Un filo rosso per incontrare i giovani


Di Graziano Martignoni


 

 

Con Graziano Martignoni, professore universitario ed attento osservatore del mondo giovanile, ci introduciamo nell’universo vitale e ricco dell’esperienza di passaggio dall’infanzia all’età adulta, approfittando dello spunto offerto dalla Giornata Mondiale della Gioventù che due milioni di giovani hanno vissuto a Roma lo scorso agosto.

L’intervista, che riproponiamo qui di seguito nella sua versione integrale, è stata il filo rosso che ha concluso le quattro emissioni di Caritas Insieme Tv, andate in onda dal 28 ottobre al 18 novembre 2000.

In essa l’esperienza personale e professionale del professore e dell’uomo si mescolano in un sapiente connubio, tracciando un profilo interessante della nostra gioventù, alle prese con un tempo difficile, in rapido movimento, in cui speranze e pericoli, attese e disillusioni diventano stimoli e domande aperte sul futuro prossimo.


 

D.: A Roma due milioni di giovani e un vecchio Papa. Cosa suscita un simile evento?


 

Una chance e un rischio


R.: Osservando la manifestazione in televisione e ascoltando le testimonianze trasmesse, sono stato molto diviso.

Da una parte ho vissuto una sorta di rianimazione, in un tempo come il nostro in cui viviamo come se fossimo in una zona la cui terra lentamente si sta sbriciolando, silenziosamente, senza bisogno di grandi sismi; un mondo in cui avviene una modificazione profonda e sotterranea che attraversa le coscienze, fino ai valori della vita più sacri. In questo clima, due milioni di ragazzi vanno a Roma da un vecchio Papa, per sentire delle cose antichissime. Forse il fascino di quell’occasione è stato proprio di sentire parole così antiche ma capaci di penetrare l’anima del mondo contemporaneo. Se l’anima dell’uomo deve essere aperta al futuro, deve anche avere le radici nella propria antichità, sia psicologica, sia della tradizione.

Sono tornato con il ricordo  alla mia gioventù, a quella grande stagione che fu il ’68, complessa e sfaccettata, in cui molti di noi erano animati da una stessa mozione di ricerca, di cambiamento e di rottura, che ho sentito presente,  anche se in modo diverso, in questi giovani.

Il secondo sentimento, come una melodia meno euforica, è legato ad un’altra parola del Papa, quando ha detto ai giovani: “Non disperdetevi!”.

E’ una parola potente, potentissima, perché se questi giovani riuscissero a portare avanti almeno qualche cosa di questa loro esperienza, di questa loro passione per la vita,  credo che avremmo una possibilità  in più  per il futuro.

La scissione tra questi due sentimenti  nasce dalla mia esperienza. 

Anche allora si sarebbe potuto dire “non disperdetevi”, e invece ci si è dispersi, ci si è dilaniati, si sono capovolti e stravolti sentimenti ed ideali.

 

 

Il tempo della grande, dolce Nutella: l’indifferenza


Oggi credo che il pericolo non sia più la messa sottosopra del mondo,  come avvenne in quella stagione; oggi siamo tutti di fronte ad  un nemico più sotterraneo e più subdolo,  che è l’indifferenza e il dominio del “vuoto”.

Oggi, nei paesi industrializzati e ricchi, direi che siamo in quella che  potrei chiamare un`epoca in cui prevale una sorta di “nutella generalizzata”, dell’indifferenza dolce in cui tutti saremo coinvolti e soprattutto nutriti.

La religione, ad esempio, sta divenendo sempre di più un fatto privatissimo, un rapporto domestico, “alla carte”, come si dice, oppure  una sorta di balsamo, di medicina che useremo per i momenti difficili della vita.

 

 

Nella corsa qualcuno deve passare il testimone: la responsabilità è degli adulti


Non possiamo neanche immaginare di lasciare questi giovani da soli. Io ho visto qualche commentatore dire che sono una forza propulsiva, rigeneratrice, però questi giovani da soli non ce la faranno.

Il mondo degli adulti ha una responsabilità grande perché toccherà a loro  legare i fili della trasmissione, come quando si passa il testimone in una gara di atletica.

