Politiche sociali: cambiare ma come?
La parola al Giudice Daniele Cattaneo

A cura di Mimi Lepori


Sull'ultima rivista scrivevamo: "Tutti d'accordo nel riconoscere che le nostre politiche sociali debbano cambiare, ma le opinioni divergono sul come. Caritas Ticino apre un dibattito". Sui prossimi numeri della rivista di quest'anno daremo spazio a diversi contributi autorevoli.

D: Ormai lo si è detto e ridetto; lo Stato sociale scricchiola, bisogna cambiare qualcosa, ma in che modo?

Daniele Cattaneo*: Innanzitutto mi sembra importante rilevare che il nostro sistema di protezione sociale contiene ancora diverse lacune nella protezione, sia perché a vecchi bisogni non sono state ancora trovate adeguate soluzioni (penso in particolare all'assicurazione per la maternità dove si attende da più di 50 anni la concretizzazione del mandato costituzionale, e agli assegni familiari, che andrebbero attribuiti ad ogni figlio e completati mediante prestazioni selettive più elevate, che tengano conto del reddito complessivo e del numero dei figli) o ne sono state trovate di insoddisfacenti (alludo, ad esempio, a certi aspetti della legislazione sulla previdenza professionale, quali l'esclusione delle lavoratrici o dei lavoratori con redditi bassi, oppure la progressione della quota di contribuzione con l'aumento dell'età, ciò che costituisce pure un ostacolo per il ricollocamento dei disoccupati più anziani). Negli ultimi anni sono poi apparsi nuovi bisogni, come la nuova povertà o la dipendenza della quarta età (su quest'ultimo aspetto vedi il Rapporto della Commissione federale anziani in Svizzera, Berna 1995, pag. 31-39 e pag. 558), ai quali non si è ancora risposto convenientemente.

Paradossalmente quindi, ma non troppo, il primo aspetto da cambiare dello Stato sociale è proprio quello di rafforzarlo.

Concretamente, per raggiungere questo obiettivo, intravvedo due possibilità. La prima consiste nel mantenere il sistema attuale di protezione (quello che gli specialisti chiamano "approccio analitico", e cioè: ogni legge sociale si occupa di una eventualità ben distinta, ad es. la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia, l'invalidità) migliorando le leggi esistenti (in particolare, per quel che concerne il nostro sistema previdenziale, segnalo il Rapporto dell'ottobre 1995 del Dipartimento federale dell'interno, concernente la struttura attuale e l'evoluzione futura della concezione svizzera dei 3 pilastri che contiene stimoli estremamente interessanti) ed elaborando contemporaneamente una nuova legge destinata soprattutto a lottare contro la povertà, che garantisca agli individui e ai nuclei familiari un reddito minimo (si tratta del modello di reddito minimo garantito e d'inserimento, a carattere completivo, da me esposto nel 1990 e nel 1991 in occasione di alcuni incontri organizzati dal PPD, dal Sindacato cristiano-sociale dei funzionari postali e di Caritas Ticino, e poi sviluppato in uno studio pubblicato sulla Rivista di diritto amministrativo e tributario ticinese (RDAT) II 1991, pag. 447 e seg.).

La seconda possibilità consiste nel riformare in profondità il nostro sistema di sicurezza sociale, oggi estremamente elaborato e complesso, passando dalla concezione analitica alla concezione funzionale della sicurezza sociale.

Secondo questa concezione, più razionale, il sistema di sicurezza sociale in futuro non dovrà più essere costruito sulla base delle differenti cause ("le eventualità") che provocano il suo intervento, ma piuttosto considerando le sue grandi finalità. In particolare, la sicurezza sociale dovrà perseguire i quattro obiettivi seguenti:

_ la garanzia delle cure mediche e la protezione della salute;

_ la garanzia di un reddito sociale di sostituzione al reddito professionale;

_ la garanzia di un reddito sociale di compensazione (oneri familiari e reddito sociale minimo);

_ "l'adattamento, la valorizzazione e l'utilizzazione ottimale delle risorse umane" (misure preventive e di reinserimento, aiuto alla formazione).

