A cura di Dani Noris
L’estate di San Martino quest’anno non ci ha traditi. Dopo un periodo di pioggia e di nebbia ecco finalmente un week-end splendido con il cielo terso, le montagne ricoperte di neve, i colori del bosco così come ci piace contemplarli in autunno. La bella casa della famiglia Berardo ha ancora dei grappoli di gerani fioriti alle finestre, il prato è verde come l’Irlanda e curato come se Cristina, ogni giorno strappasse i fili d’erba non graditi con una pinzetta.
Incontriamo questa famiglia legata a Caritas Ticino da tanti anni per farci raccontare la loro esperienza di volontariato.
Enrico: All’inizio del 1991 ho avuto la fortuna di poter andare a imparare il tedesco in Germania. E’ stato un periodo, durato diversi mesi, nel quale ho staccato dalla realtà del mondo del lavoro, dove ci sono determinate regole del gioco. Ho potuto riflettere molto e se prima coltivavo i valori di una persona tranquilla e normale, ma niente di più, in quel tempo ho iniziato a pensare che dovevo fare qualcosa per gli altri. Un po’ mosso da questo spirito filantropico, non avendo a quel momento altri valori, non avendo la fede, ho pensato di rivolgermi a una qualche organizzazione. Non so come ne perché, me lo sono chiesto molte volte in seguito, ho scelto Caritas. E’ stato qualcosa di istintivo, sono andato a Caritas ho chiesto se potevo dare una mano e mi sono messo a disposizione.
Ricordo che un po’ di giorni dopo sono stato chiamato e mi è stato proposto di occuparmi, il sabato pomeriggio, del mercatino dell’ usato, all’interno del programma occupazionale. Subito questa proposta mi ha entusiasmato, forse perché era in qualche modo vicina alla mia esperienza commerciale, anche se evidentemente molto lontana dal mio lavoro e poi per il contatto che avrei potuto avere con la gente. Uno dei ricordi più belli è come ho imparato che l’importante non era andare lì per vendere ma per aiutare in modo diretto gli altri. I primi tempi eravamo molto motivati a vendere il più possibile, con il tempo , quando le cose sono maturate ho scoperto come fare volontariato in modo più pieno, di servizio e dono gratuito agli altri.
L’idea iniziale era di fare il volontariato da solo, poi sono stato travolto dagli eventi, e gestire quel capannone da solo era problematico perché c’era molta gente da seguire. Così è nato qualcosa di molto bello, perché ho cominciato a coinvolgere altre persone. Prima fra tutte Cristina, mia moglie, che è venuta parecchi anni con me al sabato. Poi la famiglia si è allargata, ha iniziato a venire mio padre, poi mia suocera.
Quando è nato Lorenzo Cristina aveva meno tempo, e così sono venuti i nonni, a loro faceva molto piacere, c’era una specie di gara per venire con me il sabato ad aiutare in Caritas.
E quando mia figlia Francesca, è diventata più grandicella, sapeva leggere e scrivere e fare un po’ di calcoli, ha iniziato ad accompagnarmi e ad aiutare.
D: Hai parlato di una scelta iniziale filantropica, poi cosa è successo?
R: E’ difficile spiegare cosa avviene nel cuore, però in termini cristiani è avvenuto che la Grazia del Signore mi ha aperto il cuore. E’ avvenuto in modo graduale, dopo un anno o un anno e mezzo dall’inizio di questa esperienza, da una parte anche grazie ai corsi di formazione fatti in Caritas, ma soprattutto perché un’esperienza di questo genere ti allarga le domande. Parti da una domanda iniziale nei confronti degli altri ma poi ti rendi conto che l’esperienza non finisce lì, ti accorgi che c’è qualcosa di più dietro l’angolo, oltre la porta. Questo è ciò che è avvenuto in quegli anni di volontariato, che improvvisamente si sono trasformati e sono diventati parte di un progetto più grande di quello iniziale.
E’ un cammino avvenuto in qualche modo parallelo, non sempre ci sono stati punti di stretto contatto, ma sicuramente è avvenuto e cresciuto in contemporanea.
D: Cosa ha voluto dire questo nel concreto del tuo quotidiano?
R: L’esperienza di fede è un grande evento. In qualche modo è scoprire di nuovo se stessi ma amplificati. Scopri che non siamo solo quello che la vita quotidiana ti lascia credere, ma qualcosa di più. E’ stato un po’ come salire sul monte Tabor e scoprire la bellezza del Signore. Aprirsi all’umanità in senso integrale, completo. Questo ha coinvolto la famiglia.
Cristina un tempo era credente, io non lo ero e quando è avvenuta la mia conversione questa ha coinvolto tutta la famiglia. Poi il resto è stata Grazia del Signore, perché poi sono stato travolto dall’attività in parrocchia. Ho cominciato con l’animazione liturgica dei bambini, e all’inizio mi faceva sorridere, perché mi trovavo a fare catechesi ai bambini io che in fondo dovevo essere catechizzato. Probabilmente questa è la strada che Dio ha scelto per una catechesi nei miei confronti. Naturalmente è un cammino perché la conversione non è una cosa che ti capita una volta e poi finisce lì.
D: Cristina come hai vissuto l’esperienza di volontariato in Caritas?
R: Tutto è nato dal desiderio di Enrico che mi ha coinvolto. Il fatto di venire proprio in Caritas, di fare qualcosa di vero e di concreto mi ha reso veramente felice. Poi man mano che il tempo passava la cosa diventava sempre più importante. Ho dovuto sospendere quando è nato Lorenzo e in seguito Edoardo e al mio posto sono subentrati altri della famiglia. La cosa è stata bella perché anche loro si sono sentiti ancora importanti e utili.
Quando
poi avete organizzato anche qui a Stabio un negozietto Caritas, io non ho
potuto essere coinvolta subito perché avevo i bambini così piccoli. Ne ero dispiaciuta perché vedevo le mie amiche
che si davano da fare, che coinvolgevano i mariti, ma per me non era il tempo
giusto. Adesso che i bambini sono cresciuti un po’ ho potuto riprendere e
mi sento bene. E’ un’esperienza diversa da quella di Lugano dove c’era molta
più gente e molte più situazioni di bisogno, ma è qualcosa di bello che vorrò
fare sempre. L’operosità, la carità vissuta dando il proprio tempo e se stessi è la cosa più importante, ciò che più
mi aiuta nel cammino di fede.