Qualche cosa della metafora della gara a squadre in cui il testimone passa di mano in mano, di generazione in generazione, credo debba rimanere al centro delle nostre preoccupazioni.

Oggi, per varie ragioni, anche agli adulti risulta difficile diventare dei testimoni credibili di loro stessi e della loro storia e quindi essere in grado di passare alle prossime generazioni  un “testimone” e di porre in opera una testimonianza credibile, sufficientemente forte, senza trasformarla consumisticamente  in un feticcio.

 

 

D.: Ma i giovani, quelli che a Roma non c’erano, sono in grado di ricevere il testimone?


La potenza di una domanda aperta


Non voglio credere che non ci siano stati in quell’evento di massa  fenomeni, che hanno a che fare con “la patologia delle masse”, da guardare con una certa prudenza.

Per dirla molto banalmente, la massa è una specie di vaso vuoto, è il leader carismatico che ha la verità, riempie questo vaso e tutti si sentono molto bene perché si sentono colmi.

Questo, a Roma,  non credo sia avvenuto, anzi.

La domanda di Giovanni Paolo II, che ha introdotto il suo incontro con la folla di Tor Vergata, era: voi siete venuti a cercare chi? Quindi già si poneva nell’ordine di un’interrogazione, di qualcuno che vive la tensione fra il “già e non ancora”. In questa tensione stanno i giovani a cui il Papa ha proposto la parola e la figura di Cristo, alla congiunzione tra storia e trascendenza.

Ma Cristo Gesù, non è una figura da cui possiamo trarre senza fatica risposte preconfezionate, non  è  un’immaginetta anonima: Cristo parla sempre a te, prima di tutto. 

La percezione che i giovani ne hanno è piena di interrogativi, di incertezze, di cose che devono essere soprattutto  cercate: Cristo è in primo luogo la via, la strada su cui incamminarsi. 

Dunque, nella stessa dinamica del messaggio, io credo che ci fosse l’antidoto ad una religiosità della pienezza inerte, che non pone più domande, perché ha già tutte le risposte possibili.

 

 

Libertà di obbedire


In questo senso dunque la domanda di Roma è una proposta fortemente educativa per i giovani, i quali, religiosi o no, vivono sempre la tensione tra: “sto male perché sono vuoto” e “cerco una pienezza”.

Tutto dipende allora dalla qualità di questa “pienezza”, che potrebbe essere “tossica” e a cui avvicinarsi in modo dipendente.

Vi è un’altra pienezza, invece, che interpella la libertà, lascia che il giovane maturi da bambino ad adolescente a giovane adulto, attraversando questo grande mistero della libertà, che non è far tutto quello che si vuole, ma contiene paradossalmente persino il senso dell`obbedienza.

Oggi poi,  a dire queste cose,  si rischia di essere presi quasi per autoritari fuori tempo. Eppure il mistero della libertà, contiene un particolare rapporto con l’obbedienza, con qualcosa che trascende il presente, spinge oltre, pone l’adolescente, credente o meno, nella condizione del viandante.

 

 

Una mappa contro il pensiero debole e i miti quotidiani


Per un giovane che crede, la meta è evocata, raccontata, ma non data. Per chi nasce e cresce con questa tradizione in sé, la mappa del viaggio è forse più indicata,  che per chi non può attingere a questo patrimonio. Un patrimonio che non viene da solo ma è di nuovo frutto d’una testimonianza che noi tutti dobbiamo partecipare a conservare e a donare. 

Le altre nobili tradizioni della modernità sono molto in crisi, non offrono più sufficienti argomenti, forse perché troppo appiattite sul presente e le sue esigenze soprattutto tecnico-economiche. 

E’ come se il pensiero laico si fosse impoverito sulla gestione contabile della realtà e abbia  spezzato un po’ le sue “ali” .

I giovani hanno bisogno di ali, capaci di volare e accettando il rischio di cadere perché si sono, come Icaro, avvicinati troppo al sole.

Per i giovani che non hanno questa mappa in sé, probabilmente il rischio è di essere più sedotti dai miti quotidiani, anche se il giovane religioso non ne è certo esente.