Questa concezione è già stata accettata nell'ambito dell'Unione europea mediante l'adozione, nel 1992, di una Raccomandazione sulla convergenza degli obiettivi e delle politiche di protezione sociale. (Per maggiori dettagli su questo tema rinvio agli articoli apparsi sul "Giornale del popolo" del 3 e 7 giugno 1995, su "Il Lavoro" del 23 giugno 1995 e allo studio "Sicurezza sociale svizzera: verso la riforma globale?" appena pubblicato sulla RDAT II 1995 pag. 353 e seg.).

D: I quattro obiettivi della sicurezza sociale sono chiari, ma quali sono gli aspetti più particolari che devono essere maggiormente sottolineati?

R:Innanzitutto ribadisco che questa riforma è ormai assolutamente indispensabile e urgente per il futuro della nostra sicurezza sociale anche perché, come sottolineava già nel 1978 il grande specialista Prof. Philippe Bois, "il grado sempre crescente di sofisticazione del sistema nasconde una minaccia : quella di un'aggressività irrazionale contro il regime di sicurezza sociale, di quel tipo d'aggressività che si sviluppa contro ciò che è sconosciuto".

Il nuovo sistema di sicurezza sociale dovrà quindi essere più razionale dal profilo istituzionale (il passaggio alla concezione funzionale) appena esposto, ma anche a livello amministrativo e finanziario (ad esempio cercando nuove e diverse modalità di finanziamento, vedi al proposito la ricerca di Y.Flückiger e J.S. Cordero, "Analyse économique des différentes propositions de réforme du financiement des assurances sociales"), al fine di utilizzare meglio (e cioè in modo più semplice, più equo, più trasparente) le risorse disponibili.

Oltre a questi aspetti di razionalizzazione la riforma globale della sicurezza dovrà porre grande attenzione ad una maggiore umanizzazione della sicurezza sociale, al fine di compensare la burocratizzazione (la quale peraltro, almeno in parte, è inevitabile) delle istituzioni di sicurezza sociale e l'anonimato delle loro decisioni.

Secondo il Prof. Guy Perrin, uno dei massimi teorici della riforma della sicurezza sociale, l'umanizzazione impone di sviluppare considerevolmente quegli aspetti più vicini alla persona, quali la prevenzione sanitaria o sociale, il reinserimento funzionale, professionale o sociale, l'azione sanitaria, familiare o sociale. Non basta quindi più una semplice indennizzazione in denaro. L'umanizzazione impone pure di tenere conto , in tutti i sistemi di sicurezza sociale, dell'aspirazione della popolazione alla qualità della vita e della richiesta crescente di maggiore flessibilità (così da potere conciliare l'esigenza di sicurezza che ognuno ha, la diversità delle situazioni concrete e il rispetto dell'autonomia personale).

L'umanizzazione esige però anche il pieno riconoscimento del diritto di ogni persona alla sicurezza sociale (un diritto che dovrà quindi sempre più essere proprio a ciascuno e non derivato da protezioni accordate ad altri, ad esempio al lavoratore salariato).

Gli stimoli e le indicazioni per la riforma globale della sicurezza sociale in tutti i suoi elementi sono ormai stati formulati da tempo. Già nel 1986, l'OCST in un suo documento sottolineava a ragione che la realizzazione pratica necessita soltanto da parte di tutti di "un rinnovato coraggio di investimento progettuale" (per ulteriori approfondimenti a partire dalle giornate di formazione tenutesi in quel periodo, rinvio al mio studio "Per un nuovo Stato sociale" in Dialoghi Nr. 96 dell'aprile 1987, pag. 5 e seg.).

D: D'accordo con lei, comunque questo esercito di nuovi poveri, di cui i disoccupati sono un numero considerevole, sono una presenza. Come lottare, per esempio per combattere la disoccupazione?

R: Nella recente pubblicazione "Condividere per lavorare. La disoccupazione interpella la società" (Tipografia La Buona Stampa, Lugano 1995, prezzo: fr. 15.¾), la Commissione nazionale svizzera Giustizia e Pace e l'Istituto di etica sociale della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera hanno sottolineato la necessità di dividere più equamente il lavoro disponibile al fine di lottare adeguatamente contro la disoccupazione.

