Servizio 
  civile come scuola di umanità
  Mano solidale o pugno armato?
  
  A cura di Alessandro Marcoli
  
  
  
  Caritas Ticino intende il servizio civile non come un lavoro alternativo 
  al servizio militare, ma come una scuola d’umanità.
  
  Meno di quattro anni dopo l’entrata in vigore della prima 
  legge "civile" sul servizio civile, circa 5000 giovani 
  svizzeri hanno deciso di scegliere questa strada in alternativa al servizio 
  militare. Caritas Ticino intende il servizio civile non come un lavoro alternativo 
  al servizio militare, ma come un’occasione per creare una società più accogliente 
  e attenta ai bisogni delle persone in difficoltà. Servizio civile, insomma, 
  da intendere come scuola d’umanità.
  Il servizio civile offre ai giovani che per vari e variegati motivi hanno scelto 
  questa strada, la possibilità d’entrare in contatto con delle realtà spesso 
  difficili e a loro sconosciute. In questo modo si favorisce il loro sviluppo 
  umano, dimostrando contemporaneamente la validità dell’alternativa "servizio 
  civile". Si tratta di servire il proprio paese e d’aiutare gli altri tendendo 
  la mano e non il pugno.
  
| INDIRIZZI 
        UTILI: | 
| IL SERVIZIO CIVILE IN BREVE CHI: COSA: QUANDO: QUANTO: L’AUDIZIONE: Una volta inviati tutti i documenti che formano la domanda d’ammissione, il richiedente viene convocato a Berna per l’audizione. L’audizione si svolge alla presenza di tre persone designate ad ascoltarlo e a verificare l’esistenza di un conflitto di coscienza. I tre membri della commissione sono scelti fra un centinaio di persone nominate sulla base della loro formazione, esperienza e maturità. L’audizione, che dura circa un’ora, si svolge nella lingua nella quale è stata redatta la domanda d’ammissione. Dopo l’audizione, la commissione formula una proposta di decisione alla Divisione del servizio civile. La decisione definitiva sarà notificata al candidato circa tre settimane dopo l’audizione. | 
  
  TRE TESTIMONIANZE DI SERVIZIO CIVILE A CARITAS TICINO
  The Times They Are A-Changin’
di Alessandro 
  Marcoli 
  
  
  Per lungo tempo il servizio militare ha fatto parte della vita di ogni cittadino 
  svizzero come la cioccolata, le vacche e gli orologi a cucù. Negli ultimi anni 
  la mentalità è però cambiata: gli orologi sono ormai di plastica e le vacche 
  sono diventate viola. Addirittura c’è chi dice che la cioccolata è più buona 
  all’estero.
  Anche l’intoccabile, intangibile, imprescindibile servizio militare ha oggi 
  un’alternativa, quella del servizio civile. Il rapporto fra i due ‘servizi’ 
  è quantomeno paradossale. Uno, quello civile, è svolto da pochi e serve a tutti, 
  l’altro, quello militare, è svolto da tutti e serve a pochi (e qualcuno mi spieghi 
  il nesso fra l’aiuto in caso di catastrofe e l’acquisto delle armi più moderne!). 
  A mio parere il chiasmo evidenzia bene la vera differenza fra questi due modi 
  di servire la patria. Il servizio civile offre la possibilità di rendersi utili 
  per gli altri qui e subito, e non domani nell’eventualità di una guerra da combattere 
  chissà dove e chissà contro chi.
Caritas Ticino intende il servizio civile non come un lavoro alternativo al servizio militare, ma come una scuola d’umanità.
Ogni 
  anno oltre venticinquemila giovani non scelgono e si ritrovano immersi per quattro 
  mesi della loro vita fra ordini inoppugnabili, piedi doloranti e battaglie finte 
  fra indiani e cow-boy nelle praterie delle nostre alpi. Altri, più furbi (ma 
  probabilmente meno belli), preferiscono dichiararsi non idonei al servizio militare 
  simulando, umiliandosi in improbabili blenorragie e raptus suicidi. Altri ancora 
  credono che l’idea che tutti i cittadini s’impegnino, una volta nella vita, 
  a favore di tutti, sia un concetto nobile e da difendere, per questo scelgono 
  il servizio civile.
  Oggi siamo oltre mille ragazzi a lavorare nei vari istituti d’impiego, soprattutto 
  associazioni ed ospedali. Le impressioni che ho raccolto sono favorevoli. Personalmente 
  sono contento della mia scelta perché ogni giorno sento di fare qualcosa di 
  utile agli altri e a me stesso. Addirittura credo che sia maggiore quello che 
  ricevo rispetto a quello che riesco a dare. Non credo che la mia vita si svolgerà 
  nell’ambito di un’associazione, ma sono felice di fare un’esperienza all’interno 
  di una di esse. Vivo quotidianamente in contatto con realtà di cui sapevo l’esistenza 
  ma che non conoscevo assolutamente.
  Non ho mai avuto l’ossessione di diventare un "vero uomo", e non ho 
  mai creduto che uno stanzone puzzolente ed un fucile m’avrebbero aiutato. Voglio 
  però crescere, ed in questo la scelta di fare il servizio civile m’aiuta.
  Non mi resta che consigliare a tutti questa esperienza. Non si tratta di una 
  scelta da sognatore, anzi, si tratta di scegliere di vivere la realtà rifiutando 
  una piccola parte in un grottesco film di guerra.
  
