Una sfida chiamata droga
Tossicodipendenza: quali responsabilità?

Di Padre Lino Ciccone


La parabola del buona Samaritano... indica quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito "passare oltre" con indifferenza ma dobbiamo "fermarci" accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia

Non mi stancherò mai di ripetere che la droga non é il problema, ma é soprattutto la manifestazione di un disagio, il sintomo di una malattia sociale oltreché personale; esprime il dolore e la fatica dell'esistere, che non é esclusiva del tossicomane, ma é di tutti gli esseri umani. Ed anche ciò sta ad indicare che i tossicodipendenti non sono dei "marziani", dei "diversi" dai quali ci dobbiamo difendere perché attentano alla nostra sicurezza, ma donne e uomini come noi; "insieme con" loro e non "su" loro dobbiamo trovare soluzioni ai problemi che ci circondano, e quindi anche quello della droga, disponibili ad ascoltare le provocazioni che la loro realtà ci trasmette.
Senza saperlo, forse questi giovani, con disperazioni e sfiducia, lanciano un messaggio a tutti noi perché insieme, con urgenza, offriamo loro il nostro contributo per ricuperare una dimensione, uno stile di vita migliore, e cioè più umano e più felice.»

A parlare così é uno che di tossicodipendenza se ne intende. E non tanto per aver studiato il problema, quanto piuttosto per aver impegnato tutto sé stesso, e da molti anni, per e tra i tossicodipendenti. Si tratta di Don Mario Picchi, il fondatore del Centro Italiano di Solidarietà, o CeIS.

E se ci mettiamo davvero in ascolto, il messaggio é di quelli che scuotono, o dovrebbero scuotere, la nostra quieta indolenza. La grande maggioranza dei tossicodipendenti é costituita da giovani e anche da adolescenti. Ognuno di essi ha certamente la sua storia e le proprie responsabilità. Ma quando a fare una data scelta é una parte consistente della società, é chiaro che la società stessa ha una sua parte di responsabilità, cioè: nella cultura e nel costume dominante sono presenti elementi che sospingono verso quella scelta. Una spinta che risulterà efficace solo quando trova rinforzo e conferma in altri fattori, familiari e individuali.

Semplificando un discorso certamente molto più complesso, si può dire che la tossicodipendenza trova un terreno favorevole al suo sviluppo in alcuni aspetti della società e della cultura dominante nei Paesi ricchi. In questi, infatti, ha avuto inizio e diffusione il fenomeno con le caratteristiche odierne. Dal diffuso materialismo edonistico deriva, fra l'altro, l'orientamento a cercare pronta e facile liberazione da fastidi e disagi vari, o a superare senza sforzo difficoltà e fatiche, con l'assunzione di tranquillanti, sedativi, ansiolitici, oppure in vere e proprie droghe socialmente ammesse, come l'alcool, il tabacco, il caffè. E sono molti quelli che giungono ad una vera e propria dipendenza dall'una o dall'altra di queste sostanze.

Inoltre la soddisfazione largamente assicurata di esigenze e desideri anche voluttuari, in una cultura nel cerchio di valori puramente materiali, genera facilmente la noia, col rispettivo desiderio di evasione, di sensazioni nuove, meglio se proibite e trasgressive rispetto alla morale corrente. La droga si fa allora fortemente seducente con le sue abbaglianti promesse di trasportare in un mondo fantastico e proibito.
Altro aspetto della nostra società legato al dominante materialismo edonistico, é la chiusura di tutti gli ideali nel mondo, angusto ma seducente, del benessere materiale. Chi si adegua alla cultura dominante rimane abbagliato dagli pseudoideali su cui la società punta i suoi potenti riflettori: ricchezza, successo, piacere... Gli ideali veri, i valori autentici e grandi, per i quali valga la pena di impegnare a fondo la propria vita, sono scomparsi o rimangono in ombra.

I giovani che crescono in questa società, costruita non da loro ma da noi adulti, vengono così privati di una delle più preziose molle, indispensabili perché si sprigionino in loro le migliori energie da investire in programmi di vita degni delle più vere e nobili aspirazioni racchiuse nel cuore umano. In questo vuoto di valori e di ideali, l'attrattiva dei paradisi illusori della droga si fa seducente.

