ETICA 
  DEL LAVORO ED ECONOMIA DELL'IMPREVISTO 
  
  Da Caritas Insieme TV del 14 marzo 1998
  
  A cura di Dante Balbo
  
  
  
  Nel 
  languire senza futuro delle speculazioni finanziarie di breve respiro, la Dottrina 
  Sociale della Chiesa ha nel concetto di Lavoro un rivoluzionario modo per realizzare 
  una economia a misura d'uomo.
  
  L'associazione Imprenditori Cristiani ha ospitato, nell'ambito di un corso 
  di etica, il professor Marco Martini, ordinario di statistica economica all'Università 
  degli Studi di Milano, consigliere dell'Instat, per introdurre l'argomento con 
  alcune considerazioni sulla Dottrina Sociale della Chiesa. In questo articolo 
  proponiamo alcuni stralci dalla sua relazione, da cui emerge la freschezza e 
  novità del messaggio del magistero su argomenti come lavoro, economia, 
  sviluppo e relazioni umane.
  Lo sguardo della Chiesa, ricco di un patrimonio millenario, ma, proprio per 
  questo, capace di giudicare il presente senza le ristrettezze miopi di una generazione 
  chiusa nel suo tempo, abbraccia e rinnova soprattutto il concetto di lavoro, 
  proponendolo come "motivo per l'azione dell'uomo". Pur denunciando 
  i limiti dei sistemi politico-economici che si sono divisi la storia economica 
  moderna e contemporanea, il pensiero sociale della Chiesa non si pone come terza 
  via fra capitalismo e comunismo, ma come proposta di fondamento antropologico 
  per un modo diverso di concepire sia il lavoro, sia i rapporti fra le componenti 
  sociali, stato, mercato, società civile.
  
  Oggi c'è una grande insicurezza, diffusa a tutti i livelli, sul lavoro; 
  le persone sono insicure del loro posto di lavoro, della formazione che potrebbe 
  condurle ad occupare un posto di lavoro, della previdenza che consegue all'occupazione 
  di un posto di lavoro.
  Dall'altra parte c'è un'insicurezza ancora più profonda che è 
  relativa allo sviluppo.
  Possiamo ancora aspettarci uno sviluppo che consenta a tutti di lavorare?
  La concezione che a mio avviso emerge come la più diffusa, la più 
  condivisa anche in ambito economico e politico è che nei paesi dell'occidente 
  ci dobbiamo aspettare uno sviluppo senza occupazione, cioè affidato al 
  processo tecnologico, ma che porterà necessariamente ad una riduzione 
  dei lavoratori, perché la produttività cresce, o perché 
  vi sono paesi che presentano salari più bassi e sono alternativi. Quindi 
  dobbiamo rassegnarci ad uno sviluppo senza occupazione.
  A mio parere, la dottrina sociale della Chiesa rappresenta un contributo originale 
  e unico che, come dice il papa nella Centesimus Annus al numero 57, non è 
  una teoria ma un fondamento per l'azione.
  E l'azione c'è quando noi possiamo scegliere fra più possibilità. 
  È bella questa parola AZIONE, perché si contrappone alla parola 
  comportamento.
  Le scienze economiche e sociali si sono affannate a studiare le relazioni e 
  le attività degli uomini in campo economico e sociale come dei comportamenti, 
  cioè come qualche cosa che, analogamente a quanto fa l'etologo per gli 
  animali, può essere studiato in termini di azione e reazione o in termini 
  di razionalità, trasferibili su calcolatore. Se un calcolatore fosse 
  così elaborato da poter contenere le variabili sulle quali l'uomo agisce 
  nel senso di scegliere fra alternative, il calcolatore farebbe le scelte migliori 
  e forse più rapidamente dell'uomo.
  Questa presentazione dell'economia in termini di comportamento, anziché 
  in termini di azione, è un punto, secondo me, molto decisivo per capire 
  il clima di insicurezza in cui ci troviamo, che deriva dal fatto che ci sentiamo 
  come impossibilitati ad agire. La persona è proprio quel soggetto che 
  si manifesta nel momento in cui può dire una parola oppure un'altra e 
  fare un gesto oppure un altro. Se la persona non ha queste possibilità 
  o perlomeno se le possibilità di una persona sono quelle di aderire al 
  meccanismo e in qualche modo inseguirlo, oppure condannarsi all'emarginazione, 
  effettivamente le prospettive non sono le più rosee.
  lo ho la netta sensazione che sia nel pensiero economico sociologico o delle 
  riflessioni filosofiche sia nel dibattito dei mass media, questa è la 
  posizione sottostante e se non si spacca questa posizione, di etica è 
  inutile parlarne, perché il problema etico si pone quando c'è 
  un'azione. La scelta fra il bene e il male si può fare se c'è 
  una possibilità di scegliere. Se invece siamo nella situazione in cui 
  siamo costretti ad aderire ad un flusso inesorabile, il problema etico non si 
  pone più.
  La dottrina sociale della Chiesa è nata nel 1891, per rispondere proprio 
  a questa impostazione.
  
