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La Donna reale

Di Antonio Tombolini



In occasione del dibattito "Donna, ritorno all’avvenire" si è parlato della condizione femminile secondo prospettive e problematiche diverse. All’interno di questa manifestazione mi era stato chiesto di trattare della situazione della donna nel Medioevo, a partire da alcune figure particolarmente significative. Vorrei tornare qui, brevemente, sull’argomento, per fornire alcune sottolineature che mi sembrano interessanti e utili alla comprensione delle linee essenziali della questione, peraltro già messe in luce dai luminosi interventi della prof. Ludmila Grygiel all’interno del suddetto dibattito.
Lo sguardo della donna (e dell’uomo) nel Medioevo viene educato a guardare verso Dio, è "orientato" - esattamente all’opposto di ciò che avviene oggi, dove prevale nettamente uno stato di profondo disorientamento. Questa educazione non fa distinzione di sesso, secondo l’ammonimento di Paolo (Gal 3,28): "... non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù", ed è adeguata a ogni persona umana, di qualsiasi condizione ("non c’è più né schiavo né libero"). La prof. Grygiel, nel suo già citato discorso, ha voluto mettere in risalto proprio questa caratteristica, che riguarda la dignità e l’unicità della persona, di ogni essere umano.
Ma nel Medioevo quali esempi "al femminile" si possono trovare di tale dignità? Sarebbe ovviamente impossibile elencarli tutti, e per questo vorrei fare riferimento alle ricerche di due grandi e appassionati conoscitori di quella stagione dell’umanità che comunemente viene chiamata Medioevo e molto spesso ancora oggi è guardata con un certo sospetto o prevenzione. Si tratta di Jean Leclercq, monaco benedettino belga, e di Régine Pernoud, medievalista francese, entrambi recentemente scomparsi. Dato che ho avuto il piacere e l’onore di tradurre in italiano parecchie loro opere, saranno queste le fonti a cui andrò ad attingere.
Innanzitutto va detto che Jean Leclercq ha spogliato nella sua lunga vita un’infinità di documenti, e la novità del suo metodo è consistita nella valorizzazione di tutte le fonti che riguardano il tema che qui ci interessa: le fonti monastiche, prima non considerate o superficialmente travisate, e quelle ancora meno specializzate, ma dove si può cogliere quale fosse la concezione della donna nella gente e nell’esperienza comune. Proprio in uno dei suoi ultimi lavori, intitolato "La figura della donna nel Medioevo", Leclercq ha messo a frutto la sua lunga e accurata ricerca - presentando varie tematiche e appassionanti ritratti, che vanno da santa Radegonda e santa Francesca Romana alle donne più comuni - per arrivare a sostenere che "tra la monaca e l’adultera vi è stata la donna sposata, e tra la donna cantata e la donna disprezzata vi è stata la donna reale, che fu, normalmente, la sposa amata da un marito che essa amò". A tale conclusione si può arrivare dopo un’accurata indagine storiografica: è un historical affermare che il Medioevo ha ignorato il desiderio, la tenerezza, il piacere nel matrimonio e ha riservato l’amore alla sua forma cortese e alle relazioni extraconiugali. A provare tale "instoricità" sta tutta la varietà della documentazione lasciata dal Medioevo e presa in esame precisamente nei saggi di Leclercq, dove a venire incontro sono anzitutto le donne comuni normalmente sposate e legate da un’affectio maritalis fedele, che non fa parlare di sé proprio per la sua naturalezza e normalità.
Certo vi sono anche donne fuori del comune, e questo delle monografie "femminili" è uno dei campi preferiti da un’altra grande studiosa della civiltà medievale, Régine Pernoud. I ritratti da lei mirabilmente dipinti riguardano celebri figure storiche: Giovanna d’Arco, in primo luogo, e poi Ildegarda di Bingen, Eloisa, Eleonora d’Aquitania, Cristina da Pizzano e altre ancora, raccolte altresì in forma sintetica in uno dei suoi ultimi volumi, illustrato e tradotto in italiano con il titolo "../../../../ della donna nel Medioevo". Con le sue numerose opere la Pernoud, per diversi decenni, ha avuto il dono di illuminare e di rendere attraente il panorama di quest’epoca, e lo ha fatto grazie a una rara conoscenza delle fonti e a un dettato nitido e fine, contro i luoghi comuni che avevano ingabbiato il Medioevo in una indistinta e oscura "età di mezzo", oppressa e opprimente.
Contro il pregiudizio e l’arroganza si era già trovata a lottare anche Giovanna d’Arco, di fronte ai suoi giudici dotti e iniqui; vi aveva risposto con la sua fede profonda, fatta di semplicità e di obbedienza: Giovanna non era una monaca o una religiosa, ma una normale "pulzella" a cui i genitori avevano insegnato il Pater noster, l’Ave Maria e il Credo. Il problema dunque non è di avere un’intelligenza o una cultura particolari, ma di amare la verità più di se stessi, cioè una questione di moralità. "Beati i poveri in spirito": il povero è chi non ha nulla da difendere, chi non afferma il suo possesso, e la povertà suprema sta nel desiderio della verità, che per Giovanna è Cristo, al di là dell’attaccamento all’immagine che ci si è fatta delle cose. È dunque una lotta contro il preconcetto, prima di tutto quello che si annida dentro se stessi e poi quello del mondo, proprio come accade talora nei confronti del Medioevo, di cui Giovanna e insieme con lei innumerevoli altre donne, note o ignote, sono state luminose protagoniste.