Una seduzione destinata a fare facilmente presa specialmente in adolescenti e giovani a cui la famiglia innanzitutto, ma con essa anche altre strutture ed agenzie educative a partire dalla scuola, non hanno offerto l'aiuto indispensabile per crescere verso una personalità solidamente impostata, quando non hanno ulteriormente potenziato i miraggi propinati dalla cultura e dal costume dominante.

Senza escludere la parte di responsabilità personale dei singoli adolescenti e giovani, non si può non puntare il dito anzitutto sulla società attuale nel suo insieme. La società, ripeto, costruita dagli adulti.

Viene in mente la parabola evangelica detta del "Buon Samaritano". Quel povero uomo, spogliato di tutto, derubato, percosso e lasciato mezzo morto sulla strada, é l'immagine emblematica del giovane tossicodipendente. Ed é la stessa parabola ad indicare il da farsi ed a suggerire la valutazione dei vari modi di comportarsi in situazioni del genere. "Vedere" e "passare oltre dall'altra parte della strada", é la scelta che fanno tanti, anche tra i "buoni cristiani". C'é anzi chi assume atteggiamenti più tristi ancora, pronunciando severe condanne contro i "drogati", e quindi infierendo a sua volta contro di loro. Per questi moderni farisei, l'unica cosa saggia é seguire il proverbio <<chi é causa del suo mal pianga se stesso>>.

Ma c'é un altro modo, più elegante e apparentemente rispettabile, di abbandonare i tossicodipendenti alla loro sorte, dandosi l'aria di prendersi cura di loro. Il colmo é che a farla é, a volte, proprio quella pubblica autorità che per suo compito specifico ha la cura del bene comune. Alludo ai casi in cui lo Stato decide di far fronte alle sue responsabilità assicurando la distribuzione gratuita e controllata di droghe ai tossicodipendenti. Si dà così per irrecuperabile chi é caduto sotto la schiavitù della droga e lo si abbandona a sé stesso. La società mostra così di avere come unica preoccupazione quella di difendere sé stessa: le basta che i tossicodipendenti non infastidiscano gli altri per procurarsi la dose di droga.

Nella parabola evangelica troviamo invece chiare indicazioni circa le esigenze di una vera solidarietà umana e di carità cristiana. Gesù scandisce in alcuni verbi: "fermarsi", "commuoversi", "versare olio e vino sulle ferite" e "fasciarle", inoltre affidare il povero uomo a chi può assicurare tutte le cure necessarie, assumendosene le spese. In una parola <<farsi prossimo>> del malcapitato. C'é qui un intero programma da inventare su quella specie di falsariga. Ad ognuno la esaltante responsabilità di elaborarlo e di eseguirlo, con generosità e costanza.

Possono essere di stimolo e di aiuto in questo alcuni tra i numerosi insegnamenti di Giovanni Paolo II in proposito. Anzitutto la chiamata in causa della parabola evangelica in riferimento alla tossicodipendenza. Il Pontefice lo fece la prima volta proprio parlando ad operatori del CeIS: <<L'opera di recupero e di prevenzione delle nefaste e terribili conseguenze della droga é attualmente non solo benemerita, ma necessaria; la strada su cui giacciono i tanti feriti e percossi dai traumi dolorosi della vita si é spaventosamente allargata, e tanto più c'é bisogno di Buoni Samaritani>>.
Successivamente, nella stupenda Lettera Apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza, Giovanni Paolo II ha così sviluppato l'applicazione della parabola davanti ad ogni situazione di sofferenza, "qualunque essa sia", non dunque solo, ma anche quelle legate alla tossicodipendenza: <<La parabola del buon Samaritano... indica quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci é lecito "passare oltre" con indifferenza, ma dobbiamo "fermarci" accanto a Lui. Buon Samaritano é ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità. Questa é come l'aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano é ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l'uomo che "si commuove" per la disgrazia del prossimo. Se Cristo sottolinea questa commozione, vuol dire che essa é importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna dunque coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente. (...)

Tuttavia il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all'uomo ferito. Buon Samaritano é, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà sé stesso, il suo proprio "io" all'altro>>.