Troppo potenti, infatti, sono i miti della nostra quotidianità, che attengono al successo, alla carriera, a questa sorta di “darvinismo sociale”,  che è diventato quasi una “cosa naturale” come i temporali e la pioggia, per cui il presente e le sue leggi  è ovvio, nella scuola, nelle fabbriche, nella vita della coppia, nella famiglia , nei rapporti interpersonali, ecc..

 

 

Il mondo come un’azienda e la digestione indigesta


Potremmo a questo proposito elencare tutta la geografia del presente, che non è, come si dice spesso, senza valori, anzi, è piena di valori.

Ma questi valori portano l’uomo alla pienezza della sua umanità o lo riducono a semplice “risorsa umana” da spendere economicamente?  Una risorsa, che assomiglia a risorsa petrolifera  o energetica, trasformando il mondo in una azienda, funzionante e automatica.

I giovani che non tengono forte e viva questa apertura alla trascendenza, forse saranno più facilmente vittime di questi valori del presente, che in realtà hanno una grande capacità onnivora, in grado di mangiare, ingoiare tutto, poi  sputare di nuovo tutto.

In questa operazione quasi intestinale, l’umanità diventa mera  “cosa”, da digerire ed  espellere continuamente.

Io, naturalmente, è a tutt’altra umanità che penso e che auspico per me, per i miei figli, per i miei vicini, per il mondo in cui abito.

 

 

L’idolo in agguato


Allora quei giovani che fanno questa testimonianza di cui stiamo parlando, certo ci rendono un servizio importante. Si faccia tutti attenzione, tuttavia, perché anche nel mondo dell’esperienza religiosa, non siamo privi, oggi come ieri,  di “vitelli d’oro”. 

A nessuno, nemmeno quando crede di aver incontrato Gesù per la strada che ha cambiato la sua vita, è garantita la salvezza, perché questa attiene soprattutto all’ “Al di là” . Nell’ “al di qua” invece c’è un continuo confronto tra i veri ideali e i valori che prendono facilmente la sembianza dell’idoletto quotidiano.

 

 

I quattro venti della tempesta giovanile e la rotonda antropologica


I giovani, in generale, si devono misurare con quattro dimensioni del sentire, del pensare e del fare: la ricerca di assoluto, la ricerca di verità, la trasgressione, il bisogno di ebbrezza.

- cercano l’assoluto, nella religione, nella politica, nei rapporti umani. Cos’è l’amico del cuore, se non un assoluto?

- hanno un grande bisogno di verità, con la “v” minuscola, o forse anche con la “v” maiuscola, una verità che si faccia continuamente domanda, interpellanza.

- un giovane che non attraversa nell’adolescenza un momento di rottura, di trasgressione, in qualche modo avrà bisogno di farlo più tardi. La trasgressione è un atto fisiologico, pericoloso a volte, come rischiosa è l’adolescenza, questa specie di stretto di Behring in cui i venti soffiano fortissimi.

- Infine, il bisogno di ebbrezza, che non riguarda solo le sue forme patologiche, ma concerne il superamento dei propri limiti, la prova del proprio corpo, delle proprie forze.

A Roma i ragazzi stavano all’addiaccio per due giorni, dormendo poco. Io, con qualche anno sulle spalle,  non mi sarei più esposto a fare sul mio corpo quell’esperienza: avrei certo ascoltato il Papa, ma con pranzo in trattoria e albergo prenotato, magari sei mesi prima.

Per i giovani no, l’essere stati a dormire per terra a Tor Vergata, l’aver mangiato poco, con quella calura; tutto ciò corrispondeva a questo bisogno di ebbrezza, nel senso positivo della parola. 

Combinando questo quadrilatero fatto di ebbrezza, trasgressione, ricerca di verità e tensione all’assoluto, abbiamo una mappa di come un ragazzo e una ragazza, possano passare dall’infanzia al mondo adulto, in modo da fare di questo attraversamento qualcosa che rimanga come una ricchezza, un paesaggio che anima l’interiorità.

 

 

Per non diventare come polli da ingrasso, bisogna accogliere una infusione d’anima.


Se io penso alla mia giovinezza, con i suoi lati oscuri e le sue buone cose, resta in me come un’isola verdissima, un giardino segreto, pieno di contraddizioni certo , ma verdissimo.

