Primi passi nel laboratorio della fede


Di Cristina Vonzun

 


Dopo Tor Vergata e lo straordinario incontro di due milioni di giovani con il Papa, è cominciato il periodo del “laboratorio della fede” (cfr. messaggio del Santo Padre a Tor Vergata). La Chiesa in Italia ha dato il via ad un tempo di dialogo e confronto sulla realtà giovanile. Anche noi abbiamo maturato questa esigenza richiesta ormai da più parti e ci siamo avventurati in una fase di analisi del pianeta giovani per essere adeguatamente capaci di accogliere le loro aspirazioni e avanzare proposte che sappiano renderli protagonisti.

Nella nostra diocesi abbiamo pertanto lanciato un ciclo di conferenze dal tema: “Cosa cercano i giovani oggi?”. Alla prima fase di questi dibattiti svolti alla birreria Dolfini di Bioggio, nell‘aula magna della scuola di Commercio di Bellinzona, alla scuola elementare Canavee di Mendrisio e nello studio di Caritas Insieme, hanno preso parte 47 ospiti quasi tutti provenienti dal mondo laico ed un pubblico sempre numeroso ed interessato, composto da giovani e da adulti. Questi ospiti erano: giornalisti, animatori di radio giovanili, insegnanti di scuola media, di scuola superiore e di scuole professionali, persone impegnate in associazioni di volontariato, monitori di sport, gestori di pub, persone impegnate in politica, rappresentanti di giovani, animatori di centri giovanili, psicologi che insieme ad un pubblico sempre molto vivace, hanno tracciato un quadro del mondo giovanile visto da una prospettiva sostanzialmente „laica“.

Quali grandi temi sono emersi?

Un primo aspetto potrebbe essere individuato in una lettura della personalità del giovane. C‘è il desiderio di voler „essere padroni della propria vita“, cioè  autonomi, indipendenti,  per opporsi quasi alla selva di proposte-inviti che cercano di catturarli da tutte le parti e verso le quali avvertono una sorta di smarrimento: troppe offerte in fondo, che tolgono la capacità di scegliere.

Eppure dentro questa voglia di autonomia c‘è soprattutto una ribellione ai condizionamenti da cui comunque non riescono ad uscire perché bisognosi di modelli che non trovano. I giovani capiscono che vogliono credere in ciò che fanno ed essere più che avere, ma non trovano punti di riferimento.

Qualcuno ha poi affrontato il tema del disagio giovanile. Anche qui non c‘è un etichetta valida per tutti, ma si è indicata la causa nel disagio presente tra gli adulti (genitori, educatori, famigliari) che si riflette sui giovani.

Davanti al grande capitolo della responsabilità verso l‘altro e la società, è uscito il bisogno di aggregazione anche se c‘è il problema degli spazi. L‘aggregarsi sembra non  sia avvertito  per una finalità politica, culturale, religiosa, ma solo come tentativo di combattere la solitudine, occasione di svago e di libertà.

Per cui si nota un‘assenza nei confronti di un impegno politico (c‘è chi ha parlato di giovane apolitico) e dell‘assunzione di una responsabilità stabile (più facile assumere di tanto in tanto sporadici impegni). La responsabilità fa paura, soprattutto quella di crescere, di arrivare ai 20 anni.

Ma cos`è la felicità? Una situazione incostante: si ricercano sempre nuove emozioni, nuove attività, vagando da una cosa all‘altra. In sintesi la felicità è avere dei traguardi davanti da raggiungere.

Un altro bisogno relativo alla relazionalità è quello di essere ascoltati. Sono soprattutto coloro che lavorano nelle radio giovanili e nei pub ad essere testimoni di questa ricerca. Anche qui, se chi chiede ascolto riesce a restare nell‘anonimato è meglio, per cui la mail generation e la sms generation comunicano i loro problemi senza mostrare un volto e un nome. Da queste comunicazioni anonime emerge una situazione di noia e disorientamento.

