TRA SOCIALE e cultura

Di Roby Noris



Facciamo il sociale per fare cultura, facciamo cultura per fare il sociale. Un po’ sessantottino, da maggio parigino, è lo slogan in mezzo a montagne di libri bianchi che riempiono gli otto metri per quattro dello stand di Caritas Ticino alla Primexpo 2000. Fare il sociale è il compito di Caritas Ticino e significa occuparsi di povertà, cercando di vincerla nelle battaglie quotidiane con le singole persone che ci chiedono un aiuto, oppure attraverso progetti che affrontano il tema della povertà con uno sguardo più ampio. Ma non si può costruire una società migliore senza fare cultura.

Montagne di vecchi libri inutilizzabili, pitturati di bianco, incollati, che disegnano un plastico gigantesco in cui ci si può addentrare e sedersi per sfogliare altri libri, questi ultimi da leggere e da portare a casa. I libri come oggetti che si possono trovare "a montagne" nei mercatini di Caritas Ticino, ma soprattutto come simbolo di cultura, come segno tangibile della necessità di comunicarci quel patrimonio straordinario di cui ogni essere umano e l’umanità tutta possono disporre: la conoscenza, il sapere. Dalla matematica alla letteratura, dalla filosofia alla ricerca del senso della vita, dalle scopertine/coperte sui meccanismi del funzionamento cellulare all’evoluzione dei modelli di stato sociale nelle società avanzate, dalla rilettura degli errori del percorso dell’umanità ai tentativi di costruire le condizioni per non cascarci di nuovo.

La povertà generalmente non piove dal cielo ma è il risultato di errori e condizioni sbagliate che coscientemente o no, sono state poste. E comunque esiste sempre la possibilità di intervenire cercando di incidere e di modificare anche le situazioni più compromesse e drammatiche. Tutto però comincia con la coscienza della propria responsabilità di fronte agli altri, anche se non sappiamo che faccia abbiano, tutto comincia con la coscienza della nostra possibilità di costruire una cultura della solidarietà che cambia radicalmente le prospettive anche se il cammino sembra infinito. Tutto comincia con la convinzione che siamo pontenziali artefici di una cultura della speranza, che non ha nulla a che vedere col sentimentalismo, l’altruismo e la commozione facile, ma è la base per cambiare i rapporti economico-sociali-politici che permettono tutte le aberrazioni e le degenerazioni che l’umanità impazzita è capace di produrre. Dalla fame, allo sfruttamento sessuale dei bambini fino alle asettiche manipolazioni genetiche. Tutto ciò che tentiamo di mettere in atto per spazzare via queste assurdità non avrà nessuna efficacia se non è inserito in un progetto più ampio di costruzione di una cultura della speranza. Per provare a dire e ridire queste cose mandiamo in onda Caritas Insieme tutte le settimane, facciamo questa rivista e abbiamo incollato una tonnellata di libri alla Primexpo.