UNITAS: cinquant'anni e in forma smagliante

Di Dante Balbo


Un anniversario per ripercorrere mezzo secolo di solidarietà con il vicepresidente dell'Associazione dei Ciechi ed Ipovedenti della Svizzera Italiana, con un occhio al dopoguerra e l'altro nel duemila.

I preparativi della giornata di inaugurazione della nuova Casa Andreina, centro diurno della Unitas a Lugano, che Caritas Insieme TV ha immortalato il 19 marzo scorso, fervevano allora soprattutto nella testa di Rino Bernasconi, granitico manager della sua azienda, ma altrettanto determinato vicepresidente della Unitas.

Stava già per affrontare questa nuova battaglia a colpi di conferenze telefoniche, fax ed altre armi più o meno informatiche, quando fui introdotto nel suo ufficio.

Il grintoso uomo d'affari, allora lasciò il posto allo squisito ospite che, con il suo sguardo di ventennale esperienza nell'associazione dei ciechi ticinesi, tracciava ampie pennellate di un panorama di solidarietà viva e palpabile.

Ne è nata una intervista di ampio respiro, di cui vi proponiamo la prima parte in questo numero.

Quando i ciechi guardano "oltre"

La solidarietà produce lavoro, qualità di vita, cultura e, a volte, intrecci d'amorosi sensi.

La Unitas ha raggiunto il traguardo dei cinquanta anni. Cosa rappresenta questo mezzo secolo come momento di bilancio?

Cinquant'anni sono tanti, perché se li pensi in funzione di quello che è cambiato, devi dire che sono mutate davvero tante cose. soprattutto è diverso l'atteggiamento delle persone che incontri. Quelle già cieche cinquant'anni fa, che ritrovi oggi, fai fatica a capire che sono le stesse persone, che in tanti anni sono cambiate in riferimento all'ambiente nel quale vivono. Diventa difficile ricordare tutto quello che in questi anni è successo, perché anche noi ci trasformiamo con il mondo e siamo oggi quello che siamo.

Allora se oggi l'Unitas è una associazione in grado di offrire diversi servizi ai ciechi ed ipovedenti e soprattutto riesce a farlo speriamo nel modo giusto, vale a dire nella quantità proporzionata alla richiesta, e con la qualità che indubbiamente riusciamo a dare, c'è da chiedersi che cosa è che ci ha portato ad essere qui oggi a festeggiare i cinquant'anni. E' chiaro che vien voglia di cercare di ricostruire passo per passo tutti i singoli momenti che hanno portato a questa crescita. Qui si rischia veramente di fare degli sbagli, dimenticando dei passaggi importanti. Soprattutto noi che siamo giovani, nel senso di appartenenza all'associazione, possiamo sottovalutare momenti che hanno avuto, invece, un'importanza ben più grande di quello che io personalmente potrei immaginare.

Ti faccio un esempio.

Per me la biblioteca sonora è un dato di fatto, è come se fosse sempre esistita, è normale, quasi ovvio che ci debba essere e che ci sia, che c'è stata e che dovrà sempre esserci...

Scusa, cos'è la biblioteca sonora?

E' la biblioteca sulla quale vengono trasferiti i libri affinché il cieco possa ascoltarli, ossia possa leggerli. Il libro viene letto su dei nastri, che adesso sono delle cassette, che poi vengono messe a disposizione del cieco che può leggersi un libro, che ha scelto lui, indicandolo alla nostra biblioteca tramite il servizio di lettura che abbiamo a Mendrisio. Questo, dopo averlo letto, trasmette l'originale della cassetta alla biblioteca. A questo punto il libro diventa uno dei testi della biblioteca, andando ad arricchirne il catalogo.

