Informazione diocesana e ruolo di Caritas in Ticino


Cosa d'entra con Caritas l'ecumenismo, la morale sessuale e famigliare, la Pastorale giovanile e i progetti missonari della Diocesi?

di Roby Noris

C'è chi si chiede quale sia il ruolo di Caritas Ticino sul piano dell'informazione, in particolare quella diocesana visto che primariamente la nostra organizzazione non si presenta certo come organo di informazione ma come ente socio/caritativo della diocesi.

Ma la produzione di una rivista bimestrale, in edicola, e un'emissione televisiva settimanale possono legittimamente far nascere qualche domanda sugli obiettivi reconditi di questa organizzazione che da 15 anni a questa parte, da quando è nato il bollettino di informazione, ha continuamente aumentato la sua presenza sul fronte dei mezzi di comunicazione.

Alcuni interrogativi ci sono stati posti all'interno della commissione dei mass-media, ma ci è anche giunta la lettera di un lettore che sintetizza bene la preoccupazione espressa in commissione. Eccone due passaggi salienti:

" Mi pare scorretto verso il pubblico far diventare di Caritas tutto quanto avviene a livello ecclesiale in Ticino e mi è difficile condividere (se non specificato negli obbiettivi) la presenza di diverse pagine sull'ecumenismo, sulla morale e pastorale famigliare, sul progetto missionario diocesano."

(A questa lista, in commissione dei mass-media era stata aggiunta anche "la pastorale giovanile")

" Mi corre il dubbio che Caritas Insieme voglia divenire (o lo è già!) un contenitore diocesano di quanto viene svolto. In questo caso a me, ma penso anche ad altri, interessa saperlo chiaramente."

Abbiamo pensato di chiedere una reazione (riportata nei riquadri) a chi, indirettamente, è chiamato in causa in quanto, pur non essendo di Caritas Ticino è apparso sulla nostra rivista: don Carmelo Andreatta responsabile della pastorale giovanile diocesana, padre Lino Ciccone professore della Facoltà di Teologia di Lugano, don Graziano Borgonovo direttore della nuova Rivista Teologica di Lugano e Franco Ferrari presidente della Conferenza Missionaria.

Eloquenti mi paiono queste reazioni per sfatare l'idea che queste realtà diocesane stiano per essere fagocitate da Caritas Ticino che sta centralizzando tutto su di sé. Al contrario se la vita ecclesiale deve essere comunicata come fonte di arricchimento per tutti, ogni possibilità di amplificare e dar voce alle diverse e molteplici espressioni è auspicabile e da favorire.

Per quanto mi riguarda, e cioè Caritas Ticino e i suoi obiettivi, pur rischiando di ripetermi devo ribadire alcune osservazioni che sono alla base di quelle scelte che abbiamo fatto gli anni scorsi assieme al Vescovo Corecco e all'attuale Vescovo Torti, prima direttore di Caritas Ticino e poi presidente, oltre che Vicario generale. Infatti le scelte per l'informazione, la rivista, l'emissione televisiva (e la radio che il Vescovo Corecco ci aveva chiesto ma non è stata ancora realizzata) non sono di quest'anno anche se a chi ci segue sporadicamente può anche essere sembrato così. La nuova rivista presentata a gennaio, nuova solo nella forma e nella ristrutturazione dei contenuti raggruppati in 6 finestre, è in continuità perfetta con quanto prodotto negli anni precedenti. Il salto di forma è stato volutamente amplificato per aumentare l'impatto con un pubblico che vogliamo allargare rispetto alla cerchia di fedeli sostenitori che ci hanno seguito fin qui.

La prima osservazione che va fatta riguarda gli statuti di Caritas Ticino, già riportato nell'editoriale del numero precedente, in cui il primo scopertine/copo sancisce in termini inequivocabilmente chiari per non dire imperativi "Informare e sensibilizzare l'opinione pubblica con ogni mezzo di comunicazione sociale sui fondamenti evangelici della diaconia, della carità e della dimensione sociale della fede". Probabilmente c'è una difficoltà per tutti coloro che pensano che Caritas dovrebbe invece occuparsi di distribuire soldi ai poveri come si poteva pensare in situazioni del passato dove era necessario fare anche questo. Ma è spiazzato anche chi pensa a Caritas come a un ente sociale privato di ispirazione cristiana che realizza solo progetti di intervento sociale. C'è un abisso fra quest'idea, ampiamente diffusa oltre Gottardo, e lo "strumento privilegiato per una pastorale della Carità" che Caritas Ticino deve essere, per esplicita richiesta della diocesi.

