I MULINI a vento
Perplessità sui venti che soffiano nella nostra società

Di Marco Fantoni



In questi ultimi tempi, forse a causa di votazioni popolari, di un maggior interessamento dei mass-media, o di fatti avvenuti da noi e all’estero, si può respirare un’aria del "tutto va bene" del "bisogna cambiare, bisogna aprirsi, dobbiamo legalizzare".
"Legalizziamo tutti i mali del mondo" era il titolo di un articolo che Roby Noris proponeva sul numero 5-1996 della nostra rivista.
Sembra, o meglio è questa la tendenza che cresce sempre più da noi e non solo. L’ultimo esempio è l’approvazione a maggioranza del Consiglio degli Stati del 7 marzo scorso, che si aggiunge a quella del Consiglio Nazionale, sulla depenalizzazione del consumo e del commercio di canapa.
Ci siamo sempre battuti contro le depenalizzazioni delle droghe pesanti e anche di quelle leggere. Piaccia o no, la canapa ed i suoi derivati, sono il primo passo verso le droghe pesanti. Chi tenta poi di uscire da quest’ultime, ed è ad esempio in cura metadonica, si "sfoga" spesso con le "canne". Un passo indietro anche in questo caso.
Non serve a niente paragonare questo problema con il libero consumo di sigarette e di alcol. È evidente che ciò non è sano. Ma, non si può contrastare un tema negativo contrapponendone un altro altrettanto negativo. È il classico esempio di mancanza d’argomentazioni.
Il problema della canapa e dei suoi derivati è evidente nelle zone di confine in Ticino. I canapai sono nati come funghi, velenosi. I giovani che fumano sono in aumento, vedi scuole, istituti, ecc. Il turismo dall’Italia è in aumento. Non vengono per acquistare dadi e cioccolata. Anche i minori, nonostante i divieti vengono facilmente in possesso di marijuana, nei negozi entrano i maggiorenni che poi la rivendono, come dire fatta la legge, trovato l’inganno. Niente di nuovo sotto il sole dunque!
Questo è solo uno degli esempi della tendenza nella nostra società. Qui non si tratta di essere integralisti, non si tratta di opporsi a tutti i costi a proposte che nascono dalla gente e dai politici. Si tratta di mettere la chiesa al centro del villaggio. Di fermarsi un attimo e guardarsi attorno. Chiedersi se questi venti siano dannosi alla persona.
Droga, uteri in affitto, manipolazioni genetiche, globalizzazioni sfrenate. C’è qualcosa che stona, anzi gli strumenti sono letteralmente arrugginiti.
Il punto è che la persona è sempre più sopraffatta da un pensiero che si allontana dalla dignità dell’Uomo. Quest’ultimo è sempre messo in secondo piano, si fa un uso della scienza fine a se stessa e non in funzione ed in favore della persona. Non ce ne accorgiamo, o facciamo finta di farlo. Sacrifichiamo, su non si sa bene quale altare, principi oggettivi di vita comune, stravolgendo anche ciò che la natura ha creato.
Chi si oppone a queste tendenze, sempre più si sente come un Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento. Qualcuno si chiederà: "Chi me lo fa fare?".
L’impressione è che a livello politico, sempre più rappresentati del popolo si lasciano inghiottire dalla tendenza di non voler contrastare quelle "ideologie" che vogliono permettere la distruzione della dignità della persona. L’aborto, l’eutanasia, la manipolazione genetica, la legalizzazione di droghe, leggere e pesati, la loro distribuzione da parte dello Stato.
A combattere queste tendenze sono pochi i politici che mettono la faccia, basti guardare il dibattito alla TSI sull’Iniziativa per una riproduzione rispettosa della dignità umana, dove solo un politico, contrario peraltro, si è affacciato, mentre a sostegno non c’era nessuno. Non penso che la colpa sia dell’organo televisivo statale.
"Eppure il vento soffia ancora", cantava Pierangelo Bertoli prospettando speranza nel futuro.
Noi sappiamo che i mulini si fermano quando il vento cessa, ci rendiamo conto che i venti stanno diventando bufere, ma siamo anche coscienti di avere solide basi che ci sostengono nelle nostre affermazioni.
Continueremo a proporre le nostre impressioni, le nostre avversioni alla cultura della morte, le nostre convinzioni a favore della dignità della persona, senza peraltro sentirci dei don Chisciotte.