Ecco, dicevamo, che questa biblioteca io la vedo oggi come una cosa normale. Ovviamente chi ha vissuto alla fine degli anni quaranta, in cui c'erano i primi incisori, a quei tempi ancora a nastro, e poi alla fine degli anni cinquanta ha visto la divulgazione massiccia delle audiocassette, ha una immagine completamente diversa dalla nostra, che consideriamo il registratore come un blocco di appunti. Chi ha vissuto queste cose, darebbe a quei momenti una valenza che noi difficilmente riusciamo ad eguagliare.

Molto più che pii desideri

Puoi sintetizzare il percorso della Unitas in questi cinquant'anni?

Le tappe che simbolicamente ricordiamo di questi cinquanta anni sono:

1. La fondazione nel 46 dell'associazione;

2. La biblioteca braille nel 1949;

3. Negli anni cinquanta la biblioteca sonora, con i nastri e poi con le cassette;

4. All'inizio degli anni settanta registriamo il grosso impegno dell'associazione verso i bambini ciechi pluriminorati con la Casa Sorriso per bambini di Tenero;

5. Sempre negli anni settanta abbiamo potenziato l'assistenza a domicilio, con operatrici itineranti che si recavano a casa dei nostri associati, per dar loro sostegno sia psicologico, ma spesso pratico e tecnico, per esempio l'istruzione su come recuperare una certa mobilità nella loro abitazione o nel quartiere in cui vivono. Un grosso impegno, perché erano anni in cui anche poter permettersi due assistenti che viaggiassero per tutto il Canton Ticino, costituiva uno sforzo anche finanziario non di poco conto, che ci veniva in parte compensato da sussidi cantonali, ma che in misura rilevante pesava sulle nostre spalle.

6. Negli anni ottanta la casa per anziani.

Il problema dell'anziano è vasto in generale, basti pensare alla necessità di dover disporre di case per anziani quasi della quarta età.

L'anziano cieco, il quale si trova a disagio in una casa tout court e avrebbe tutto il diritto di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in un ambiente che gli permetta di non essere sempre confrontato con una certa durezza, aggravata dall'ulteriore handicap della ciecità. Dico ulteriore perché per alcuni è il normale processo di invecchiamento a cui siamo tutti soggetti. Questi erano ciechi da giovani, poi sono diventati ciechi anziani. Spesso, invece, abbiamo a che fare con degli anziani che tutto a un tratto oltre che a diventare vecchi si accorgono di perdere anche la vista; il problema diventa anche più difficile da accettare.

Ci siamo resi conto che disporre di un ambiente dove possano essere facilitati nei loro movimenti quotidiani e provare anche conforto e stimolo nel fatto di essere con altre persone nella stessa condizione, poteva favorire il superamento delle difficoltà di questo tipo di persone.

Questa analisi è sfociata nella costruzione della nostra nuova casa sorriso, che ci ha impegnati dal punto di vista finanziario in modo incredibile.

La casa, infatti, è costata quattordici milioni, di cui solo la metà copertine/coperta con sussidi cantonali e federali, il resto sono veramente sostenitori e benefattori che per anni e anni ci hanno sempre seguito e ci hanno permesso di avere il coraggio di affrontare quest'opera.

Autostrade elettroniche, altro che vicoli ciechi

Ma per tornare alla biblioteca sonora, una rivoluzione analoga è avvenuta con la comparsa del computer!

Sì, bisogna arrivare agli anni novanta in cui c'è stata l'esplosione del fenomeno informatico ed elettronico. Dico esplosione perché è stato come una miccia che ha scatenato tanti progetti, che forse si potrebbero vedere come paralleli, ma che poi si incrociano, creando altri problemi, applicando il bel principio della sinergia.

Se pensiamo all'informatica, è arrivata inizialmente perché sul posto di lavoro ci accorgevamo, noi per primi, che dovevamo raggiungere questi mezzi molto più veloci dei nostri, che tutti gli altri avevano sempre più normalmente a disposizione.

Da qui, i primi tentativi di far funzionare queste sintesi vocali, queste linee braille, per poter avere quelle informazioni che gli altri che lavorano in modo professionale, hanno sullo schermo.

