorta di nichilismo elitario e sofisticato. E il Rinascimento poteva essere compreso o come ideale di una ‘riuscita’ umana, a modo di sucesso impregnato di naturalismo pagano, o come ideale di una vera e propria ‘rinascita’: vera sintesi fra cristianesimo e cultura classica, attraverso un ritorno alle fonti di ambedue, per una nuova sintesi, per un vero rinnovamento.

Al fondo della questione c’era da sapere questo: se la nuova cultura dovesse assorbire in sé e trascinare in sé, ottimisticamente, anche la rivelazione cristiana o se non fosse la rivelazione di Cristo a dover assorbire, purificare e trasfigurare, anche dolorosamente, tutta questa novità. In altre parole si trattava di decidere se l’entusiasmo creativo e il senso rinascente della dignità umana avrebbero o no accettato il confronto con la Croce di Gesù Cristo e con il suo indistruttibile significato per la vita umana.”

(A. Sicari)

 

1) ZEGA, Leonardo - Al voto con Tommaso Moro in “La Stampa”, 24.04.01

2) ACKROYD, Peter - Thomas More, Frassinelli, 2001 - (pp. 5-7)

3) SICARI, Antonio - Ritratti di santi, Jaca Book, 1987-1991 - p. 40

4) ibid.

5) id. pp. 41-42

6) la pena per l’accusa di altro tradimento - prevista anche per lui, anche se poi gli sarà commutata nella decapitazione, per intervento reale - è spaventosa: l’impiccagione incompleta, fino a svenimento, poi la rianimazione, lo sventramento e lo squartamento

7) id. p. 43

8) id. pp. 45-46

9) id. p. 46

10) id. pp. 49-50

Altre notizie sono tratte da: AAVV - Il grande libro dei Santi, Ed. San Paolo, 1998 - Vol. III, pp.1884-87