Un altro grande gruppo di interventi si è aggirato attorno ad una analisi del contesto socio-economico. Si è parlato di „oceano di scelte“, di „villaggio globale“ in cui alla somma di offerte con grandi possibilità di riuscita fa riscontro il rischio di smarrirsi nelle diverse e troppe proposte. Analizzando più in profondita questo senso di vertigine ne abbiamo individuato l‘origine da un punto diverso da quello delle generazioni precedenti: queste erano alla ricerca di una libertà dalla tradizione, mentre l‘attuale generazione sarebbe affetta da una patologia di mancanza di struttura a cui  sarebbe necessario proporre una terapia di strutturazione. 

Diversi ospiti hanno messo l‘accento sulla necessità di avere dei modelli, di avere una bussola, un mezzo di orientamento, un parametro di confronto, soprattutto capace di indicare una lettura positiva ed impegnata della vita (che per alcuni corrisponde alla felicità), per essere aiutati a  raggiungere gli obiettivi necessari per vivere bene, che per molti corrispondono a lavoro, famiglia, casa ma anche per imparare a cercare, per mettersi in discussione, per saper prendere una strada, per imparare, finalmente cosa sia questa responsabilità.

Tra gli elementi che determinano il  contesto socio-economico emerge il fattore tempo. Anzitutto la grande velocità nel cambio generazionale: in 6 anni passa una generazione, una moda, una cultura e ne arriva un‘altra quasi totalmente diversa dalla precedente.

Tutto è contraddistinto dalla fretta: quella di arrivare ad una posizione sicura, quella di avere una famiglia, una casa, un lavoro certo. Ma la posizione sicura presto si rivela un sogno irrealizzabile a causa del moto proprio del mondo del lavoro che richiede un aggiornamento continuo. E‘ soprattutto la fatica dei quattordicenni che risalta con forza.

Qui, secondo un‘analisi psicologica, possono nascere delle angoscie esistenziali,  soprattutto per chi non riesce a tenere il passo con i cambiamenti. 

Anche nei riguardi dello sport, che dovrebbe essere un diritto di tutti i giovani, si tende sempre più a dare sovvenzioni solo per un certo livello di atleta, puntando, anche qui ad un ritmo vertiginoso di risultati immediati. C‘è chi ha portato l‘esempio concreto di ragazzini „destinati“ alla panchina della squadra già a partire dagli otto anni, la qual cosa rischia veramente di essere frustrante. Ma c‘è ancora spazio per la domanda etica? E‘ un dato che il problema etico valga per tutta la società e non solo per i giovani, soprattutto oggi in cui al bene e al male si sono sostituiti la ricerca immediata di posto di lavoro, successo, ricchezza.

Ma i valori sono a loro volta variabili a dipendenza delle condizioni culturali ed economiche. Ad esempio la pressione sociale sovverte i valori e l‘individualismo prende il posto della solidarietà, di cui, tuttavia, continuano ad avvertire una bellezza che diventa, in alcuni casi, impegno edificante, in altri nostalgia.

Nasce da questa prima fase di dibattiti la proposta di fare del nostro incontro con la nuova generazione un lavoro culturale. Questo, in sintesi, il contributo degli ospiti. Dal pubblico sono usciti diversi spunti interessanti e soprattutto sono emerse le domande di alcuni giovani che hanno lanciato questioni molto concrete: sul lavoro, sulla scuola, sul futuro. Colte nel loro insieme sembrano nasconderne una più profonda: sul senso del vivere in un mondo che è  costituito da una grande frammentazione dentro il quale tutti cercano un punto di riferimento che risponda nella concretezza di ciò che vivono (scelte, scuola, lavoro, politica, impegno sociale) a quello che stanno cercando e che gli sia testimone di positività, impegno e senso della vita. I dibattiti riprenderanno nel mese di gennaio, raggiungendo le Tre Valli e il Locarnese – Valle Maggia.