Risolto il problema tecnico, si è messo in moto un processo incredibile.

E' nata l'idea di creare una edicola elettronica, in un momento, la fine degli anni ottanta, in cui un giornale elettronico esisteva già in altre nazioni.

Ma noi volevamo offrire qualche cosa in più: proporre al cieco la possibilità di scegliere il giornale che desidera e non di dover prendere quello che qualcuno aveva deciso di mettere a disposizione dei ciechi su supporto informatico.

La scommessa di creare l'edicola dove il cieco potesse "recarsi" in modo virtuale, la mattina, l'abbiamo vinta. Ma appena avviata questa iniziativa, ci siamo subito accorti che si poteva fare qualcosa di più: una delle cose in cui credo con una passione inaudita, che ora esiste, la posta elettronica.

Quando l'informatica incontra i ciechi, le sorprese non finiscono mai

Noi abbiamo risolto inizialmente il problema del computer per chi lavorava, questo è importantissimo. Poi l'edicola elettronica, stupenda, per i suoi aspetti culturali e integrativi.

Possiamo sceglierci il giornale, avere in tempo reale la stessa informazione che hanno gli altri, anzi, a volte anche prima.

Cominciava a diventare stupendamente reale essere pienamente nel mondo.

Però, secondo me, ciò che ci ha fatto fare un salto enorme è stata la posta elettronica.

Già coinvolti nel progetto di dare a tutti quelli che volevano un computer per poter leggere il giornale, ci siamo accorti che il fatto di poter comunicare fra di loro, di poter scrivere per conto proprio una lettera, di poterla spedire,in modo così veloce, discreto e personale, ha messo in moto un processo incredibile.

I nostri associati hanno incominciato a dire:

"Io posso avere un computer a casa.".

Per pagarlo, nell'ambito della Unitas sono stati risolti dei problemi pratici e si sono creati anche dei fondi, grazie a una collaborazione con la pro Ciechi, e con la fondazione ciechi più competitivi sul lavoro, un ente a partecipazione diretta della Unitas stessa.

"Con una modica cifra, dunque, il computer lo posso avere.

Scelgo una linea braille e o una sintesi vocale, il modem indispensabile per collegarmi con l'edicola elettronica. ma in questo modo posso cominciare anche a scrivere, magari un diario, una lettera da spedire a qualcuno.

Questo ha generato un processo inimmaginabile, perché molti hanno incominciato ad aver bisogno di corsi di informatica. Ma prima di ciò, ci si è resi conto che si doveva iniziare dall'apprendimento della dattilografia.

Tutto questo ha favorito l'attivazione di un desiderio di imparare, di incontrarsi e scambiare le esperienze, la stessa esperienza di lavorare su di un computer. Si è incrementato un desiderio di incontro fra gli associati ciechi e ipovedenti della Unitas e al di fuori di essa, che prima era invece vissuto in modo in parte passivo, perché lo scopertine/copo di incontrarsi non era forse così stimolante, racchiuso dentro le tradizionali occasioni di incontro.

A questo proposito, mi ha particolarmente colpito l'aver ricevuto dei messaggi per un augurio o per scambiarsi un pensiero su un incontro precedente, e vedere come molte di queste persone hanno riattivato delle capacità intellettuali riuscendo ad esprimere pensieri molto profondi, che mai più mi sarei immaginato. Ho incominciato a conoscere più a fondo persone che frequentavo da anni.

Si potrebbe obiettare che anche i ciechi sanno parlare, e avrebbero potuto anche incontrarsi e conoscersi ugualmente, senza bisogno di un computer. però, forse, mancava lo spunto per farlo. Quando ci incontriamo non abbiamo voglia di parlare sempre dei nostri problemi o del nostro handicap, ma anche di quello che facciamo. Questo computer, questa edicola, soprattutto questa posta elettronica, hanno messo in moto una voglia di stare insieme, di lavorare, di scambiarsi esperienze, tra l'altro, mi sa che sulla posta elettronica sono girate anche lettere rosa, anche se tecnicamente non è possibile verificarlo, perché il sistema è fatto per proteggere la privacy.