  
  LAVORARE È DOMINARE
  
  Lavorare quindi non è la manifestazione della forza dell'uomo, la 
  forza che supera l'ostacolo della natura, perché la natura, si lascia 
  manipolare, si lascia prendere, ma è piuttosto il portare la natura nella 
  domus, addomesticare (ad domus ducere), dominare. Il dominio è questo: 
  porto l'animale che ho trovato, nella mia casa, perché potrà servirmi.
  Porto i semi che ho trovato nella sfera della mia domus, dentro alla quale le 
  cose assumono tutto un altro significato, cioè diventano possibilità 
  di dare una risposta al bisogno, al quale, fino ad ora, avevo risposto in un 
  altro modo.
  Questo è il lavoro dell'uomo. Oggi, modernamente, si potrebbe dire, il 
  lavoro è dare forma al dato.
  Dare cioè, ad un dato che non l'aveva, un significato nuovo. Questo è 
  il lavoro dell'uomo: trovare risposte nuove a problemi nuovi, trovare forme 
  nuove al dato antico.
  In questo lavoro l'uomo è assolutamente insostituibile, né dall'animale, 
  né dalla macchina, perché non c'è macchina che sappia fare 
  questa operazione. La macchina sa fare, rapidamente, tutte le operazioni prevedibili, 
  ma il lavoro dell'uomo è il lavoro con l'im previsto, con ciò 
  che non si può prevedere, cioè con il nuovo.
  Questa è la dimensione che il papa chiama "la dimensione oggettiva 
  del lavoro". Il silicio che non era niente, adesso ci serve per fare i 
  microcips; chi l'avrebbe immaginato!
  
  
  DOMINIO E RELAZIONE
  
  Lavorare non è semplicemente un fare, cioè prendere una cosa 
  e trasformarla, ma fare qualche cosa per qualcuno. Il lavoro è tale, 
  se c'è qualcuno per cui lo faccio, qualcuno che apprezza ciò che 
  io faccio; qualcuno del cui bisogno io mi assumo la responsabilità, perché 
  è come se il suo bisogno fosse mio.
  Senza questa capacità di assumersi il bisogno dell'altro come proprio, 
  non c'è nemmeno l'immaginazione prospettica.
  Lavorare non è soltanto un fare per, ma anche un fare con qualcuno.
  Questa dimensione del lavorare per e con altri, introduce una novità 
  radicale nel lavoro: il bisogno dell'altro, e di me nel futuro, chi lo sa definire?
  
  
  IMPREVISTO ED INFINITO
  
  Ogni nostro tentativo di rispondere ad un bisogno è un'approssimazione 
  limitata, che lascia uno spazio tutto da riempire. Il bisogno dell'altro per 
  cui lavori è allora un riverbero di quella totalità che il limite 
  della tua umanità non potrà mai contenere.
  L'altro è per definizione nuovo, è sempre nuovo, perché 
  imprevedibile. L'altro è sempre qualche cosa di più di quello 
  che tu pensi.
  
  Ma se questo è vero, solo una concezione come quella corrente, che ritiene 
  che i bisogni degli uomini possano essere definiti e scritti sulle schede, come 
  quelli dei castori e delle api, può supporre che a un certo punto le 
  macchine faranno tutto e noi non lavoreremo più.
  Per fortuna il bisogno dell'uomo non è né definibile, né 
  finito.
  La dottrina sociale della Chiesa lo sa bene: il bisogno dell'uomo è un 
  bisogno di infinito, ma non nel senso che oltre al pane ha bisogno dell'infinito, 
  ma nel bisogno del pane, c'è l'infinito.
  
  
  IL LAVORO NON PUÒ FINIRE
  
  Se è così, questo processo di cercare nuove risposte a nuovi 
  bisogni è senza fine, a meno che riduciamo l'uomo ad un elenco di bisogni 
  che abbiamo detto noi.
  Allora, per tornare ai problemi di oggi, l'idea che la produttività crescente 
  derivata dall'applicazione dell'automazione e dell'informatica ai processi produttivi, 
  renderà inutile il lavoro, si basa su di un'ipotesi falsa, cioè 
  che i bisogni dell'uomo siano definiti. E un'altra ipotesi falsa è che 
  i bisogni a cui dobbiamo rispondere siano solo i nostri. Ci sono tre miliardi 
  di persone che fanno fatica a vivere. Come si può immaginare la fine 
  del lavoro in una situazione di questo genere?
  
  
  IL LAVORO È ETICO
  
  La dottrina sociale della Chiesa sottolinea questi due aspetti; quello oggettivo, 
  cioè la trasformazione delle cose in risorse, la messa in relazione delle 
  cose con il bisogno dell'uomo, e quello soggettivo, la domus, cioè il 
  rapporto per altri e con altri, senza dei quali non c'è lavoro umano.
  Queste dimensioni sono tipicamente dimensioni etiche e valgono per il lavoro 
  individuale, ma anche per l'impresa. Non c'è un'impresa se non ci sono 
  sotto queste dimensioni, c'è una macchina che gira, come non c'è 
  un mercato se non ci sono questi atteggiamenti.
  Questo modo di presentare il lavoro nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, 
  è completamente antitetico al modo normale di sentire parlare di lavoro.
  La dimensione etica, cioè la dimensione della azione libera, è 
  all'origine, sta sotto il lavorare, quindi l'intraprendere, quindi nelle relazioni 
  economiche, perché le relazioni economiche si stabiliscono come interscambio 
  fra gente che lavora.
  L'etica non viene dopo, ma prima. Non riguarda solo la distribuzione di ciò 
  che abbiamo fatto, ma il modo in cui produciamo, la possibilità stessa 
  di produrre qualche cosa.
  Il richiamo della dottrina sociale della Chiesa è molto di più 
  che una spruzzatina di incenso su un meccanismo che funziona da solo. È 
  piuttosto la messa in guardia sul fatto che quel meccanismo si inceppa immediatamente 
  se vengono meno queste dimensioni (etiche).
  La dottrina sociale della Chiesa dice di più: ci vuole un uomo capace 
  di assumersi costantemente la responsabilità dei bisogni del mondo.
  Ci vuole un uomo capace di assumersi costantemente il senso di giustizia nei 
  rapporti, sapendo che non esiste un meccanismo che la garantisce e che non c'è 
  un sistema che la garantisca.
  Per cui, in ogni situazione, c'è sempre qualche cosa da fare, c'è 
  sempre una scelta, un'azione da intraprendere.