Politiche sociali: cambiare, ma come?
Enveloppe budgetaire e standard qualitativi:
due idee per un non profit efficace

Di Mimi Lepori Bonetti


Il cambiamento non deve essere pensato solo in termini economici. Ci sono altri livelli di questo stesso cambiamento che devono essere presi in seria considerazione. Ed è su questi aspetti che il privato sociale, il settore non profit deve giocare un ruolo decisivo. Il primo livello è quello della professionalità, il secondo quello della qualità d'intervento.
Abbozzo alcuni spunti di riflessione partendo dalla mia esperienza di lavoro più che da testi letterari.
Il privato sociale, il terzo settore, il settore non profit salvo qualche rara eccezione (ad esempio Caritas Ticino), è sussidiato quasi totalmente dallo Stato. Un ridimensionamento della spesa pubblica, per forza di cose vuol dire un ridimensionamento dei diversi sussidi elargiti a istituzioni, enti, servizi, associazioni, che oggi operano nella grande scacchiera sociale del Cantone. Perché farsi dire da altri in quali settori ridimensionare il proprio intervento? La nostra professionalità, proprio grazie all'esperienza acquisita in tutti questi anni di lavoro, deve spingersi sino ad indicarci in che modo nelle singole istituzioni, nei diversi enti, nelle associazioni nate grazie a persone attente ai bisogni, possiamo diminuire la spesa sociale garantendo la stessa qualità d'intervento. Già qualche anno fa (vedi: Diocesi di Lugano: dalla storia uno sguardo al futuro. Ed. Carits Ticino,1992) avevo lanciato l'idea di ripensare le nostre leggi di sussidiamento secondo il modello dell'enveloppe budgétaire (vedi anche l'iniziativa di Fulvio Pezzati dell'11 novembre 1996).
Il tutto è abbastanza semplice: a quell'ente, a quella istituzione, a quel servizio, a quella associazione che mi assicura un qualità d'intervento sussidio le prestazioni fornite in base a una percentuale, (non più la totalità) calcolata in base alla media di sussidiamento degli ultimi anni. Il sussidamento stabilito viene affidato ai singoli responsabili i quali devono garantire il funzionamento del loro servizio ad alta qualità di prestazione, pena il non sussidiamento per l'anno seguente.
La professionalità diventa garanzia per gestire con creatività, con dinamismo, con imprenditorialità la risposta al bisogno di cui sono responsabile; la qualità d'intervento diventa garanzia per la continuità negli anni dell'opera che gestisco.
Due gli strumenti da introdurre: il primo legato alla capacità di gestire il sociale più come un'impresa che da "amministratore". Il secondo legato ad un idea tipo ISO (international organisation for standardization), uno standar di riferimento per definire la qualità d'intervento.
Pura fantascienza! o semplicemente una capacità di cambiamento in chi in tutti questi anni è stato attore delle politiche sociali, quindi lo Stato e i diversi soggetti presenti nella società civile.

Non vuole essere il mio una banalizzazione dei due aspetti citati, tra di loro inscindibili , ma troppi sono i segni premonitori che indicano un ridimensionamento in tutti i settori della vita, quindi anche del sociale. Questo sociale che grazie all'iniziativa privata, grazie allo Stato sociale, grazie a tutti gli attori che vi lavorano ha potuto crescere e consolidarsi, assumendo i bisogni che la stessa società produceva. L'asticella è posta. Non lasciamo che altri, forze politiche in primis che non conoscono niente o poco del sociale, ci dicano cosa fare per contribuire, come tutti gli altri settori della società, a riequilibrare le finanze dello Stato. A noi, che da anni lavoriamo e operiamo, la responsabilità di indicare la strada che vogliamo percorre per i prossimi decenni. Professionalità e qualità d'intervento sono due aspetti della stessa medaglia che si chiama futuro per il settore sociale.

 