Se l'informatica è stato lo sprone perché noi tutti ci mettessimo ad impegnarci con noi stessi, per usare un po' meglio le nostre capacità intellettive, per sfruttare un po' meglio quel che sappiamo fare e non solo restare bloccati su quello che non riusciamo più a fare, credo che sia una cosa stupenda.

Ecco il perché di quanto dicevo prima.

Il computer è stata una rivoluzione nel nostro ambiente. E' chiaro che se adesso uno dice che il computer è stata una rivoluzione, nessuno lo ascolta neanche più. Ma noi dovremmo riuscire a spiegare come nel nostro piccolo mondo ha fatto delle cose straordinarie.

Se penso adesso a tutto quello che l'informatica ci permette!

Ad esempio, con la posta elettronica possiamo trasmettere del lavoro da un ufficio all'altro. Noi trasmettiamo del lavoro dal segretariato ad un nostro associato che, a casa sua, con il computer, fa la traduzione che gli viene richiesta o un determinato lavoro su una banca dati. Poi, sempre senza doversi muovere, rimanda il proprio prodotto al segretariato.

Credo che, a questo livello, siamo addirittura all'avanguardia, senza poi bisogno di tanti supporti.

Penso alla possibilità di disporre di vocabolari e dizionari a mezzo di cd-rom, le banche dati a cui abbiamo accesso, i pazzi più pazzi nel nostro ambiente sono già collegati con Internet e cominciano a navigare e a cercare. Indipendentemente da un giudizio su internet, aver aperto queste porte, dare la possibilità di andare a cercare, vuol dire pensare, riflettere, ragionare.

Se parliamo di computer e di informatica, spesso pensiamo sia un problema tecnico, legato ai bit e ai files.

Credo, invece, che la rivoluzione informatica nel nostro ambiente ha significato cultura nel senso più elevato che può avere questa parola, perché vuol dire interesse, apertura, disponibilità, ricerca di contatti.

Una finestra sul mondo, per ricominciare a sperare

Finché rimaneva limitato a un qualche vip o a un cosiddetto cieco "doc", andava bene, ero contento per voi!

Però la cosa mi sembrava ancora un po' limitata ad un gruppo di ciechi eccelsi, se così si può dire. Il fatto è che siamo riusciti a divulgarla.

Oggi in Ticino una cinquantina di persone cieche o ipovedenti partecipano di questa esperienza già così sviluppata.

Tra queste, la maggior parte sono persone che non hanno più una occupazione e che hanno il bisogno di avere uno stimolo per essere attenti, per seguire quello che sta accadendo, per dare un senso profondo alla propria vita.

Se infatti l'informatica ha permesso a chi lavora di tenersi a galla, per cercare di stare al passo con gli altri che ci vedono e usano abitualmente il computer, abbiamo permesso a delle persone, che 5 anni fa neanche lontanamente si immaginavano, di mettersi ad adoperare anche la propria testa, per stimolare chissà quale capacità che non pensavano di poter riattivare. Gente semplice, che ti dice di non aver fatto grandi scuole, e che non sa se potrà usare il computer.

Adesso si vede scrivere, comunicare e chiederti con attesa e desiderio quando ci sarà il prossimo corso per avanzati.

Dentro di me provo una grande gioia, quando penso allo sforzo che è stato fatto da tutti noi come una squadra, perché ognuno ha dato il massimo, ed è sfociato in un progetto che ha qualche cosa di veramente stupefacente.

Mi riferisco soprattutto a quelle persone che sono a casa, non hanno più un lavoro e hanno ritrovato la voglia di vivere. Alcuni di loro sono costretti a casa, obbligati a letto, e grazie a questo computer hanno una finestra, che si apre per loro sul mondo ogni mattina.