Non spegnete i riflettori
L’appello del direttore della Caritas Italiana don Elvio Damoli sulla situazione in Mozambico

A cura di Marco Fantoni



A due mesi dalle alluvioni che hanno colpito il Mozambico, abbiamo ripreso un’intervista apparsa sul quotidiano
italiano l’Avvenire raccolta da Fabio Carminati, al direttore di Caritas Italiana don Elvio Damoli, che si è recato nel Paese africano durante lo scorse mese di aprile.

"La cosa che mi ha fatto più impressione? Il fatto che tutte le organizzazioni umanitarie internazionali si siano già ritirate dal Mozambico". Don Elvio Damoli, direttore della Caritas Italiana, è da poco rientrato da Maputo. Ha visitato le zone più disastrate, ha visto i danni provocati da oltre quattro settimane di pioggia e dal passaggio del ciclone. Ha anche incontrato i missionari, gli operatori locali e ha garantito di tornare "perché la nostra testimonianza di aiuto è anche quella di far capire alla popolazione la nostra vicinanza".

Ma che Paese ha trovato, a due mesi dall’emergenza?
Un paese prostrato, quasi rassegnato alla mancanza di attenzione da parte dell’Occidente forse perché lì non ci sono risorse minerarie, non ci sono diamanti, non c’è il petrolio ...

Dopo le prime fasi, dopo le ../../../../ choc in TV, l’Occidente sembra però aver spento i riflettori...
Questo black out preoccupa e impressiona. Impressiona per l’estrema fragilità e debolezza del Mozambico che non so se possa avere da solo le capacità per riprendersi. A Maputo ho trovato ancora interi quartieri invasi dall’acqua: prosciugano con le motopompe e poco dopo l’acqua ritorna, perché la falda freatica si è alzata. Ho visto centinaia di bambini nei barios giocare nell’acqua stagnante. E ora il pericolo di epidemie è altissimo: colera e malaria sono in aumento ovunque, soprattutto nelle zone più sperdute e lontane dalla capitale. Eppure, c’è la voglia di ricominciare. I segnali ci sono, anche se il governo sta ancora gestendo la fase dell’emergenza, di ricostruire se ne parla soltanto.

Ma gli aiuti internazionali?
L’unico esempio di ricostruzione programmata dal governo l’ho vista nella zona di Magnonine alla periferia di Maputo; lì lavora anche la Cooperazione italiana che è tra le più attive. Stanno ricostruendo il barrio per 1221 famiglie in una zona risparmiata dalle alluvioni: lì il governo regala, con tanto di atto notarile, piccoli appezzamenti di terreno per costruire case e orti.


E nel resto del Paese?
Non ho visto nulla a Choque, nulla a Xai-Xai che è stato l’epicentro del dramma. Il governo, per il momento, può solo sfamare gli sfollati, offrire loro assistenza soprattutto attraverso le Ong e le Caritas locali. A Choque, per esempio, ci sono 80mila sfollati: arrivano gli aiuti e vengono gestiti direttamente dalla Caritas che sfrutta anche le strutture ramificate dei missionari. È un esempio molto bello di fiducia.

Il ruolo della Chiesa nell’emergenza è stato quindi importante?
Un esempio basta per tutti: a Choque le suore Vincenziane gestivano un ospedale con 80 malati di Aids e Tbc. Quando è arrivata la piena li hanno portati tutti sul campanile e sul tetto della Chiesa. Il pilota dell’elicottero, giunto in loro soccorso, aveva l’ordine di portar via solo le suore. Loro non si sono mosse: prima i malati hanno detto. E l’elicottero se n’è andato vuoto. Il giorno dopo sono tornati e solo quando l’ultimo malato è stato fatto salire, anche loro hanno preso posto sull’elicottero.


La Caritas italiana ha già stanziato 200 milioni per le prime necessità e ora continuano gli aiuti per il Mozambico. Dove saranno destinati?
Ci inseriremo nel progetto della Caritas internazionale, che coordinerà gli interventi attraverso la Caritas locale e quella spagnola per le fasi della riabilitazione e dello sviluppo. Ogni Caritas sceglierà un tassello di questo mosaico e lo seguirà direttamente.

Il pericolo è che vi troviate soli?
Non vorrei che si spegnessero i riflettori sul Mozambico o sul Madagascar che ha subito danni e che rischia forti epidemie. E se anche dovesse mancare l’aiuto dei Paesi più ricchi, mi auguro che ciò non avvenga almeno da parte dell’opinione pubblica e dei cristiani in particolare. Perché, se ciò avvenisse, sarebbe una grande ingiustizia nei confronti di un popolo che prima ha sofferto per la guerra e ora per le alluvioni. Popolo di un Mozambico che ha dovuto raccogliere anche i disastri provocati dalla gestione di fiumi e dighe da parte di nazioni vicine come il Sudafrica o lo Zimbawe.

Da questa intervista emerge, come già successo in passato, come le catastrofi siano ricordate soprattutto quando i mass-media inviano ../../../../ in tutto il mondo, per poi affievolirsi col passare del tempo, mentre i danni rimangono. Emerge però anche una speranza nei confronti dell’opinione pubblica e dei cristiani in particolare che non dimenticano la solidarietà anche a telecamere spente.
Ricordiamo che anche Caritas Svizzera è intervenuta in soccorso delle vittime della catastrofe con un sostegno di Fr. 500’000 oltre a distribuire alle famiglie semenze ed attrezzi per tentare di assicurare la prossima semina e la successiva raccolta.