Omaggio alla storia
Mons. Giuseppe Bonanomi
dalle valli ad Internet, con la stessa invariata speranza




Molti sono gli uomini e le don-ne che anche nell’anno pas-sato ci hanno lasciati, ma uno di essi ci ha colpito particolarmente: Mons. Giuseppe Bonanomi.
Chiunque partecipi o abbia partecipato alla vita ecclesiale negli ultimi cinquant’anni, non può pensare alla Chiesa ticinese, senza far riferimento a quest’uomo, instancabile, tessitore paziente della trama che sostiene concretamente la presenza della Diocesi nella vita civile.
Uomo dalle mille risorse è stato capace di rinnovarsi seguendo l’evoluzione tecnologica, senza tuttavia farsene incantare.
Grande conoscitore dell’animo umano, sapeva coniugare spirito pratico e partecipazione affettuosa, realismo e speranza, responsabilità e umiltà.
Ha gradualmente assommato nella sua persona incarichi di grande importanza, senza tuttavia perdere il carattere gioviale di un parroco di valle.
A lui vorremmo rendere omaggio, forse anche solo perché con il suo schietto umorismo, ci ha giocati tutti, precedendoci di un balzo e traversando per primno la porta santa, quella vera, che da questa vita ci introduce nel Regno del Padre.
Per rendergli giustizia, riconoscendolo fra i viventi, non vorremmo ripercorrere le sue tappe al servizio della Diocesi, che pure sarebbero motivo di edificazione, ma vorremmo ricordarlo con lo sguardo che ha rivolto al futuro della Diocesi, in quella sintesi di saggia speranza che ha costituito nel cintuantesimo anniversario del suo sacerdozio una sorta di testamento spirituale e che, da sola, basta a profilarne la caratura umana e pastorale.


Dalla 32a puntata di Caritas Insieme TV del 29 luglio 1995:

“Io sono ottimista nel senso che cambiano le strutture, le situazioni esteriori, ma la questione della sostanza non cambia, perché le stesse difficoltà le avevamo anche noi 50 anni fa, quando siamo diventati parroci.
Mi ricordo a Comologno, per esempio, la chiesa piena di donne, la navata piena di donne, le cappelle laterali e il presbiterio pieno di ragazzi e la tribuna, che c’era sopra, piena di uomini. Il mio antecessore tante volte per Natale aveva paura che la tribuna cadesse addirittura.
Io sono poi tornato, parecchi anni dopo essere andato via da Comologno e trovarmi su con la chiesa quasi vuota, è stato per me un grosso choc.
Però devo dire che le difficoltà riguardo la partecipazione sono le stesse, perché poteva esserci un’affluenza massiccia, però c’erano sempre quelli che non venivano, che restavano fuori: anche a loro bisognava cercare di arrivare.
Adesso può essere cambiata la proporzione, però l’impegno nostro è sempre quello di annunciare, di portare un messaggio, nella speranza che sia accolto.
Noi portiamo questo messaggio con la fragilità della nostra persona, con la debolezza della nostra umanità. Se viene recepito, dobbiamo essere contenti, se non viene recepito non dobbiamo perderci di coraggio, perché il Signore stesso sulla croce è rimasto da solo.
Anche i suoi undici apostoli, in quell’occasione, sono scappati.
Quindi anche noi non dobbiamo scoraggiarci di fronte alle situazioni attuali, ricordando sempre che il messaggio evangelico è un’offerta che il Signore fa a ciascuno di noi personalmente, è un invito. Questo dunque resta il nostro compito: invitare!”