Troviamo infatti questa formulazione in un documento approvato dai Consigli Diocesani il 6 ottobre '94 dal titolo "Carità e nuova evangelizzazione" (pubblicato su Caritas Ticino Informazioni '94 n.1, pag.11) al punto 3) "Utilizzare la struttura diocesana Caritas Ticino come strumento privilegiato per una pastorale della carità" che così conclude "La pastorale della Carità dovrebbe perciò essere impostata tenendo conto e sollecitando le potenzialità di questo organismo diocesano per il servizio alla comunità, quale meccanismo di ampio raccordo pastorale che, se da una parte non può e non deve sostituire nessuna forma di presenza locale, può tuttavia mettere a disposizione strumenti tecnici sia di intervento, sia di animazione, come pure di amplificazione dando voce a espressioni poco conosciute."

Mi pare che se da una parte è chiaro il mandato per ciò che strettamente si può mettere sotto il cappello della "pastorale della carità", l'opportunità che Caritas Ticino si trova ad offrire ad altre espressione della vita ecclesiale per il solo fatto che dispone di suoi mezzi di comunicazione, non è certo in contraddizione o deve impedire lo sviluppo di tutto ciò che ognuna di queste espressioni può sviluppare a livello di comunicazione.

Le 15/18000 copertine/copie della nostra rivista e l'emissione televisiva del sabato danno voce a tutto ciò che avviene in diocesi e che può essere poi approfondito con mezzi diversi e più adeguati ad ambiti più ristretti, ad esempio con fogli informativi più mirati. Le due forme sono semmai complementari e non certo concorrenziali. E non sarebbe del resto realistico pensare di moltiplicare riviste ed emissioni televisive per una realtà diocesana numericamente paragonabile a quella di un quartiere di una grande città.

Il Vescovo Eugenio aveva lanciato l'idea di una rivista diocesana di cui avrebbe dovuto uscire un numero 0 mai comparso. Sorridendo soddisfatto, sfogliando un numero della rivista di Caritas Ticino fresco di stampa, ancora nella sua versione "rotativa", ci disse un giorno "ecco la rivista diocesana": Non ho interpretato questo complimento, particolarmente gratificante, come la nomina di Caritas Ticino a "organo ufficiale dell'informazione diocesana", ma piuttosto come la soddisfazione del Vescovo perché una delle forze diocesane riuscisse a produrre una vera rivista e questa fosse di fatto uno strumento di pastorale in più a disposizione di tutta la diocesi.

La seconda osservazione di fondo riguarda il termine "Marketing del sociale" che può suonare male parlando di questioni ecclesiali, ma che è, a mio modesto parere, alla base dei fallimenti o delle crisi delle opere socio/caritative, o del loro successo presso il pubblico. Bisogna capire che è veramente finita l'epoca in cui si poteva far opere sociali e caritative occupandosi solo della bontà di queste opere senza preoccuparsi dell'immagine che può essere percepita all'esterno. Il problema della credibilità di un'opera o di un'azione di solidarietà è determinante e funziona grossomodo secondo gli stessi meccanismi della comunicazione che analogamente condizionano la vendita di un qualunque prodotto commerciale: bisogna comunicare e convincere il pubblico. In una società della comunicazione, chi non comunica è tagliato fuori, indipendentemente dalla bontà delle sue idee o delle sue opere. E questo non significa affatto chiedere soldi continuamente giustificandone l'utilizzazione a ogni passo, ma piuttosto promuovere una cultura della solidarietà in generale ritornando periodicamente su progetti e azioni concrete che possano coinvolgere il pubblico. In questo senso dare spazio sulla rivista e nell'emissione televisiva di Caritas Ticino a opere di altri organismi, come ad esempio a opere missionarie, serve a promuovere un'idea di solidarietà e di carità evangelica a tutto campo, che può dare risultati a lunga scadenza sia per le opere missionarie presentate, sia per Caritas Ticino che rende così più credibili indirettamente anche i suoi piccoli progetti all'estero (Romania, Croazia, Colombia ecc.) attraverso la promozione di un'attenzione missionaria più generale nei confronti dei paesi poveri del mondo.