In particolare è stata proposta una misura radicale: la riduzione della durata media del lavoro di almeno 1/3 nei prossimi 30 anni, e concretamente il passaggio da 42 a 27 ore settimanali di lavoro.

Ho fatto parte del gruppo di studio che ha elaborato questo documento. Altre persone hanno esaminato gli aspetti economici. Da parte mia ho fornito un contributo relativamente a quelle che chiamerei le premesse indispensabili affinché l'idea possa avere delle concrete possibilità di successo.

Si tratta in particolare della valorizzazione di tutte le attività (segnatamente quelle socialmente utili) che non rientrano nella tradizionale nozione di lavoro e che non sono oggi sufficientemente considerate (ad esempio: il lavoro educativo e domestico, l'attività di volontariato nelle organizzazioni sociali, l'accompagnamento e la cura di malati e delle persone in fin di vita). Nell'opuscolo (vedi soprattutto pag. 26 e 36) si parla al proposito di "lavoro dimenticato".

Ciò presuppone un cambiamento di mentalità riguardo al concetto stesso di lavoro.

Un'altra condizione indispensabile consiste nell'introdurre, nel percorso della vita professionale, delle pause da dedicare alla formazione continua, che deve essere favorita mediante adeguati congedi di formazione pagati.

In questo contesto, nell'ambito del gruppo di lavoro, ho così ribadito quanto già sottolineato nella mia tesi di dottorato ("Les mesures préventives et de réadaptation de l'assurance-chômage", Ed. Helbing & Lichtenhahn, Basilea 1992) e cioè l'importanza di potenziare le misure attive contenute nella legge sull'assicurazione contro la disoccupazione (una parte delle suggestioni formulate a suo tempo sono state accolte dal legislatore nell'ambito della seconda revisione della LADI, già parzialmente in vigore dal 1 gennaio 1996) e la necessità di favorire la formazione continua dei lavoratori (di investire cioè "in materia grigia" secondo la felice espressione del Prof. Gilliand).

In un'ottica di ripartizione del lavoro è quasi inutile sottolineare che il potenziamento della formazione continua potrebbe avere anche l'effetto di promuovere l'occupazione (se il lavoratore in congedo viene sostituito da un disoccupato).

In questo senso andava del resto una mozione Brunner respinta dal Consiglio nazionale nel 1993.

D: Una proposta - da noi presentata nel legislativo cantonale- che sentiamo come decisiva per il futuro è quella del reddito minimo di inserimento. Quale è il suo pensiero in merito?

R: Per combattere efficacemente contro le situazioni di precarietà (ad esempio: disoccupazione di lunga durata, famiglie monoparentali) occorre elaborare una nuova legge federale sul reddito minimo di inserimento, destinata a tutti i residenti in Svizzera.

Il diritto alle prestazioni, che andrebbero fissate secondo i criteri e gli importi già in vigore nel regime delle prestazioni complementari all'AVS/AI, dovrebbe essere subordinato, per le persone in età attiva, anche alla condizione di esercitare una attività di formazione o di interesse sociale. Queste misure di inserimento (nel senso più ampio del termine e cioè a carattere sociale, formativo e professionale) costituiscono anzi il diritto principale.

Si tratta dunque di un modello di reddito minimo a carattere non contributivo e condizionale, e cioè universale e selettivo, al fine di tenere conto dell'insieme dei redditi (del lavoro e non) di cui dispone la famiglia. Questa proposta, che è già stata da me formulata in più occasioni negli ultimi anni (vedi in particolare: "Per uno sviluppo della sicurezza sociale" in Dialoghi Nr. 108, ottobre 1989, pag. 19 e seg., "Les mesures préventives et de réadaptation de l'assurance-chômage", pag. 553; "Reddito minimo garantito: prossimo obiettivo della sicurezza sociale in RDAT II 1991, pag. 447 seg.; "Les mesures préventives de la LACI" in Cahiers genevois et romands de sécurité sociale, Nr. 11-1993, pag. 57-58), permette in particolare di integrare l'assistenza sociale tradizionale nella sicurezza sociale.

