Da Sigrid Undset a Sant'Olav

Di Patrizia Solari



La finestra Santi da scopertine/coprire in questo numero è dedicata a un Santo norvegese. Abbiamo voluto rimanere nell'atmosfera scandinava che caratterizza tutta questa rivista all'insegna del "progetto Sigrid Undset per una reale parità nella vita professionale" in occasione del cinquantesimo della morte della grande scrittrice norvegese, convertita al cattolicesimo.
La figura di Sant'Olav è presente in tutti gli scritti sul Medioevo di Sigrid Undset; Sant'Olav infatti è colui che ha portato la cristianità in Norvegia.
Magistrali sono le descrizioni di migliaia di pellegrini che andavano a Nidaros a venerare il Santo; un pellegrinaggio che, per gli abitanti del nord, equivaleva a Satiago de Compostella o a Roma.

Quando mi è stato detto che, dati i temi trattati dalla rivista nel numero di luglio, il santo da presentare sarebbe stato necessariamente Olav di Norvegia, ricordato nel calendario il 29, la mia reazione è stata: - Non so una virgola di questo santo! - Ma mi sono lasciata sorprendere! E più mi addentravo nella documentazione procuratami direttamente da Oslo, più il personaggio mi affascinava. Confesso che le notizie che seguono non sono che un pallido riflesso della figura di questo santo, vichingo e re. Come sempre un assaggio, sperando di risvegliare la curiosità dei lettori.

Re Olav di Norvegia (1) morì in battaglia il 29 luglio del 1030 a Sticklestad, vicino a Nidaros. Due anni prima aveva dovuto fuggire dalla Norvegia e rifugiarsi sull’isola Gotland: l’aristocrazia norvegese si era opposta alla sua politica e in seguito aveva proclamato re, Knut (Canuto) di Danimarca, già combattuto dallo stesso Olav.

Avvicinarsi a questo personaggio, in bilico tra storia e saga, pone alcune questioni che interpellano le nostre idee su che cosa siano i santi: Olav era stato un capo Vichingo e, dopo essersi convertito al cristianesimo, aveva imposto con le armi la fede in Cristo e le norme di comportamento radicate nel cristianesimo. Jon-Sigurd, uno dei vescovi con i quali Olav aveva collaborato nella diffusione del cristianesimo, aveva tentato di rendere più miti i suoi "metodi missionari", senza molto successo. Ma l’estensore di una delle vite che abbiamo consultato, padre Olav Müller, ci rende attenti al rischio di giudicare con lo stesso metro epoche storiche diverse.
La figura di re Olav, nelle sue contraddizioni, ci mostra, ancora una volta, come la santità non dipenda prima di tutto da una coerente moralità, ma dalla tensione verso l’adesione piena al dono della Grazia. È solo nel XVIII secolo che certa agiografia ci presenta i santi come figure un po’ melense ("sugar-sweet saints: santi zuccherosi" è il termine che trovo nel testo ...), ripulite da ogni traccia di peccato. In realtà la perfezione è stata raggiunta dai santi a prezzo di aspre lotte, riconoscendo fino all’ultimo i propri limiti e tradimenti.


Vichingo, re e santo

Alcune date della vita di Olav appartengono alla saga dei re norvegesi e non possono essere confermate da altre fonti. Ad esempio il 990, data della sua nascita, o il 1002, della sua partenza dalla Norvegia per aggregarsi ai Vichinghi che in seguito (1009-1011) assaltano Londra e Canterbury. Anche la data del suo battesimo a Rouen è approssimativa: il 1013. Nel 1015 Olav ritorna in Norvegia e, per incredibile fortuna, riesce a catturare uno dei suoi più acerrimi nemici, Haakon, figlio dell’usurpatore Erik-jarl, al quale però fa salva la vita con la promessa che abbandoni la Norvegia e non combatta mai contro di lui in battaglia. Dopo aver combattuto il re di Svezia, nel 1019 (?) ne sposa la figlia e i due re concludono così la pace. In seguito, alleato con il cognato Anund, diventato a sua volta re di Svezia, combatte con qualche successo il re di Danimarca, Knut. Ma nel 1028, Knut prende il potere e Olav è esiliato. Nell’estate del 1030, aiutato dagli svedesi, Olav ritorna alla testa di un esercito, per riconquistare la Norvegia, ma, come abbiamo visto in apertura, in una battaglia decisiva cade, colpito a morte.
Già nell’agosto del 1031, per il ricordo delle vicende del re, della sua morte e dei miracoli che si compirono sulla sua tomba, il vescovo Grimkel decretò la sua venerazione come martire.
Sul luogo dove era morto sorse una cappella in legno che, nel 1075 fu sostituita da una chiesa in pietra. Più tardi a Nidaros (oggi Trondhjem) fu edificato il duomo, in cui vennero custodite, dentro un magnifico sarcofago d’argento, le sue reliquie, che già prima, nella modesta cappella di legno, erano state meta di numerosi pellegrinaggi.
Il duomo di Nidaros rimase, durante tutto il Medioevo, il santuario più famoso della Norvegia e di là si sparse largamente il culto del santo. A partire dalla Riforma ci fu poi un lungo periodo di repressione e solo recentemente il culto ha potuto riprendere più liberamente e il giorno di sant’Olav è stato ripristinato in Norvegia come giorno di festa nazionale.
L’importanza storica di Olav per la Norvegia rimane grandissima: non soltanto è considerato come l’organizzatore della Chiesa nel paese, ma come il primo legislatore e nello stesso tempo il fondatore del regno per avere schiacciato lo strapotere degli jarls, i capi dei clan locali, e averli costretti all’obbedienza, e per aver condotto una politica che mirava all’unità nazionale. Olav aveva capito, meglio di quanto non lo capiamo noi oggi, ci dice ancora padre Olav, che costruire l’unità del regno corrispondeva a costruire la Cristianità. Inoltre sappiamo che Olav non considerò la diffusione del cristianesimo in Norvegia una questione nazionale: il suo obiettivo era il collegamento con la Chiesa universale.