Da un sondaggio dell'anno scorso a livello svizzero sulla percezione che il pubblico ha di Caritas, risultava che il 92% dei ticinesi sa cos'è Caritas Ticino rispetto alla media svizzera che scende al 50% per le altre Caritas. Un risultato lusinghiero dovuto a diversi fattori ma certamente anche alla scelta per l'informazione fatta in Ticino.

Naturalmente sono sempre i fatti che contano: non si potrebbe ad esempio vendere l'immagine di Caritas Ticino attenta ai disoccupati di lunga durata che rischiano maggiormente di essere tagliati fuori dal mondo del lavoro, se Caritas Ticino non avesse creato uno dei più grossi programmi occupazionali della Svizzera con 120 posti di lavoro e con risultati in termini di reinserimento del 30%. Ma realizzare questi progetti e non promuoverne un'immagine credibile presso il pubblico equivarrebbe a soffocarli in breve tempo.

Ma voglio anche spendere qualche parola sulla forma dei mezzi di comunicazione, perché la nuova rivista "patinata" è stata scelta perché così la si legge di più, la si nota e si è invogliati a scopertine/coprire cosa c'è dentro. Non per manie di grandezza, ma solo perché la comunicazione, il messaggio, passa anche attraverso la qualità del "media" e non solo attraverso il suo contenuto. Chi dice o scrive cose geniali con toni e stile noiosi, non sarà né ascoltato né letto. Un'emissione televisiva mal fatta, anche se tratta argomenti interessantissimi, non sarà seguita. E una rivista che finisce per contrabbandare una cattiva qualità di stampa, di carta o di presentazione, con un'immagine di povertà evangelica - a cui siamo stati richiamati nella lettera citata prima -, sarà semplicemente ignorata. Allora perché investire tante energie per farla?

E poi se proprio vogliamo fare bene i conti scopertine/copriamo che a volte fare le cose più belle costa meno di prima. Potrà sembrare incredibile ma la nuova rivista patinata con copertine/copertina a colori, costa meno di quella nella versione "povera" in rotativa dell'anno scorso. Ecco la ricetta: riduzione di tiratura e invio a un indirizzario ridotto e mirato di abbonati, e nuova tassa in abbonamento che compensa ampiamente l'aumento di qualche cents per la stampa. E l'obiettivo è quello di farla leggere più di prima.

La parola a Don Graziano Borgonovo

Nella lettera del 6 febbraio scorso indirizzata ai parroci, ai consigli parrocchiali, alle commissioni diocesane ai responsabili dei movimenti ecclesiali, di gruppi e associazioni cattoliche, il direttore Roby Noris affermava con chiarezza l'obiettivo dell'impegno editoriale e televisivo di Caritas Ticino: "dar voce alla solidarietà e alla vita ecclesiale". E questo per mostrare a tutti, attraverso i mezzi di comunicazione di massa disponibili (anche Internet, certamente!). " I fondamenti evangelici della diaconia, della carità e della dimensione sociale della fede", secondo quanto contenuto negli statuti stessi di Caritas.

Ora (e proprio sulla base di simili obiettivi), perché sorprendersi per alcune pagine della rivista riservate all'ecumenismo? Tenuto conto del fatto che - come ogni anno - la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani cade tra il 18 e il 25 gennaio; tenuto conto del fatto che proprio per la fine di gennaio era prevista l'uscita della rivista; come avrebbe ragionevolmente potuto l'organo informativo di una realtà diocesana animata da tali sacrosante preoccupazioni, trascurare un avvenimento ecclesiale di simile portata? O forse si pensa che tra l'unità della fede e la promozione della carità non vi sia rapporto alcuno?

Stesso discorso dicasi per gli articoli relativi alla morale e alla pastorale familiare o al progetto missionario diocesano. Forse che la famiglia non c'entra con il sostegno offerto a chi è in situazione di maggior bisogno? Forse che la difesa della famiglia non si rivela un compito necessario in una società che pretenderebbe abbattere il fondamento su cui essa stessa si regge? Forse che un concetto vero di "libertà", di "coscienza", di "legge", non riguarda tutti da vicino per l'affronto più responsabile della vita quotidiana?

Non si tratta di far di Caritas "un contenitore diocesano di quanto viene svolto", certamente no. Si tratta invece per tutti di riscopertine/coprire la portata missionaria della propria fede, se Dio ha fatto la grazia di concederla. Perché allora non augurarsi che realtà vive si moltiplichino, anziché rimproverare le poche esistenti di esserci?