Incontriamo invece giovani e meno giovani che ricordano la loro adolescenza come un periodo di calma piatta, di zona neutra, dominata dalla noia, che non è né trasgressione, né ebbrezza, né ricerca di verità o di assoluto.

Quei giovani non potranno che andare domani ad alimentare il vasto gregge dei cittadini che saranno un po’ come quegli uccellini che sono sul nido, con la bocca aperta, pronti a prendere il cibo dalla mamma e mai spiccano il volo.

Io non credo che i giovani di Roma, come tutti gli altri che per altre vie hanno saputo trovare il modo di far funzionare questa sorta di “rotonda antropologica”, questo spazio in cui far circolare i quattro elementi di cui ho parlato, per finalmente trovare una propria strada, possano ritornare facilmente nel gregge.

Penso a  questo mescolarsi dei quattro elementi della “rotonda esistenziale” dell’adolescenza come ad una grande iniezione di vitalità, che in tutte le epoche storiche ha cercato il modo di rinnovarsi.

Anche il nostro tempo ha bisogno di rinnovarsi, ridando ai giovani la possibilità di rimettere vitalità nel circuito umano, tante volte così spento, oppure così prigioniero nelle sue ripetizioni.

Da qui, per una generazione come la nostra che ha responsabilità famigliari e sociali da portare,  l’importanza dell’ascolto continuo dei giovani, senza demonizzazioni né categorizzazioni; un ascolto aperto a questo grande fuoco di vitalità e di anima di cui  i giovani testimoniano.

L’esperienza di Roma per me, spettatore lontano, parzialmente esterno, è stata una grande infusione di “anima”.

 

 

D.: Torniamo a Roma, un’esperienza importante, ma dopo? La continuità è un problema e non solo per i giovani di Chiesa!


La storia è oggi, il tempo è subito

Questo che lei dice è l’indicazione di un sintomo epocale, che riguarda il nostro rapporto con il tempo e con la storia.

Le generazioni precedenti avevano un forte senso della storia; noi, avevamo la necessità di collocarci in un passato e in un futuro.

Il nostro era soltanto un pezzetto di lavoro che correva lungo un fiume che sarebbe arrivato a una meta, profana o religiosa, di salvezza mondana o eterna.

Oggi, abbiamo un’idea di storia se non proprio finita, pressoché inutile, perché tutto deve avvenire nell’attimo, nel momento, nell’evento.

Anche la nostra percezione del tempo è dominata dal presente, con le sue caratteristiche di immediatezza, istantaneità, attualità.

Le tecnologie della comunicazione, non fanno altro che confermare queste caratteristiche, come se tutto il mondo, passato e futuro, esistesse solo in quel preciso momento.

In questo contesto epocale, i giovani valorizzano al massimo l’evento, Tor Vergata per fare un esempio, lo vivono profondamente.

Il problema nasce quando questo evento deve trasformarsi in storia, in fatica della quotidianità, in un cammino in cui ogni passo abbia senso in rapporto a una meta.

Anche questi giovani, alla ricerca di una parola di verità, rivelata nella storia, sono come noi, come tutti, immersi in un universo sempre più presentificato, da cui non possiamo mai assentarci un attimo: se ci assentiamo anche solo un istante, abbiamo la sensazione di essere annullati e morti.

 

 

Storie d’altri tempi o il tempo ritrovato


Nell’esperienza religiosa, la preghiera, ad esempio,  è una delle grandi pratiche temporali, in cui io mi devo assentare.

Mi assento dal mondo perché ascolto e parlo a qualcosa che non ha tempo, anche se è incarnato nel tempo; andare in chiesa  a pregare e a ripetere gesti antichissimi è fare questa esperienza paradossale; mi assento dal tempo per seguire il ritmo della preghiera, che prende il sopravvento e sentire le voci di un’altra temporalità. 

Mi assento persino a volte dal mio corpo e dalla mia quotidianità, quando, attraverso la preghiera, in qualche modo mi riallaccio e sento la presenza di Dio. Questo è allora un modo di riappropriarmi di un tempo diverso, di un  tempo ritrovato.