Dibattono tre parroci ticinesi


A cura di Dante Balbo


 

Qui di seguito vi proponiamo, sul tema del rapporto fra Caritas e parrocchie, l’opinione di don Gianfranco Feliciani, don Giusepppe Bentivoglio, don Angelo Ruspini, parroci ticinesi, ospiti del nostro studio TV di Caritas Insieme,  don Virginio Colmegna direttore di Caritas Ambrosiana e don Elvio Damoli, direttore di Caritas Italiana, intervistati a Milano. A loro abbiamo affiancato la testimonianza dei coniugi Enrico e Cristina Berardo di Stabio, che, attraverso l’esperienza del volontariato con Caritas Ticino, si sono avvicinati alla parrocchia dove oggi sono attivi.

Don Gianfranco: Se vogliamo affrontare il problema del rapporto fra Caritas e parrocchie,  è importantissimo non prescindere da quello che è la parrocchia. Il nome parrocchia oggi, non è più una parola chiara come lo poteva essere un tempo. Mi riferisco alla grave crisi, magari soltanto una crisi culturale o psicologica, che però va dietro ad una crisi di fede, alla fine.  La parrocchia sta vivendo una grave crisi quindi per Caritas non è più un interlocutore chiaro. A chi scrivi? A chi parli? Quando tantissime parrocchie della nostra diocesi non hanno più un responsabile, non hanno più un parroco e la vita di fede è quello che è. Magari è soltanto una crisi di cultura, e non subito di fede… ma quanti sono i nostri fedeli cristiani, cattolici e battezzati che si riconoscono dentro la parrocchia ? che frequentano la chiesa tutte le domeniche? il 15%? Non lo so.

 

Dante: le statistiche dicono anche meno, ma siamo buoni e teniamo in considerazione questo 15%.

Don Gianfranco: Io penso che la carità se è il massimo della vita di fede, appunto, salta fuori da una vita di fede. Forse per noi oggi il bisogno primario è quello della cosiddetta “nuova evangelizzazione” in cui si ritorna all’essenziale, all’annuncio di Cristo Gesù, all’annuncio della salvezza, che solo Lui annuncia in un modo pieno e definitivo. E la carità salta fuori da lì, il nostro andare incontro agli altri. 

 

Dante: c’è un ulteriore problema da aggiungere a quanto poneva adesso Don Gianfranco.  “una Caritas parrocchiale”, quando esiste ed è solida, come fa a lavorare, visto che oggi viviamo in un paese con uno stato sociale robusto che copre di fatto la maggior parte dei bisogni dei singoli?

Don Angelo: La nostra Caritas parrocchiale di Giubiasco ha come compito di essere un legame formativo tra i gruppi che lavorano direttamente con le persone, che visitano i malati, e le strutture che ci sono attorno, che operano sul territorio facendo un’attività di tipo sociale, assistenziale. Il gruppo caritas cerca di offrire loro la conoscenza di tutte quelle strutture di aiuto, che possono essere un suggerimento idoneo anche ai parenti delle persone ammalate. E questo chi va a far visita ai malati non sempre lo può fare; quindi a livello parrocchiale si tratta proprio di introdurre l’idea di una mentalità comunitaria fra tutti coloro  che possono collaborare davanti alla povertà. Il secondo compito della Caritas parrocchiale è quello di inglobare una mentalità caritativa, e non solo sociale, che ha come punto di riferimento Gesù Cristo e il Vangelo. Tutta la comunità, e non soltanto i gruppi caritativi, hanno comunque a disposizione il gruppo di Caritas parrocchiale il mese di febbraio in cui si creano attività che coinvolgono il resto della comunità

 

Dante: E cosa fanno in quel mese ?

Don Angelo:  In quel mese per esempio possono chiamare Caritas diocesana per leggere le nuove povertà in modo da preparare un “menù” per l’anno successivo, possono proporre alla comunità delle sinergie come quelle che si sono verificate in questi ultimi anni sia a livello di sostegno a paesi in via di sviluppo, sia riguardo all’attività occupazionale per reinserire i nostri disoccupati. Oppure ascoltando altre prospettive più ampie in modo da non fermarsi solo sull’ottica del territorio parrocchiale ma essere uniti anche agli obiettivi della Caritas diocesana. Vorrei portare l’esempio di Bodio, dove durante il periodo della crisi della Monteforno con il gruppo di Caritas parrocchiale ci siamo chiesti cosa si potesse fare per la comunità, sapendo che in molte famiglie di operai italiani c’era crisi perché gli adulti volevano tornare nel proprio paese, mentre le nuove generazioni non volevano andarsene, se non per fare le vacanze durante l’estate.  Abbiamo chiesto a Caritas Ticino una consulenza ed ogni mese un assistente sociale di Caritas era presente un pomeriggio per incontrare le famiglie.

 

Dante: Allora che cosa non funziona secondo voi nel rapporto fra Caritas Ticino e la comunità locale, visto che il nostro impegno comunque a livello formativo, e di energie spese in questa dimensione esiste?