L’incontro con il cristianesimo

Durante il suo soggiorno in Normandia, terra conquistata dai Vichinghi norvegesi e danesi nell’881, Olav ebbe modo di paragonare la sua religione pagana con quella di Cristo e delle sue schiere di angeli. La questione decisiva era sapere quale tra gli dei fosse il più potente. Anche il pagano Olav era attratto dal desiderio di infinito, di verità, di amore e di bellezza e così il paradiso di cui gli parlavano i cristiani di Rouen, accessibile a tutti, anche alle donne, agli schiavi e alla gente umile, gli apparve più grande in confronto ai cieli del Valhalla, dove anche gli dei sarebbero tutti periti nella battaglia finale di Rangnarokk. E per di più la vita di Cristo era possibile in una società civile, chiamata Chiesa cattolica. E il più grande capo dell’esercito di Cristo era il Papa di Roma e nuovi cavalieri erano conquistati dai vescovi tramite la predicazione e i sacramenti. A un guerriero come Olav questa realtà deve certo essere apparsa molto attraente: accettò la fede cristiana e fu battezzato a Rouen.

Chi erano i Vichinghi?

L’epoca Vichinga si estende dal 790 al 1050. I Vichinghi provenivano dalla Norvegia occidentale: erano grossi coltivatori o capi locali, abituati a vivere bene, banchettando con abbondanza. Ma le risorse, nei villaggi sovrappopolati della costa, erano scarse e così furono iniziate spedizioni nelle terre vicine durante la bella stagione, per poi godersi il bottino per il resto dell’anno.
A poco a poco, a causa delle coraggiose imprese contro altri Vichinghi o contro la flotta regolare, si diffuse la fama di questi guerrieri. Ma quando un enorme numero di Vichinghi norvegesi, ai quali si erano uniti i danesi e gli svedesi, formando la Grande armata, faceva le sue incursioni, non si accontentava certo soltanto di sbarcare: conquistavano le terre e fondavano città. E questo avvenne in Francia, Irlanda, Inghilterra, Islanda e nelle isole dell’Atlantico. Le invasioni dei Vichinghi erano temute per la loro crudeltà e gli storici norvegesi hanno tentato di mitigare la cattiva reputazione dei Vichinghi, spiegando che si riscontravano simili metodi di guerra anche in altre parti dell’Europa.Comunque sia, bisogna riconoscere ai Vichinghi la loro enorme forza fisica e psichica, la loro audacia, la loro volontà di vittoria e la loro abilità tecnica e organizzativa.

1) Le notizie sono tratte da:
- Bibliotheca Sanctorum, Vol. IX, Roma 1967
- Müller, Olav - Saint Olav King of Norway, Oslo 1993
- Henriksen, Vera - St, Olav of Norway, Otta 1985


La Norvegia che Olav trovò quando vi ritornò per essere incoronato re era divisa in clan famigliari che si combattevano tra di loro e vendicavano le uccisioni dei loro membri fino all’ultimo sangue. E questo non tanto per una ragione morale, quanto per il fatto che l’uccisione di un membro del clan minava la forza dell’intera famiglia.
Ci voleva un re potente, che potesse organizzare il regno e difenderlo dalle invasioni, provvedendo alla pace e all’ordine. Ma questa unità del regno minacciava il potere dei vari capi e così si preferiva avere piuttosto un re straniero che delegasse il potere ai capi locali. Di conseguenza la transizione dalla società dei clan a una società unificata si prolungò fino al XIV secolo e per il re Olav, che prese Carlomagno come suo modello, non fu impresa facile combattere per questa unità.