  
  Il perché di una scelta
di 
  Andrea Paganini
  
  
  Quando sono stato chiamato alla leva non esisteva ancora in Svizzera il servizio 
  civile. Ho quindi assolto la scuola reclute e un paio di corsi di ripetizione 
  prima di poter chiedere, dopo l’introduzione della nuova legge, di prestare 
  un servizio civile alternativo a quello militare. La mia scelta, quindi, non 
  è basata su un "pregiudizio", ma su un giudizio che viene dalla mia 
  esperienza personale.
  Durante il servizio militare i superiori hanno ripetutamente messo alla prova 
  la nostra responsabilità tecnica di fronte alle armi, ma mai quella etica (forse 
  perché non si può uccidere in modo responsabile?), come se la coscienza, per 
  un militare, non fosse importante. Mi sono perciò sempre rifiutato di sparare 
  contro sagome umane, anche solo per esercizio.
  Sono contrario all’uso della violenza e delle armi per motivi etico-morali. 
  Nella mia scala dei valori la vita umana è molto più preziosa di tutti gli interessi 
  che possono nascondersi dietro alla volontà di condurre una guerra. La violenza 
  infatti - e la storia, a mio sapere, lo sta a testimoniare - i conflitti non 
  li ha mai risolti; semmai li ha accumulati, inaspriti o sotterrati per vederli 
  poi riesplodere in modo inatteso e incontrollato.
L'idea che tutti i cittadini s’impegnino, una volta nella vita, a favore di tutti, è un concetto nobile da difendere
Credo in 
  un Dio che fonda il suo messaggio non sulla paura, ma sull’amore. E questo Dio 
  ci propone il perdono, di porre l’altra guancia, di amare i propri nemici e 
  - in ogni caso - di non uccidere. Credo in un’umanità che può riscattarsi dagli 
  orrori che, certo, ha commesso. Aborrisco quindi rispondere agli orrori con 
  gli orrori. Credo in un dialogo che può portare all’unità rispettando le diversità, 
  credo nella possibilità di un mondo migliore. Sta a noi fare dei piccoli passi 
  per poterlo costruire. Utopia? No. Idealismo, forse.
  Conosco molte persone di vari paesi europei e di altri continenti. La vita di 
  ognuno di loro per me non vale meno di quella dei miei connazionali. Quindi, 
  anche in un’ipotetica guerra di un paese qualsiasi contro la Svizzera, con quale 
  diritto mi accaparrerei la facoltà di privare della vita un essere umano, solo 
  perché viene da un altro paese?
  Poi - anche avendo una ragione per intervenire - sembra che la guerra, "inutile 
  strage", non la vinca mai chi ha ragione, ma unicamente chi ha più cannoni. 
  Già questo ragionamento puramente razionale mi spinge a far di tutto per uscire 
  dalla spirale che si basa sul concetto del più armato, del più disposto a mettere 
  in campo una maggior dose di violenza. Mi sprona ad impegnarmi, nel mio piccolo, 
  perché possa maturare un modo di affrontare i problemi più civile e più rispettoso 
  della dignità dell’uomo, e tutti i giorni, in piccole esperienze, vedo e mi 
  convinco sempre di più che è possibile.
  Per questo non ho voluto sostenere con la mia attività una struttura organizzata 
  per condurre una guerra, per uccidere altri esseri umani (che poi ufficialmente 
  - e machiavellicamente - questo sia il mezzo o il fine, per me, fa poca differenza). 
  Sono invece convinto dell’importanza dell’alternativa del servizio civile. "Si 
  vis pacem, para bellum" dicevano i romani; io credo che tra gli antichi 
  romani e noi siano avvenute novità importanti e, dopo 2000 anni di cristianesimo, 
  si dovrebbe poter dire: "se vuoi la pace, prepara la pace". La pace 
  non è soltanto assenza di guerra, è soprattutto un clima sociale nel quale ogni 
  uomo può condurre un’esistenza in armonia con la società in cui vive. Tutto 
  ciò richiede anche un certo sacrificio nella vita quotidiana dei singoli, un 
  atteggiamento di servizio che, a suo modo, può dare ciascuno. Spero, con il 
  mio servizio civile, di poter contribuire, pur in modo modesto, a fare qualche 
  cosa di utile in questo senso per il mio paese.
  