In occasione del mio intervento al Congresso del settembre 1994 dedicato a "La famiglia alle soglie del III° millennio", ho avuto l'occasione di sottolineare che questa soluzione, non presenta solo il vantaggio di attribuire le prestazioni sociali in funzione dei bisogni e delle risorse dell'intera famiglia, ma anche quello di permettere alle varie forme di solidarietà familiari e interpersonali di svilupparsi in modo più compiuto.

Quali misure di inserimento possono infatti essere segnalate, oltre la cura dei propri figli in tenera età, la cura a domicilio di persone malate, anziane o invalide, i corsi di formazione, i programmi d'occupazione, i servizi resi a persone che presentano difficoltà di spostamento, l'istruzione linguistica impartita alle famiglie straniere e le altre innumerevoli mansioni svolte dal volontariato nel settore sociale.

Come si vede il discorso del reddito minimo si inserisce così decisamente nel dibattito attualmente in corso relativo alla ripartizione del lavoro e segnatamente al superamento della tradizionale netta distinzione tra lavoro salariato ed attività non retribuite.

D: Come si inseriscono, il discorso sulla riforma della sicurezza sociale e quello del reddito minimo d'inserimento nel contesto della revisione totale della Costituzione federale, di cui si è appena conclusa la fase di consultazione?

R: La riforma della sicurezza sociale deve trovare la sua base nella Costituzione federale.

Tutto il nostro sistema di sicurezza sociale è stato elaborato attribuendo progressivamente alla Confederazione, mediante riforme costituzionali, la competenza o il mandato di legiferare.

Il Parlamento vi ha provveduto ed in definitiva spesso il popolo è stato chiamato ad esprimersi sulle diverse legislazioni sociali.

Ora, se vogliamo che lo Stato sociale venga riformato passando dalla concezione analitica alla concezione funzionale, è necessario che questa nuova impostazione venga tracciata già nella nuova Costituzione federale. Proprio su questo aspetto il progetto posto in consultazione è estremamente carente e non tiene conto delle critiche formulate negli ultimi anni alla concezione analitica (per maggiori dettagli su questo punto rinvio al testo delle osservazioni da me formulate in occasione di una giornata di studio di "Giustizia e Pace", pubblicato su "Il Lavoro" del 19 gennaio 1996).

Credo che bisogna essere estremamente chiari. Lo Stato sociale che vogliamo costruire nei prossimi anni deve fondarsi su disposizioni costituzionali chiare che devono essere correttamente interpretate, secondo la volontà espressa da popolo e Cantoni (allorché essa è ancora attuale). In questo senso devo esprimere una certa preoccupazione leggendo la proposta contenuta nel già citato rapporto del DFI sul sistema dei tre pilastri che, senza modificare formalmente il testo costituzionale, suggerisce di passare dall'opzione "mandato costituzionale" all'opzione "gerarchia degli obiettivi".

Si tratta di una interpretazione quantomeno discutibile dell'articolo costituzionale relativo alla previdenza vecchiaia, superstiti ed invalidità.

Tornando al progetto di revisione totale della Costituzione federale, oltre che per l'assenza di una impostazione generale a favore della concezione funzionale, della sicurezza sociale, va ancora segnalata come una incomprensibile carenza, la mancata introduzione, accanto agli scopertine/copi sociali che devono essere perseguiti dallo Stato, di alcuni diritti sociali individuali che ogni persona può fare valere direttamente (primo fra tutti il diritto al minimo vitale, già consacrato nella giurisprudenza del Tribunale federale e del Tribunale federale delle assicurazioni). Questi diritti sono del resto previsti dalle più recenti Costituzioni cantonali (ad esempio quella del Canton Berna) e pure nel disegno di revisione totale della Costituzione ticinese (anche su questo punto rinvio all'articolo apparso su "Il Lavoro" del 19 gennaio 1996 e ripreso su "popolo e libertà" del 8 febbraio 1996).

D: Lo Stato sociale è da alcuni apertamente contestato. Talune difficoltà sono peraltro evidenti (aumento della disoccupazione, aumento della popolazione anziana). Come affrontare questo tipo di discussione e soprattutto come trovare le soluzioni senza demolire tutto?

