Liberalizzazione delle droghe leggere
Perchè sono contrario

Di Arnold Dünner



Perché non liberalizzare le droghe leggere ? A farci riflettere è un operatore di Caritas Ticino, che senza entrare in merito ad analisi politiche particolari, o a discorsi medici sugli effetti delle droghe, mette in luce con estrema chiarezza il vero problema: al centro del dibattito non vi sono i canapai, le sostanze allucinogene o i presunti effetti positivi della distribuzione controllata di eroina, ma vi è l’uomo, con le sue fatiche, le sue aspirazioni, la sua dignità. Arnold Dünner ci regala questa testimonianza che vi invitiamo a leggere, ma che dovrebbe trovare uno spazio anche all’interno delle scuole, delle famiglie o laddove i cosiddetti esperti discutono sugli interventi da attuare per affrontare la problematica droga. La testimonianza nasce da una persona che ha vissuto per lunghi anni sulla propria pelle "la cultura dello sballo", utilizzando qualsiasi sostanza capace di alterare il proprio rapporto con la realtà. Oggi, dopo aver vinto la sua lotta contro la dipendenza, davanti all’attuale dibattito sulla liberalizzazione delle droghe, si sente in dovere di parlare pubblicamente della sua esperienza.

Ci risiamo; laddove la nostra società si vede impotente davanti ad uno dei tanti problemi, ecco purtroppo che la tendenza generale è quella di aggirare il tutto con pseudosoluzioni in nome di una pseudolibertà che, a mio avviso, non è altro che un arrendersi davanti a situazioni difficili, situazioni che richiedono fatica ed impegno ad ognuno di noi. (In altre parole: facciamo finta che ... tutto va bene e se poi proprio qualcuno vuole rompersi la testa contro i muri lo faccia pure, ma non sui muri di casa nostra, potrebbe disturbarci.)

Così è stato per il discorso sulla distribuzione controllata di eroina, sull’aborto, sull’Aids e per altri diversi temi sui quali al momento non intendo entrare in merito.

Vorrei soffermarmi sul problema attualmente discusso della liberazione delle droghe leggere. Come già espresso in passato non mi considero esperto di niente, né di psicologia, né di sociologia o altro e nemmeno esperto di vita (ho cominciato tardi a capirci veramente qualcosa), ma comunque so di avere dei buoni maestri. Ho però un’esperienza alle spalle che mi permette, o meglio mi obbliga a dire la mia. E’ un’esperienza fatta di un lungo tragitto di tossicodipendenza che grazie a Dio ed all’aiuto di chi Lui ha messo sulla mia strada si è tramutato in un cammino di speranza, scuola di vita e soprattutto amore per la vita.

Tornando al tema centrale di questa mia lettera vorrei dire qualcosa non tanto sul tipo di droga, sostanza leggera o pesante che sia, ma su quel che si definisce la "cultura dello sballo", è questo secondo me il nocciolo della questione. Di droghe, tutti lo sappiamo, ce ne sono tante: leggere, pesanti, legali o illegali ma il punto non è questo. Il punto è purtroppo che c’è chi ci arriva, dico "arriva" perché, aldilà di una convinzione diffusa, la droga, qualsiasi essa sia, non è un punto di partenza che per molti, troppi, porta poi a tristi conseguenze, ma è un punto d’arrivo. Chi entra in contatto con essa non è per caso come spesso si crede, ma secondo me, è il sintomo di un vero disagio. Un disagio che sta a monte, spesso anche lieve o comunque con buone probabilità di essere capito ed affrontato, ma che spesso viene accantonato.

Quindi più che dire cosa fanno di male hashish e marijuana a tanti ragazzi, direi cosa non fanno: sono sostanze d’evasione (su questo anche gli esperti di ogni tendenza concordano) e come tali non aiutano le persone giovani o meno giovani ad affrontare quelle piccole o meno piccole difficoltà che tutti, ripeto tutti, incontrano nelle varie fasi della propria vita. Esse, come altre, sono sostanze che aiutano, deresponsabilizzando chi le usa, a mettere da parte quei problemi di ognuno cronicizzandoli via via col tempo, finché al momento dei conti, si fa per dire (e questo arriva sempre) non appariranno più come piccoli problemi irrisolti o magari sottovalutati, ma montagne insormontabili che creeranno angoscia e smarrimento.

Parlando di droghe leggere e sugli effetti che esse possono avere le si paragonano spesso all’uso libero di alcol. So per esperienza che l’abuso di quest’ultimo è comunque un problema grave che va affrontato ma non vedo perché visto che nella nostra cultura da secoli questo problema c’è già, si debba spalancare le porte ad una sostanza che fino ad ora comunque nella cultura di noi occidentali non è mai stata ancora alla portata di chiunque volesse "evadere".

Ripeto, non è tanto questo o quel tipo di sostanza che va combattuto ma piuttosto la "cultura dello sballo". Sono già tanti i modi in cui uno si sballa (anche senza sostanze) non incoraggiamone altri! Mi si può definire "quadrato" o poco aperto, ma credetemi ho visto e vissuto che la droga, qualsiasi tipo essa sia, con il tempo porta solo a situazioni di smarrimento, confusione e sofferenza, a volte all’inizio non così evidente ma col tempo drammatica se non addirittura tragica. Quasi tutti della lunga lista di ragazze e ragazzi che personalmente ho conosciuto e che oggi sono morti per overdose, suicidio o Aids, fumando le prime "canne" con me ridevano e scherzavano nascondendo (come facevo io) quel malessere che probabilmente, capito e condiviso da altri in tempo, avrebbe fatto si che oggi sarebbero ancora con noi.

Concludendo, il mio oggi non è un voler demonizzare a tutti i costi lo spinello, ma rendere le persone attente del fatto che là, dove c’è la ricerca dello sballo, di qualsiasi tipo esso sia, là secondo me c’è un malessere, una fatica di vivere, magari nascosta o poco consapevole, di una persona sola, ed è lì che siamo chiamati ad intervenire noi tutti, ascoltando, accogliendo, condividendo e soprattutto (quel che mode e mass-media non sanno fare) proponendo un cammino vero, di fede, responsabilità ed amore. Minimizzando, lasciando fare, o peggio incoraggiando queste "innocenti fumatine" nel nome di una tranquillità comune, altro non facciamo che ignorare dei campanelli d’allarme sottraendoci a quella responsabilità che ci dice che il bene dell’altro riguarda tutti noi in prima persona.