  
  L'opportunità 
  
  di Stefano Keller
  
  
  Marco venne colto completamente di sorpresa quando, quella 
  lontana mattinata primaverile, fu raggiunto da un’inattesa comunicazione recante 
  quale mittente un famigerato "Organo regionale per il servizio civile". 
  In questa breve lettera veniva invitato a prendere parte a una giornata informativa 
  sulla possibilità di poter prestare un servizio alla collettività. Da 
  alcuni anni ormai, l’obbligo militare, che in passato era imposto indiscriminatamente 
  a tutti, era stato trasformato in un servizio facoltativo di pubblica utilità.
  Marco era un giovane diciottenne di buone speranze, all’apparenza molto simile 
  ai suoi compagni coetanei. In quel determinato periodo della sua vita era ad 
  ogni modo un po’ confuso su quello che avrebbe voluto fare negli anni a venire. 
  Inoltre, siccome da lì a poco avrebbe terminato il suo tirocinio quale falegname, 
  era parzialmente impensierito dall’incombente impegno rappresentato dagli esami 
  finali.
Più di 1’000 persone ogni anno scelgono un impegno alternativo al sevizio militare.
Il 
  padre di Marco era stato ufficiale nell’esercito ai tempi della milizia, ed 
  era dichiaratamente intenzionato ad indirizzare anche suo figlio verso un’esperienza 
  che ricalcasse la sua. Rispetto al passato però, per poter intraprendere carriera 
  militare era necessaria una particolare predisposizione e una spiccata attitudine 
  al comando e all’azione.
  L’esercito elvetico era composto quasi interamente da persone molto ben formate 
  e con solide basi culturali che si occupavano della formazione e dell’addestramento 
  militare in maniera professionale in ogni suo aspetto. Era quindi estremamente 
  difficile riuscire a far passare le proprie ragioni, specialmente quelle di 
  carattere etico-morali, per poter ambire ad un posto nelle forze armate.
  Come già accennato in precedenza, Marco non era ancora molto convito su quali 
  fossero le sue reali vocazioni, era comunque interessato a farsi dare maggiori 
  informazioni sulle opportunità professionali che lasciava intravedere il nostro 
  esercito. Alla giornata informativa ricevette parecchie indicazioni utili e 
  convincenti, decise così di sua spontanea volontà di voler contribuire attivamente 
  alla difesa del suo Paese. A seguito di questa sua decisione fu sottoposto da 
  una commissione di sociologi ed esperti militari a un duro colloquio nel quale 
  dovette sostenere fermamente le proprie argomentazioni.
  Una volta accertata la sua idoneità a poter prender parte alle forze armate, 
  Marco, prima di iniziare il suo periodo formativo presso l’accademia, fu inizialmente 
  invitato a svolgere un mese di stage presso una caserma militare. Entusiasta 
  di questo primo contatto con l’esercito il giovane Marco si iscrisse all’accademia 
  militare e concluse con successo il lungo periodo di formazione.
  Marco, padre di due figli e felicemente sposato, è oggi considerato uno dei 
  massimi strateghi militari nel mantenimento della pace e nell’aiuto in caso 
  di catastrofi naturali.
  