La parola a Padre Lino Ciccone

Tenere occhi e cuore bene aperti sulle situazioni di bisogno e di sofferenza delle persone, delle famiglie, della società contemporanea. Questo è compito specifico della Caritas. E, naturalmente, per aprirli poi meglio nell'intera comunità ecclesiale locale, e anche al di là di essa, a donne e uomini di buona volontà.

Da sempre la carità cristiana ha incluso nel suo campo d'azione non solo bisogni e sofferenze materiali, ma anche morali e spirituali. Basterebbe ricordare l'elenco delle "opere di misericordia" del vecchio benemerito catechismo. Il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica non ha ripreso questi elenchi, ma ne ha riconfermato chiaramente la sostanza: "Le opere di misericordia sono le azioni caritative con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali (cf Is 58, 6-7; Eb 13,3). Istruire, consigliare, consolare, confortare, sono opere di misericordia spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza" (n.2447). Vengono quindi prima le opere di misericordia spirituale, e tra queste al primo posto "istruire".

Ce ne era tanto bisogno in passato, quando la maggioranza delle persone era analfabeta. Oggi la maggioranza, anzi la quasi totalità delle persone, nei nostri Paesi, non solo sa leggere e scrivere, ma può dirsi colta. Molti però, a volte con tanto di diploma o di laurea in tasca, sono analfabeti in fatto di religione e di morale. L'ignoranza religiosa è una estesa forma nuova di povertà spirituale.

All'ignoranza si aggiungono spesso errori e pregiudizi. In ogni settore della vita. Quello della sessualità può costituire un esempio illuminante. A prima vista non si direbbe, visto il gran parlare che se ne fa. Visto il cumulo di conoscenze scientifiche che si sono raggiunte e diffuse. Proprio nel nostro tempo.

Ma non c'è da scomodare grandi studi per scopertine/coprire quanto è mutilata e distorta la concezione dominante di sessualità. E' ridotta a nulla più che ad una sorgente facile di intensi piaceri. E' la cosiddetta concezione ludica di sessualità. Sulla ricchezza di valori e di significati della sessualità, domina la più triste a paurosa ignoranza. Conseguenza: tutto appare lecito. Unico limite: non costringere nessuno a compiere o subire attività sessuali contro la sua libera volontà.

Le conseguenze di questo miscuglio esplosivo di ignoranza e di errori sono sotto gli occhi di tutti. Vi rientra anche il crescente numero di matrimoni falliti, con indicibili sofferenze per i due che si erano sposati e per i figli (quando ci sono). Vi rientra la diffusione dell'AIDS, con un altrettanto mare di sofferenze atroci.

Sarebbe davvero miope una carità che si facesse carico solo delle conseguenze e trascurasse le cause. La prevenzione è d'obbligo. Nel nostro caso: dare una mano a quanti si impegnano per dissipare ignoranza ed errori sul significato e i valori della sessualità, è chiaramente opera di autentica carità.

E' solo un esempio. Non si contano i campi in cui la carità cristiana è chiamata oggi ad iniziative analoghe. Si pensi all'immagine caricaturale di chiesa che tanti si portano dentro. E perciò se ne stanno fuori. Mostrare loro il vero volto della chiesa concreta in cui vivono, è smontare pregiudizi, dissipare ignoranza. E' decisamente opera di misericordia spirituale. Non meno preziosa dell'aiutare chi soffre la fame.

La parola a Don Carmelo Andreatta

Rispondo alla sollecitazione di un lettore di Caritas Insieme che ritiene "scorretta" la linea del giornale in quanto quest'ultimo intende appropriarsi di realtà che non gli competono. Nel mentre ringrazio il lettore poiché mi dà l'occasione di riflettere e in fondo di intessere un dialogo costruttivo.

"Caritas" è una realtà che a mio parere va al di là del semplice "sociale", per lo meno del sociale così come viene pensato, concepito e attuato oggi, in genere. Importante è ricuperare il senso profondo del sociale, del modo di fare opera sociale in quanto chiesa, Cristiani dentro la Storia. Il pericolo, infatti, sarebbe quello di crederci socialmente presenti, "a posto", solo perché ci si organizza per i meno favoriti dalla situazione socio-economica: programmi occupazionali, mercatini, campi di lavoro, ecc... Se ci bastasse questo non saremmo "in vocazione", come Caritas, come Cristiani, come Chiesa! La "radice" di questo "fare" è l'"essere": essere saldamente uniti a Colui che ci ha incontrati per primo, salvandoci, svelando La Carità che è il senso, l'Alfa e l'Omega di tutto. In questo flusso di Vita continuo, il rapporto di fede, Carità che ci fa uno con Lui e tra di noi, nasce la cultura cristiana che in sostanza ha altre motivazioni che spingono ad aiutare "le membra di Cristo" che gridano ancora oggi dalla croce, e noi con loro. Il campo di questo "grido", ultimamente ha guadagnato in modo impressionante e tangibile l'interiorità dell'uomo: ci sono non solo nuovi poveri ma anche nuove povertà!

