La CHIESA del futuro
Dal documento "Insieme responsabili per la nostra Diocesi" di Mons. Koch, Vescovo di Basilea

Di don Giuseppe Bentivoglio



In occasione della Pentecoste 1998 il vescovo di Basilea Mons. K. Koch ha pubblicato un Commento alla Istruzione della Curia Romana circa la collaborazione dei laici al ministero dei sacerdoti, istruzione che ha suscitato molte reazioni, spesso di segno contrario, negli ambienti più direttamente interessati.
Non intendo in questa sede analizzare l’intero documento. Voglio semplicemente richiamare l’attenzione su ciò che il Vescovo dice nelle ultime pagine, in quanto le sue osservazioni aiutano a capire la situazione nella quale ci troviamo e sono perciò un contributo ad individuare la strada da percorrere.

1. Parlando del contesto nel quale i cattolici e la Chiesa sono chiamati ad operare, Mons. Koch dice che "ci troviamo in un vuoto storico di fede", dovuto al fatto che "la tradizionale alleanza (...) fra la fede cristiana e la vita sociale" è venuta meno ed insieme con essa è venuto meno "l’immedesimarsi delle persone nella Chiesa". Consegue una crescente difficoltà a trasmettere la fede, in quanto le forme tradizionali sono scomparse o hanno perso la loro efficacia educativa. Possiamo affermare che la realtà ecclesiale è caratterizzata da un vuoto educativo, dovuto - come già detto - alla debolezza dello stesso soggetto educativo (cioè le singole realtà ecclesiali) e all’inadeguatezza dei suoi strumenti.
Queste osservazioni evidenziano che il fenomeno oggi più diffuso non è l’incoerenza morale, ma "un vuoto di fede". Molti cercano di colmare il vuoto con esperienze religiose e spirituali di vario genere, spacciandole per cristiane. In realtà si tratta di riduzioni o manipolazioni della fede cristiana fino alla sua deformazione e dissoluzione.
Ogni pastorale, che non voglia essere velleitaria, non può prescindere da questa iniziale constatazione: la fede sta venendo meno. Oggi la cosa peggiore è dare per scontata questa fede, supporre che le persone, anche quelle che si considerano credenti, sappiano che cosa voglia dire essere cristiani. "Il diventare cristiani e l’essere Chiesa - dice Mons. Koch - deve essere appreso nuovamente". Si tratta, allora, di riproporre questa fede (evangelizzazione) e di educare la persona ad essa, visto che "trasmettere la fede alla generazione futura è una questione vitale per la Chiesa". La Chiesa esiste per questo e tutto quello che fa ha quale scopertine/copo l’evangelizzazione, "affinché il mondo creda" che Cristo è stato mandato dal Padre (cfr. Gv 17,20ss). Il problema per ogni tipo di pastorale è rendere possibile l’incontro e la sequela di Cristo e conseguentemente "un rapporto personale" con lui.
D’altra parte, "senza un profondo radicamento (...) nel mistero di Gesù Cristo e senza una corrispondente spiritualità", non è possibile alcuna soggettività cristiana.

2. Il Documento in esame passa in rassegna le cause di quella crisi, che scuote l’intera compagine ecclesiale, e osserva che:

a) È ormai diffusa l’affermazione "Gesù sì - la Chiesa no". Tale affermazione nasconde "la dissoluzione della figura biblica di un Dio presente ed operante nella storia". Molti sono disposti a sottoscrivere la formula: "Religione sì - un Dio personale no". La formula rappresenta il trionfo del deismo e il ritorno ad una sensibilità religiosa che precede la Rivelazione. In clima di dilagante soggettivismo un Dio lasciato volutamente nel vago può essere manipolato da chiunque e può assumere qualunque immagine. Soprattutto non interroga la libertà dell’uomo e non esige una risposta. Possiamo vivere senza rendere conto a qualcuno delle scelte che facciamo: viene meno ogni responsabilità. Ci chiediamo: che cosa ha preparato questo ritorno al deismo? Quale terreno ha reso possibile questo svuotamento della fede? Le risposte sono molte, ma di esse una mi sembra interessante: la situazione descritta è frutto dello spiritualismo che caratterizza da molti anni la predicazione di molti e le preoccupazioni di circoli cattolici, dove manipoli di intellettuali pensano di avere il compito storico di affrancare le masse dalla fede popolare, a parere di costoro inadatta alla purezza che la fede deve avere.
La fede popolare trova nei segni, quindi in avvenimenti che mantengono un’irriducibile concretezza, le sue radici. Ed il primo di questi segni è una comunità ben individuata, alla quale le persone sentono di appartenere e che riconoscono luogo dove una Presenza misteriosa, quella di Cristo, li educa e li santifica mediante la Parola e i Sacramenti. Lo spiritualismo crede, invece, di poter educare la persona mediante continui richiami ai valori, quelli che appartengono allo spirito e nei quali Cristo viene dissolto, e mediante ripetuti inviti alla coerenza. Non ha bisogno di segni, ma di esempi, quindi scivola nel moralismo e riduce il cristianesimo ad etica e la Chiesa a maestra di morale, una vecchia signora che difende con scarso successo uno schema morale (per poi scendere a compromessi colla morale comune visti che i risultati sono scarsi e occorre comunque stare sempre al passo coi tempi).