R: Credo sia necessario un dialogo costante tra le diverse forze sociali (imprenditori, sindacati, fornitori di prestazioni, assicuratori e assicurati con il sostegno attivo dello Stato) al fine di trovare di volta in volta le soluzioni più efficaci (ciò è ad esempio avvenuto recentemente in occasione della riforma della LADI con la ricerca di una soluzione di compromesso che ha fatto fallire in anticipo ogni tentativo di lanciare il referendum).

Ritengo pure necessario che tutte le componenti ideologiche presenti nel paese che hanno costruito il nostro Stato sociale, affrontino assieme seriamente l'urgente questione della sua riforma. Come ricorda il Prof. Hans Peter Tschudi, nella sua opera "La Costitution sociale de la Suisse" (Ed. USS, Bern 1987, pag. 4), negli ultimi cento anni la nozione e gli obiettivi dello Stato sociale hanno subito l'influenza preponderante di tre correnti di pensiero: l'umanesimo liberale, la dottrina sociale cristiana, l'impulso delle associazioni dei lavoratori. Queste tre correnti, magari anche dopo dure lotte, hanno sempre saputo trovare "une convergence manifeste en faveur d'une sécurité sociale bénéficiant à chacun". Si tratta ora di cercare e trovare nuove soluzioni.

Ma, soprattutto, di fronte a recenti proposte che mettono radicalmente in discussione quanto gradualmente costruito, mi sembra di fondamentale importanza riflettere sui valori che giustificano e legittimano pienamente un buon sistema di sicurezza sociale e segnatamente la sua accresciuta importanza oltre che per i singoli individui e per le famiglie anche, più in generale, per la coesione sociale, in un periodo di crisi economica che crea emarginazione e povertà.

Proprio per questo motivo il gruppo di lavoro ecumenico "Politica sociale / disoccupazione", dopo "Condividere per lavorare" sta ora elaborando un nuovo documento sui valori che stanno alla base dello Stato sociale.

Su questi aspetti (ad esempio il principio della solidarietà, il principio di sussidiarietà, il principio di responsabilità, il concetto di reddito familiare, il sostegno e la valorizzazione dei corpi intermedi, la promozione delle attività familiari, educative e di volontariato) la dottrina sociale cristiana fornisce regolarmente importanti contributi e proposte, spesso d'avanguardia. Non a caso il Vescovo Giuseppe Torti ha avuto modo di definire la dottrina sociale il "Vangelo dei nostri tempi" e di affermare che essa "ripropone la verità tanto semplice quanto definitiva sulla centralità dell'uomo" e che pertanto "non è una appendice, ma centro e sostanza della nuova evangelizzazione" (cfr. "Parroco del Ticino", pag. 85)

A questo proposito mi limito qui a segnalare le encicliche di Giovanni Paolo II "Laborem exercens", "Sollicitudo rei socialis", "Centesimus annus", o per la nostra realtà locale, la relazione del compianto Vescovo Eugenio Corecco pubblicata in Diocesi di Lugano e Carità, pag. 199 seg.; la sua ormai famosa omelia alla Monteforno e l'intervento al Congresso dell'OCST del 1987 (vedi "Siate forti nella fede", pag. 168-171 e pag. 174-175). Preziosissimi contributi vengono inoltre forniti regolarmente su "Il Lavoro" da Monsignor Franco Biffi, grande esperto in materia e autore, tra l'altro, di una guida pratica alla lettura e alla comprensione della "Centesimus annus" estremamente chiara e interessante. La lettura di quest'ultimo libro, che riassume pure l'insegnamento sociale della Chiesa dalla Rerum Novarum a oggi, non può che essere consigliata a tutti. (Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1991).

*Il dottor Daniele Cattaneo è nato nel 1960, sposato con Daniela è domiciliato a Meride.

Licenziato in diritto a Ginevra nel 1983 è vice-cancelliere presso il Tribunale di appello dal 1984. Ha conseguito il diploma di studi superiori in diritto nel 1989 (a Ginevra) e il dottorato in diritto a Ginevra nel febbraio 1991. Dal 1991 è Giudice del Tribunale d'Appello e dal 1992 Presidente del Tribunale Cantonale delle Assicurazioni sociali. È pure membro della direttiva OCST dal novembre 1992 e membro della Commissione nazionale di Giustizia e Pace dal 1 gennaio 1994.