Essere uno strumento che "da voce" a tutto quanto capita nella nostra Chiesa, ricuperando l'integrità dell'opera sociale cristiana (che lo si legge a chiare lettere e non sempre tra le righe, discorso capito solo dagli addetti ai lavori): questo é "Caritas Insieme"... E in tutti i campi, poiché se Caritas si rivolge all'uomo d'oggi, là dove vive, non lo può fare prescindendo da un discorso cristiano sulla famiglia, sul lavoro e l'economia, sul mondo giovanile, tantomeno prescindendo dal campo ecclesiale "nostro" a cui è essenzialmente legata. In definitiva credo che Caritas Insieme desideri concepirsi in modo "nuovo" o meglio, di riappropriarsi del suo specifico. Operazione difficile e non capita fino in fondo o magari capita per niente.

Una seconda considerazione è di ordine... pastorale. Personalmente ringrazio Caritas Insieme che è di stimolo alla Pastorale Giovanile in quanto la invita a raccontarsi! A raccontare la sua storia così com'è, nella sua... integrità: dalla Radice ai Frutti. Da un Campo di Lavoro in Romania, ad esempio, questo lo scrivevo a suo tempo, parecchi giovani son usciti... cambiati poiché, nel lavoro, nella condivisione e nell'amicizia hanno riscopertine/coperto la Chiesa e questa scopertine/coperta e riscopertine/coperta ha dato spinte nuove e più radicali per l'incontro, la condivisione e la solidarietà.

Questo nulla toglie al valore del lavoro di tutti quegli uomini di buona volontà che pur non riconoscendosi in nessuna fede religiosa operano per il bene comune e si battono per un po' più di giustizia e per la dignità umana e coi quali è oltremodo importante mantenere apertura e dialogo per un reciproco arricchimento.

Un terzo ed ultimo appunto. Sono sempre stato felice dell'offerta che Caritas, attraverso i suoi strumenti e le sue competenze, offre ai giovani della Diocesi. L'ha sempre fatto in modo rispettosissimo, senza prevaricazioni, cercando di rispondere alla sua vocazione. Fintanto che non ci sarà una concreta possibilità di uno strumento di comunicazione e formazione proprio alla pastorale giovanile, ben venga "Caritas Insieme". Ma quand'anche si riuscisse ad approntarlo, Caritas rimarrebbe un punto di riferimento da assolutamente non perdere!

La parola a Franco Ferrari

L'assemblea della Conferenza Mis- sionaria della Svizzera Italiana invita regolarmente i suoi dirigenti a far conoscere maggiormente l'attività della stessa e a tenere aggiornata la nostra gente sui progetti missionari diocesani. Caritas Insieme, con le sue 18'000 copertine/copie rappresenta un mezzo importante per conseguire questo obiettivo ed è quindi per rispondere a questo mandato che ho inviato un mio contributo sui progetti missionari, apparso nell'ultimo numero della rivista. In questo modo penso di aver potuto raggiungere parecchie persone che non ricevono il bollettino Info della CMSI che il segretario Piergiorgio Tettamanti prepara regolarmente con molta diligenza. Temere che così facendo si finisca con delegare a Caritas tutto quanto avviene a livello ecclesiale in Ticino, mi sembra voler andare troppo lontano.

In ogni modo, personalmente, ritengo che giungere ad avere un'unica rivista, ben curata, che funga da contenitore delle diverse attività che si svolgono in Diocesi sarebbe un passo importante e necessario, sia dal profilo qualitativo che finanziario, che potrebbe anche aiutare, infine, a un miglior coordinamento delle stesse ed ad un'informazione più ampia. La CMSI per la stampa e la spedizione del suo Info, pur modestissimo nella forma, nel 1995 ha speso quasi 15'000 franchi. Se facessimo un calcolo di quanto si spende per i diversi bollettini informativi in diocesi, vedremmo subito che l'operazione sarebbe pagante, anche con una veste tipografica piacevole.