L'OSPITE È ARRIVATO
   Prendere inm affido un bambino? Un giornalista 
  di "Avvenire" racconta come è andata. "Eravamo già 
  in cinque ma abbiamo deciso che ne valeva la pena" 
  
  Di Massimo Bernardini 
  
  
  
  L'ospite è arrivato. Lo aspettavamo da un anno. Perché "rendersi 
  disponibili all'affido familiare", come lo definiscono gli assistenti sociali, 
  per noi ha voluto dire una lunga, inspiegabile, attesa. Noi, mia moglie e i 
  miei tre figli, quasi non ci speravamo più. Invece l'ospite è 
  arrivato, da pochi giorni ha un letto, un pezzo di armadio, un posto a tavola 
  nella nostra casa.
  Luigi - lo chiamerò così perché è troppo presto 
  per sapere se questo articolo potrà fargli piacere o meno - non l'abbiamo 
  voluto con noi per esercitare la nostra attitudine alla bontà; neanche 
  perché, evidentemente, ci mancasse qualcosa per completare la nostra 
  "bella famiglia". Luigi l'abbiamo preso in casa nostra perché 
  abbiamo bisogno di lui. 
  
  È 
  una storia da raccontare, e che comincia con una sigla che suona così: 
  "Famiglie per l'accoglienza". Immaginate un grande salone, tante famiglie 
  che ne incontrano altre che raccontano di sé. Tu e tua moglie siete lì, 
  attenti, ad ascoltare la storia di altri che aprono le porte della propria casa. 
  Storie normali ma anche storie eroiche, come quelle di bambini ammalati in fin 
  di vita che nessuno voleva con sé. Noi non siamo degli eroi, siamo gente 
  normale, che fa una vita normale. Però ci è accaduto qualcosa. 
  Qualcosa che ci ha fatto sposare, che ci ha fatto mettere su casa, lavorare 
  e avere figli. lo e mia moglie, tutto questo lo chiamiamo "un compito". 
  Sposarsi, lavorare, avere figli è un compito. E avere un compito nella 
  vita è l'inizio della felicità.
"Da qualche giorno Luigi è entrato nella nostra casa e abbiamo scopertine/coperto che siamo noi ad avere bisogno di lui"
Ma 
  non perché ti riempie le giornate, ti salva dall'ignavia, dalla disperazione 
  o dalla nevrosi. Queste semmai sono conseguenze. Il paragone che più 
  mi piace - e anche mia moglie sarebbe d'accordo - è quello del cavaliere 
  medievale. La sua vita aveva senso, e sapore, se mettendosi al servizio di un 
  re, di una donzella, di un debole, o del suo intero popolo, poteva spenderla 
  per un ideale. Era insomma compito e avventura, generosità e fatica. 
  Ma ne valeva la pena.
  
  lo affronto Luigi come un cavaliere. E come ogni cavaliere che si rispetti, 
  al momento giusto ho anche paura. Perché Luigi ha 12 anni, un anno meno 
  del mio maggiore, uno di più del secondo e quasi il doppio dell'ultima. 
  Non è un lattante da plasmare o da accogliere biberon alla mano, è 
  un ragazzo che da quasi tre anni vive in una casa-famiglia e che un giudice 
  ha deciso dovesse avere una famiglia secondo l'antico, e oggi tanto discusso, 
  modello. I genitori di Luigi hanno delle difficoltà. Lui gli vuole un 
  bene dell'anima e aspetta che almeno uno dei due ce la faccia e lo riprenda 
  con sé. Noi stiamo in mezzo e cercheremo, per come ne siamo capaci, di 
  dargli una mano a crescere nell'attesa che questo avvenga. Prima o poi.
  
  Ripeto, e so che può sembrare paradossale: lo facciamo perché 
  serve a noi. Abbiamo già qualche prova. Abbiamo ospitato in casa nostra, 
  per periodi più o meno lunghi, degli "estranei". È stata 
  per noi cinque un'esperienza preziosa, ci ha cambiato un po' la vita, ce l'ha 
  resa un po' più sciolta ed essenziale. Anche una zia è venuta 
  a morire in casa nostra: è stata una bella storia che ha segnato la nostra 
  famiglia.
  
  I nostri figli, soprattutto, ci hanno insegnato cos'è l'apertura, la 
  disponibilità. Di tutti gli ospiti passati per la nostra casa sono rimasti 
  gli amici più fedeli, più affettuosi. Noi due adulti abbiamo fatto 
  qualche fatica in più, e sappiamo che anche stavolta la prima reazione 
  verso Luigi, che ha già una storia e un suo stile di vita, sarà 
  inizialmente di imbarazzo e disappunto, magari abilmente celati dietro un sorriso. 
  I figli no, loro non nascondono l'ostilità per chi "invade" 
  il loro territorio ma appena si aprono diventano capaci di slanci incredibili. 
  In questo siamo noi ad imparare da loro. Ma l'importante è che in questa 
  avventura, di cui come sempre nella vita non sappiamo l'esito, non ci sentiamo 
  soli. Abbiamo amici a cui chiedere aiuto se e quando avremo bisogno; ma soprattutto 
  che ci ricordano per cosa vale la pena spendere la propria vita. Il resto è 
  nelle nostre mani. E questa, forse, è la migliore garanzia. Per noi, 
  e per Luigi.
  
  
  
  
  Noi di Avvenire
  
  "Noi genitori e figli", è il nuovo mensile offerto dal quotidiano 
  "Avvenire". Si tratta di una rivista a colori di una cinquantina di 
  pagine nata per dibattere alcuni temi che toccano da vicino la famiglia: dall'educazione 
  dei figli ai problemi scolastici, dalle dinamiche del matrimonio alla vita spirituale, 
  dalla bioetica alla terza età, da esperienze di accoglienza a testimonianze 
  di famiglie, dal volontariato alla sessualità. Parla e risponde dando 
  voce alle famiglie e raccogliendo le opinioni di esperti. L'inserto si presenta 
  bene: pagine a colori, veste grafica interessante, linguaggio semplice ed è 
  in edicola con "Avvenire" l'ultima domenica di ogni mese. Dall'ultimo 
  numero abbiamo tratto l'articolo qui presentato.