  
  
  IL SERVIZIO CIVILE
   SECONDO GLI ESPERTI 
  
  Luca Buzzi: mancanza d’informazione
Luca Buzzi, da anni 
  impegnato nella difesa dei diritti degli obiettori di coscienza, rileva come 
  ci sia una sostanziale mancanza d’informazione riguardo al servizio civile. 
  In pratica i giovani diciottenni che s’apprestano ad iniziare la scuola reclute 
  non sono a conoscenza della possibilità di servire la patria in un modo alternativo. 
  Oppure, chi decide di svolgere un lavoro di pubblico interesse al posto del 
  servizio militare, non è informato sulle modalità d’ammissione.
  Il servizio civile è previsto e regolato da una legge federale (LSC), aggiunge 
  Buzzi, in questo senso sarebbe opportuno che si facesse tutto il possibile per 
  far conoscere questa possibilità ai giovani. In realtà s’osserva "una certa 
  reticenza, da parte dell’autorità militare, ad informare dettagliatamente sul 
  servizio civile". Non si parla di servizio civile, o lo si fa sommariamente, 
  né in occasione delle serate informative per i diciottenni organizzate ovunque 
  sul territorio, né al momento del loro reclutamento.
  Quali sono le cause di questa cautela? "Probabilmente - continua Buzzi 
  - c’è ancora un’atavica diffidenza nei confronti del servizio civile, che d’altronde 
  l’autorità militare non ha mai gradito". In questo senso va letto, secondo 
  Buzzi, il tentativo d’introdurre la possibilità di scelta fra servizio militare 
  e protezione civile, il cui obiettivo recondito è quello d’"eliminare il 
  servizio civile". "Il messaggio contenuto nell’obiezione di coscienza, 
  vale a dire l’idea che per risolvere i conflitti e promuovere la convivenza 
  pacifica si possano fare opere non violente o in ogni caso delle opere di solidarietà, 
  può dare fastidio a chi insiste nel sostenere che soltanto l’esistenza dell’esercito 
  e le spese folli che esso comporta, sono garanzie per la pace".
  E’ dunque importante, conclude Buzzi, far conoscere l’esistenza del servizio 
  civile e le positive esperienze vissute dai giovani che l’hanno svolto. Inoltre 
  potrebbe essere utile informare su quanto avviene all’estero, in modo da sfatare 
  quest’idea negativa del servizio civile.
  