Politiche sociali: cambiare, ma come?
Mi è CONSONO


Di Mimi Lepori Bonetti

In una società dove la mobilità professionale è diventata regina, è raro trovare qualcuno che si affezioni al posto di lavoro per venti anni. Ancora più strano è trovare qualcuno che si presta a lasciare un lavoro dove sta bene. Sono considerazioni fatte al momento stesso in cui decidevo di lasciare CARITAS. Sbarazzo subito il campo. Non lascio Caritas perché ci sono dei problemi. Caritas è un luogo a me molto "consono" perché da sempre l'ho paragonato a un cantiere sociale dove la creatività e la dinamicità sono caratteristiche presenti e molto vicine al mio modo di lavorare e di concepire il sociale. Lascio Caritas perché lì ho maturato un discorso sul sociale e oggi voglio farne una sperimentazione. Non credo sia questa la sede per fare un bilancio del lavoro svolto durante questi venti anni. Alcune brevissime considerazioni permettono da sole di cogliere le profonde mutazioni avvenute in un impresa sociale come quella di Caritas.
Ho iniziato la mia attività a Caritas nel 1976, allora c'erano un gruppetto di figure professionali, omogenee nella formazione, oggi il suo organico è quintuplicato e le professioni rappresentate sono profondamente eterogenee; lo stesso lavoro è completamente trasformato. Allora si parlava quasi unicamente di casistica individuale, oggi i progetti sociali, i programmi occupazionali, la rete di volontari, la presenza oltre i confini del Ticino, la preoccupazione di informare e formare sono all'ordine del giorno. Allora il tutto si giocava grazie a un budget di qualche centinaia di migliaia di franchi oggi il preventivo è di quasi dieci milioni di franchi. La preoccupazione che ha accompagnato Caritas è stata quella di saper leggere i bisogni sociali della nostra comunità e, grazie alla sua flessibilità, di farsene carico. E' questo sicuramente grazie all'équipe che con tenacia e impegno ha considerato il lavoro sociale più come qualcosa da creare, plasmare che non da amministrare.
In tutti questi anni di lavoro sociale trovo una costante che da sempre mi ha accompagnato. Quella di credere all'importanza del privato sociale. La scelta di campo è stata fatta nel 1976 quando privilegiando Caritas dicevo di no a un posto, allora, sicuramente più allettante presso il Dipartimento opere sociali. Da allora posso dire di avere usato molte forze, per permettere a questi due poli di meglio capirsi e meglio collaborare. Lo scricchiolio dello Stato sociale, verso la fine degli anni ottanta, permetteva al privato sociale di riconquistarsi il suo giusto spazio nella scacchiera ticinese, ma è sicuramente in questi anni, con la crisi ormai profonda dello Stato sociale, che il privato sociale ha tutte le possibilità per entrare seriamente in sinergia con gli altri poli della società, quello dello Stato e quello del mercato.
La mia nuova attività, da indipendente nel lavoro sociale, che porta il nome di CONSONO -consulenza sociale e non profit- si situa armonicamente in questa scia di riflessione. Affermare come più volte ho fatto che il non profit deve diventare profit, che il sociale deve coniugarsi con capacità imprenditoriali, che gli attori della società civile devono diventare dei soggetti vivi non basta più. Oggi diventa stringente poterlo sperimentare direttamente, attraverso questa nuova forma di lavoro sociale, che in maniera diretta sposta l'accento dal lavoro salariato al lavoro da indipendente. Ed è questa sicuramente una pista di lavoro nuova, stimolante, che già oggi, anche nel nostro piccolo Ticino, tocca molte realtà lavorative. L'occasione per questa nuova sperimentazione mi è data da un mandato a tempo parziale ricevuto dalla direzione dello sviluppo e della cooperazione tecnica di Berna. Un mandato che mi mette in contatto con quella realtà ticinese che si occupa di aiuto e sviluppo al difuori dei nostri confini. Ma accanto a questo mandato diventa importante realizzarne altri che mi permettano di concepire l'attività nel sociale con un nuovo statuto; quello indipendente. Ecco allora che CONSONO si pone sulla scacchiera sociale ticinese rispettoso, in sintonia con la storia sociale costruita in questi decenni e desideroso di saper cogliere le sfide che, anche il sociale deve affrontare guardando al futuro. MLB

Quando il "non profit" diventa una sfida professionale

Mimi Lepori aveva intuito da tempo che la sfida del settore sociale si chiamava "non profit" e assieme avevamo deciso di dare spazio alla riflessione su questo tema, sulla rivista e nell'emissione Caritas Insieme. Un tema solo apparentemente teorico che in diverse iniziative di Caritas Ticino si concretizza rendendo esplicita l'idea fondamentale che lo sviluppo economico e lo sviluppo sociale possono e devono camminare assieme. Caritas Ticino sta portando avanti questa sfida come organismo ecclesiale che dispone di mezzi per sperimentazioni anche di dimensioni ragguardevoli: ad esempio 150 posti di lavoro al 100% nel programma occupazionale per il reinserimento dei disoccupati di lunga durata. Mimi Lepori parte oggi con una sfida parallela alla nostra che è quella della consulenza a chi vorrà provare a percorrere la strada del "non profit". Con la sua nuova agenzia Consono, Mimi Lepori si è spostata solo di un isolato, dal 12 all'8a, e forse non è casuale, perché tra il non profit targato Caritas Ticino e quello della Consono non c`è bisogno neppure di attraversare via Lucchini.

Roby Noris