02 - 03 settembre 2006
Emissione N° 611


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"IL VANGELO IN CASA"
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Il Vangelo in casa

Prosegue l'appuntamento estivo con la rubrica il Vangelo in casa con l'esegeta Don Giorgio Paximadi e Dante Balbo sulla barca virtuale davanti a Cafarnao.

L’apostolo Giacomo è l’autore della lettera che cominciamo a leggere questa domenica, 22sima del Tempo Ordinario, famosa per la sua contrapposizione supposta alla teologia di S.Paolo, tanto che alcune chiese protestanti la giudicarono non completamente ispirata.
Mentre infatti S.Paolo, apostolo dei pagani, insisteva sulla supremazia della fede sulle opere della legge, S.Giacomo capo della chiesa di Gerusalemme, sottolinea che la fede senza le opere è morta.
In realtà questo contrasto è molto più apparente che sostanziale, sia perché Paolo non sosteneva affatto che la fede non dovesse necessariamente tradursi nell’esperienza concreta della comunità, basti la lettera ai Romani con frasi come ”Vi esorto a offrire i vostri corpi come sacrificio logico a Dio”(Rm 12, 1ss) a fugare ogni dubbio, sia perché Giacomo non ha inventato il Cristianesimo anonimo, quello cioè che è fatto di opere buone anche se inconsapevoli della propria radice cristiana.
Il capitolo da cui è tratto il passaggio per questa liturgia domenicale, infatti, lega strettamente l’ascolto della parola di Dio con la pratica della giustizia e della misericordia, in contrapposizione ad una religiosità che potremmo definire auto-appagante, quanto falsa.
La traduzione in opere della fede è, infatti, nella grande scia dei profeti dell’Antico testamento che continuamente esortavano il popolo eletto e i suoi capi a compiere atti di giustizia e misericordia, tradotti nel simbolo delle vedove e degli orfani, che, con un linguaggio più moderno, potremmo definire gli emarginati, gli ultimi, tutti coloro che non hanno diritti.
Per S.Giacomo è semplicemente non cristiano credere di poter regolare i propri rapporti con Dio a suon di preghiere e di atti di devozione, ascoltando la Parola di Dio senza che questa ci trafigga come una spada e ci ponga di fronte alle nostre responsabilità umane. Il problema allora non è affatto la pratica contrapposta alla fede, ma la denuncia di una fede che si illude di soddisfarsi senza incarnarsi nella storia. La carità non è la commozione per il povero, ma la progressiva acquisizione di un pensiero per cui l’offesa alla dignità degli ultimi è insulto alla dignità di Gesù Cristo, di conseguenza alla propria.
La fede è conquista di libertà, la libertà perfetta, la definisce l’apostolo, resa tale proprio dal progressivo svelamento di ogni idolatria, di ogni illusione religiosa. Questo svelamento non toglie il primato al rapporto con Gesù Cristo, fonte e culmine dell’esperienza di fede, anzi, è S.Giacomo in un altro capitolo, ad esempio, che parla dell’unzione dei malati e della preghiera per la loro guarigione, convinto che nella fede della Chiesa vi sia anche il potere di guarire dalle malattie del corpo, se Dio lo vorrà, perché possiamo continuare a servirlo nella carità e nella giustizia.