  
  Barbara Simona-Dauchy: rendere credibile il coraggio
  
  Barbara Simona Dauchy è stata avvocato difensore di molti obiettori della Svizzera 
  italiana durante gli anni dei processi militari. Oggi fa parte della commissione 
  che si occupa d’esaminare le domande d’ammissione al servizio civile. Si perché, 
  sottolinea Barbara Simona Dauchy, oggi in Svizzera non c’è ancora la possibilità 
  di fare una libera scelta fra servizio militare e servizio civile. "La 
  libera scelta è stata proposta in vari modi ma il popolo l’ha sempre rigettata 
  nel corso delle votazioni. Quindi - continua - è entrata in vigore questa legge 
  che prevede che colui che desidera prestare un servizio civile in alternativa 
  a quello militare, deve rendere verosimile il proprio conflitto di coscienza". 
  In altre parole il candidato deve esporre le ragioni profonde che gli impediscono 
  di svolgere il servizio militare. Lo può fare parlando delle sue letture, dei 
  suoi interessi, delle sue idee sulla vita o sull’esercito.
  Il candidato è "libero nella sua esposizione e viene aiutato dai commissari 
  ad esprimere il suo conflitto interiore". Barbara Simona Dauchy è sicura 
  del fatto che chi vive effettivamente un conflitto di coscienza nell’affrontare 
  il servizio militare non avrà problemi ad essere ammesso al servizio civile. 
  I dati le danno ragione, visto che circa il novanta per cento delle domande 
  presentate alla commissione d’ammissione al servizio civile viene giudicato 
  favorevolmente.
  E’ possibile cambiare la mentalità della gente su questa tematica? Evidentemente 
  più persone decideranno di presentarsi all’audizione per essere ammessi al servizio 
  civile, più la società si renderà conto dell’esistenza di un’alternativa intelligente 
  al servizio militare. In questo senso l’audizione rappresenta una possibilità 
  di dimostrare, con i fatti e non solo a parole, di volersi impegnare in prima 
  persona per il cambiamento. "Se aumenta il numero di obiettori di coscienza, 
  continua Barbara Simona Dauchy, essi potranno partecipare maggiormente alla 
  formazione della coscienza pubblica come tante altre persone o gruppi religiosi, 
  di pensiero o politici, che svolgono un ruolo fondamentale nella formazione 
  del pensiero della società". In questo senso l’obiezione di coscienza "è 
  un atto di coraggio e una testimonianza indispensabile affinché si facciano 
  dei progressi in questa società".
  
  
  Alberto Wohlgemuth: ou de l’optimisme
  
  Il colloquio non è un’inquisizione e certamente 
  non è un processo militare. La commissione deve cercare di capire se ci sono 
  gli elementi perché si possa intravedere l’esistenza di un conflitto di coscienza". 
  Questo, in sintesi, è il compito della commissione. "Al candidato - prosegue 
  Wohlgemuth, dell'organo centrale del servizio civile - si chiede di presentare 
  le sue riflessioni, di presentare la sua persona e di rispondere a delle domande 
  poste allo scopertine/copo di far emergere quegli elementi di coerenza che indicano l’esistenza 
  di un conflitto di coscienza".
  Il problema potrebbe porsi allorché il candidato non dispone dei mezzi retorici 
  o della maturità necessaria per esternare le sue riflessioni e le sue conclusioni. 
  Anche in questo caso però è preciso compito della commissione "adattare 
  le domande, le riflessioni, gli approfondimenti alla persona che si trovano 
  di fronte". In ogni caso non si chiede al candidato "né di essere 
  un grande oratore, né di essere una persona estremamente capace o impegnata", 
  semplicemente si cerca di capire se il candidato si presenta all’audizione avendo 
  riflettuto a fondo sulla propria decisione di rifiutare il servizio militare. 
  In ogni caso, conferma Wohlgemuth, "il giovane che ha fatto le sue riflessioni 
  ed espone alla commissione il suo problema di coscienza ha la certezza di essere 
  ammesso al servizio civile".
  La mentalità della gente e l’opinione generale nei confronti del servizio civile 
  sembrano evolvere rapidamente. Coloro che s’impegnano nel servizio civile non 
  sono più considerati individui pericolosi che s’oppongono alla società. Il fatto 
  che molti di loro svolgono un servizio civile in istituti ed in associazioni, 
  permette a tutti di confrontarsi e apprezzare chi ha idee diverse e per tanti 
  versi innovative. "La mia esperienza con gli obiettori di coscienza - conclude 
  Wohlgemuth - mi permette d’affermare che la stragrande maggioranza di loro e 
  composta da persone che hanno riflettuto a fondo la loro posizione e soprattutto 
  ho l’impressione che si tratta di gente capace e volenterosa".