Il mondo non sopporta che il cristiano annunci Cristo come salvezza di tutti e dica chiaramente che la conversione al Signore è necessaria per cambiare uomini e cose

Lo spiritualismo, poi, considerando irrilevante i segni, vale a dire la forma concreta che educa la persona, non ha il senso dell’appartenenza cristiana. In fondo considera la Chiesa una forma non indispensabile per l’educazione della persona. Essa appare come una possibilità accanto ad altre, per cui il cristiano adulto, quello emancipato dal nesso con gli aspetti materiali della Rivelazione (sono un rivestimento mitico), può ormai far da sé, avendo assimilato gli insegnamenti del Vangelo e i suoi valori. Tale impostazione - è facile capirlo - crea, tra l’altro, le premesse per considerare valida ogni religione, quelle storiche o quelle che ognuno costruisce a suo piacimento.

b) Dice Mons. Koch: "La crisi di Dio si concretizza e si cristallizza in una crisi della stessa fede in Cristo", crisi "che può essere espressa in questo modo: "Gesù sì - Cristo no" oppure "Gesù sì - il Figlio di Dio no". In questa formula si esprime la mentalità diffusa fra la gente oggi, che accetta la dimensione umana in Gesù di Nazaret, mentre fatica ad accettare la professione di fede in Gesù, figlio unico di Dio, che è presente fra noi come il risorto".
Sintomo di questa crisi è la diminuzione, che è ormai diventata massiccia, della partecipazione ai Sacramenti, compresa l’Eucarestia. Se Gesù Cristo non è Figlio di Dio, Dio egli stesso, non può cambiare il cuore di coloro che egli unisce a sé mediante i Sacramenti. Gli stessi Sacramenti non hanno alcun valore salvifico, quindi non possono rinnovare chi li riceve.
Se Gesù non è Dio, non resta che considerarlo un uomo superiore agli altri uomini, non dissimile però da chi nella storia ha agito per il bene degli altri (v. Gandi, Luther King, ecc.). Per l’eccezionalità del suo insegnamento egli deve essere considerato un esempio per chiunque. Tutti possono riconoscere la sua grandezza e ogni uomo può, se vuole, imitarlo, adattando alle circostanze, nelle quali vive, i valori, che Gesù ha testimoniato. Quali valori soprattutto? Quelli che il potere culturale (e non solo culturale) dominante considera tali. In questi anni i valori, attorno ai quali riguardano la convivenza civile: la solidarietà, la pace, la giustizia sociale, ... Il cristiano, allora, non è colui che appartiene realmente a Cristo e a Cristo consegna se stesso, affinché sia fatta la sua volontà (v. Lc 1,38), ma colui che imita Gesù, cerca di fare qualcosa per gli altri e, se le circostanze lo permettono, si spende per rendere migliore questa società. Il mondo affida ai cristiani il compito di dare a questa società un’anima, rendendola meno arida, ma non sopporta che il cristiano annunci Cristo come salvezza di tutti e dica chiaramente che la conversione al Signore è necessaria per cambiare uomini e cose.