Don Gianfranco: non credo si debba cercare un colpevole. Zappa (nel suo articolo sul GdP n.d.r.) parlava di un contatto che progressivamente in questi anni è venuto meno. È colpa di Caritas Ticino? Delle parrocchie? Penso che la colpa non sia di nessuno, ma è di tutti, nel senso di questa svolta, di questa crisi che è in atto! Colmegna direttore della Caritas Ambrosiana, ha parlato di 1100 parrocchie della Diocesi di Milano, una realtà che per noi è mastodontica, però parlava di comunicazione, lasciando intendere anche lui una certa difficoltà di contatto, laddove viene a meno la comunicativa. Nessuno si scandalizzi se alla TV io dico questo: chi guarda ai dati statistici della nostra diocesi a partire dal seminario, dall’età dei parroci anziani che meritano tutti una medaglia d’oro perché sono eroi (ce ne sono di ottantenni a capo di parrocchie), a partire dai ragazzi che a livello scolastico frequentano sempre meno la religione, ecco, chi guarda a tutta questa realtà in atto senza il soccorso della grazia di Cristo, dice che la nostra Chiesa è una realtà sociologica in estinzione. Ecco io penso che si debbano guardare queste statistiche, piuttosto che cercare chi è il colpevole. È tutta una realtà in crisi in cui bisogna concentrarsi sulla cosa essenziale, che è quella che continua a ripetere il Papa: la nuova evangelizzazione. Evidentemente il discorso della carità, del rapporto Caritas-parrocchie si inserisce in questa consapevolezza di crisi e di bisogno assoluto di fede che tutti abbiamo.

 

Don Angelo: Mah, io sono molto meno pessimista, nel senso che la crisi c’è e tutti la vedono, però dentro di me e dentro la Comunità,  anche se è una Comunità di poveri perché è una Comunità molto anziana, a livello di sacramenti, a livello di pratica religiosa, a livello di impegno nel volontariato, credo che ci sia una convinzione dentro per cui la gente che guarda la comunità parrocchiale alla fine dovrà pur chiedersi: ma chi glielo fa fare? E questa è la testimonianza gioiosa che una Comunità dà all’interno pur essendo piccola, pur essendo anziana, pur essendo di poveri; io credo che lanci un messaggio di gioia, un valore che supererà la crisi perché è questo germoglio che fa superare la crisi.

Io non ho mai pianto perché le Chiese sono vuote, ma diventa una sfida in più per manifestare la forza, la gioia di questo Gesù che mi dà veramente una spinta anche per affrontare questa situazione.

 

Don Gianfranco: Chiaro, non è una questione di pessimismo, di ottimismo. Di un prete, o un Parroco entusiasta

Credo che bisogna chinarsi sulla realtà concreta che ci appare per non star lì a perdere tempo nel litigare. Siamo rimasti in tre gatti. Se stiamo lì a litigare non ne veniamo a capo. Io penso che non è colpa di nessuno. Le Parrocchie fanno quello che possono fare e Caritas Ticino fa quello che deve fare. Se posso lanciare una proposta in concreto: vedo che mandate a tutte le Parrocchie la rivista Caritas Insieme che è fatta bene. Ecco, potrebbe essere un meraviglioso primo aggancio se i Parroci, i Vicari, i responsabili di Parrocchie si dessero la briga di dire che questa rivista è in fondo alla Chiesa. Potrebbe già essere un aggancio. Forse non viene ancora fatto questo. Voi la distribuite a tutti ma è reclamizzata poco.

 

Dante Balbo: Veramente la distribuiamo solo a chi ha accettato di riceverla e nel numero di copie concordato. Ci sono così parrocchie abbastanza grandi che ci chiedono solo qualche numero della rivista e molte che non la vogliono neppure.

Don Giuseppe Bentivoglio: Sentendo anche gli interventi che sono stati fatti e ascoltando quelli di Zappa e del Direttore della Caritas ambrosiana sono sempre più convinto di questo: il rapporto Caritas diocesana e Parrocchie non è una strategia. Accade veramente nella misura in cui esiste una vivacità nella realtà parrocchiale.

Non so, può darsi che mi sbagli, però non credo che se un gruppo parrocchiale  o una Parrocchia  o un singolo Parroco ha chiesto a Caritas Ticino qualcosa, Caritas gli abbia detto: no, non ci interessa niente. Non mi sembra. Cioè c’è sempre la possibilità di intervenire su richiesta di “chi sa di che cosa ha bisogno”. Quindi il punto è quello. Anche l’intervista del Direttore della Caritas di Milano ha detto questo. La Caritas non può vivacizzare una Comunità parrocchiale che non è vivace.

La Caritas deve tener conto di quel che c’è. Sollecitare che venga su qualcosa, vuol dire comunque che ci siano due o tre persone che dicono: “Noi vorremmo fare un’azione di questo genere e allora voi che consigli ci potere dare? Che aiuto ci potere dare?” C’è  sempre qualcuno che parte là dove si è presenti.

Dove non c’è niente non si può arrivare come la Migros con i suoi camions, piazzarsi e mettere il cartello “carità”, e pensare che la gente farà chissà cosa.

Evidentemente questa è una dinamica che appartiene alla natura del fatto cristiano. Ci sono delle persone che formano una Comunità che è responsabile della testimonianza che dà agli altri e si articola, si organizza e vive la dimensione cristiana come meglio può. Anche le altre realtà diocesane e non solo Caritas Ticino, aiutano queste realtà magari iniziali a crescere, a impostare bene le cose. Si possono supplire determinate carenze di un soggetto che c’è, ma non di un soggetto che non c’è.

 

Il protagonista di tutta la questione di cui stiamo parlando non è la Caritas diocesana ma e la realtà parrocchiale. Infatti un gruppo attivo in parrocchia può dire: noi abbiamo lanciato un’iniziativa nell’ambito della carità, ci serve una certa cosa e ci rivolgiamo a quella realtà che ci può aiutare, e non necessariamente solo alla Caritas diocesana.

Una realtà viva non sta lì in attesa che caschi qualcosa dal cielo. Si da da fare. Una realtà viva si dà da fare.

 

(Intervista non rivista dagli autori)