3. Il Documento termina indicando alcuni aspetti che debbono caratterizzare "la Chiesa del futuro":

a) Dice Mons. Koch: "Anche nella nostra Diocesi la Chiesa deve diventare più mistica. Il Concilio Vaticano II ha posto in modo risoluto l’accento sul mistero della Chiesa e ha stimolato un ritorno al suo mistero. Concretamente ciò implica che al centro della Chiesa non si trova la Chiesa e le sue strutture, ma Dio e il suo mistero. Poiché un futuro lo avrà certamente quella Chiesa nella quale può dimorare il mistero di Dio (...) Una cosa è certa: una Chiesa al cui centro non vive più Dio e il suo mistero, non può più essere percepita dagli uomini di oggi in modo diverso se non come un’associazione segreta. Il futuro della Chiesa dipenderà tutto dalla preoccupazione (...) che la Chiesa non annunci solo la Parola di Dio, ma sia essa stessa un luogo di vita di Dio".
Mi sembra molto importante l’osservazione secondo cui la Chiesa deve innanzi tutto essere la presenza del Signore ("un luogo di vita di Dio"), il prolungamento nella storia dell’incarnazione, la realtà che Cristo ha voluto, affinché gli uomini lo incontrino e facciano la sua esperienza. La Chiesa non deve solo annunciare la Parola di Dio, ma essere il quotidiano accadere di questa Parola, nel senso che essa è Corpo di Cristo, organismo vivente che custodisce la Parola diventata carne.
Mons. Koch ci ricorda che occorre abbandonare ogni concezione sociologica della Chiesa e respingere ogni tentativo che ideologicamente voglia ridurla ad organismo con finalità unicamente sociali e assistenziali, dimenticando la sua vera natura.

b) Leggiamo nel cap. IV: "Solo una Chiesa mistero diventerà più fraterna. Un breve sguardo alla Bibbia può mostrare che anche la fratellanza e tutta l’umanità risultano una realtà ambivalente e che ha bisogno di essere redenta. Nella Chiesa può vivere e prosperare di conseguenza un’unica fratellanza redenta che però non è possibile senza la dimensione mistica. Il Concilio ha sottolineato nuovamente che la Chiesa potrà essere una comunità viva solamente se viene realmente intesa come immagine riflessa della Trinità, come immagina riflessa del Dio trino".
Viene opportunamente ricordato il fatto che la fraternità, quando è cristiana, nasce dalla comune appartenenza a Cristo. Il suo dinamismo è quello trinitario e non quello che troviamo nella società civile. Ciò che unisce i credenti è il Signore: siamo una cosa sola perché abbiamo la stessa fede e facciamo esperienza della carità che viene da Dio. Come dice S. Paolo: "Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28). La fraternità ha quale sua legge la communio e non certo la democrazia e trova in Cristo i suoi statuti.

c) Sempre nel cap. IV sta scritto: "Una Chiesa "mistero", e perciò fraterna, sarà anche una Chiesa diaconale. A ragione il Concilio Vaticano II ha nuovamente messo in evidenza che la Chiesa, secondo la sua natura, è missionaria e che, di conseguenza, dipende dalla sua missio nel mondo. Questo giudizio indispensabile per il futuro della Chiesa implica che deve essere una Chiesa diaconale intesa nella successione della diaconia di Dio stesso nella vita degli uomini".
È molto importante l’osservazione secondo cui "la Chiesa è per sua natura missionaria" e che il suo servizio al mondo (la diaconia) consiste nella missione che Cristo le ha inequivocabilmente affidato: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20). Il compito della Chiesa e dei cristiani è questo: testimoniare il Vangelo affinché il mondo creda. Tutto quello che la Chiesa fa e che i cristiani fanno deve avere questa lucida intenzione. In caso contrario è una perdita di tempo, del quale renderemo conto a Dio. È importante ricordare queste cose a noi stessi e agli altri, in quanto trova crescente consenso la vergognosa idea che un cristiano non deve desiderare la conversione degli altri, non deve proporre la sua esperienza. Se lo fa, lede la libertà degli altri. Sarebbe a dire: bisogna evitare ogni esplicita identità, ogni chiaro riferimento al Signore in quello che il cristiano fa, perché questo turba (sic!) la coscienza dell’altro. Simili fandonie, purtroppo, trovano non pochi ascoltatori, soprattutto in coloro che pensano che il cristiano debba essere un assistente sociale e la Chiesa un organismo mondano avente due specializzazioni: coltivare lo spirito e occuparsi anonimamente dei poveri.

Chiara è la conclusione del Documento: "La Chiesa del futuro sarà a mio avviso in primo luogo una Chiesa mistica radicata profondamente in Dio e nel suo mistero; in secondo luogo, una Chiesa fraterna nella quale tutti i membri vivono la loro responsabilità nella comunione ecclesiale, e in terzo luogo una Chiesa diaconale che nella sua missione liberatrice si preoccupa della vita degli uomini e di tutta la creazione. Queste tre dimensioni formano la triade della vita ecclesiale che può diventare armoniosa solo con la chiave della fede nello Spirito Santo".