Dall’Inghilterra Olav portò con sé quattro vescovi: il più significativo di loro nell’opera di organizzazione della Chiesa cattolica in Norvegia fu Grimkjell, suo strettissimo amico. Attorno al 1020 fu indetto un sinodo sul modello di quello anglosassone, dove si riunirono delegati del vescovo e del re. Con esso fu istitutita la legge della Chiesa, che fu poi adottata da sud a nord nelle assemblee locali. Da notare il fatto che il corpo delle leggi fu chiamato "Legge di Sant’Olav", tanto fu importante la figura del re nella coscienza del popolo.
La legge regolava il comportamento del popolo cristiano e introduceva nuove norme, come ad esempio l’obbligo di mantenere in vita i neonati e di non esporli nei boschi se deformi; il riscatto annuale degli schiavi; la proibizione della poligamia; la severa punizione di chi commetteva rapine o stupro; l’astinenza dalla carne il venerdì e il digiuno per sette settimane prima di Pasqua. La transizione da queste regole imposte a una conversione interiore si è svolta sicuramente sull’arco di varie generazioni e l’applicazione della legge della Chiesa non mancò di suscitare l’opposizione dei capi-clan. Ma Olav reagì con determinazione: coloro che non si sottomettevano alla legge della Chiesa ne subivano le conseguenze, con la perdita della vita e di ogni proprietà e ciò era applicato a tutti, senza distinzione di rango. Sicuramente questo rigore fu una delle cause che portò all’uccisione del re nella battaglia di Stiklestad.

Questi fatti potrebbero apparire inconciliabili con le considerazioni che facciamo nel riquadro e che pure riteniamo fondate. Non possiamo approfondire qui questa tematica. Forse la questione dovrebbe essere affrontata da uno storico che ci aiuterebbe a riflettere sulle differenze tra le varie modalità di diffusione del cristianesimo in epoche diverse.


Raffigurazioni e leggende

A volte sant’Olav viene rappresentato con in mano un boccale o un calice. Questa raffigurazione ha la sua origine nella leggenda secondo cui, sulla strada per andare a Stiklestad - luogo dell’ultima battaglia del re - essendo assetato, gli fu presentato un boccale contenente acqua benedetta dal vescovo. Quando il re avvicinò le labbra al boccale, l’acqua si mutò in birra e Olav non volle berla, perché quel giorno era digiuno; allora gli venne offerto del miele (sic), che il re rifiutò ancora. Quando, per la terza volta, gli portarono dell’acqua, questa si tramutò istantaneamente in vino che il re bevve soltanto dopo il permesso ricevuto dal vescovo. L’antica abitudine nordica di fare lo skal - che si riteneva portasse obbligazione religiosa con gli dèi e con gli avi - era chiamata minnesdrickning (= bevuta del ricordo). Nelle feste religiose del Medioevo nordico si faceva skal per la Trinità, per la Madonna e per i santi, e si venne così acquisendo l’abitudine di bere anche per sant’Olav.
Altre volte Olav è rappresentato con un’ascia, che indica il suo martirio o ancora con una nave, che ricorda la leggenda della gara fatta con il fratello Harald, che navigava su una velocissima nave detta "Serpente". Olav, malgrado avesse una nave più pesante detta "Bue", vinse la gara, perché era cristiano e Dio aveva compiuto il miracolo.
Un’altra cosa da ricordare è che l’urna d’argento, ornata di pietre preziose, contenente le reliquie del santo, oltre che essere portata in processione il giorno della festa, doveva essere portata ad Öreting, poco lontano da Nidaros, per la cerimonia di elezione dei re norvegesi, come simbolo della collaborazione tra la Chiesa e il potere civile.

Ancora su San Gottardo e sulla conoscenza dei Santi

Ho potuto consultare, grazie ancora alla signora Stefania Kuehni-Corecco, un piccolo testo del 1893, scritto dall’allora parroco prevosto di Intragna, don Giuseppe Chicherio: la traduzione dal latino con commento della vita di San Gottardo. Ecco cosa dice dapprima nella dedica: "Ai miei parrocchiani d’Intragna. Eccovi, Carissimi, un povero dono, pegno dell’immenso affetto ch’io vi porto, e del bene sommo che vi desidero. Esso è una succinta storia della Vita del nostro glorioso Patrono S. Gottardo. A chi meglio che a voi potrei dedicarla? Stanteché voi avete pel vostro Santo sì bella e tenera devozione, e deste a me e date continuamente tante prove di figliale amore. Così vedete com’io abbia speso per voi anche i pochi momenti che mi rimanevan liberi dalle opere del parrocchial ministero. Gradite dunque la mia povera offerta e l’augurio sincero che vi faccio per ogni bene più eletto del Cielo e le gioie della fraterna pace."
Nell’introduzione ai lettori spiega come, pregato da una pia persona di stampare una novena in preparazione alla festa del Santo, rovistando tra i libri e le carte della biblioteca parrocchiale, avesse trovato un manoscritto latino, risalente, pare, al 1600, dal titolo: "Vita, obitus et miracula S. Godheardi Episcopertine/copi Hildesiensi", cioè vita morte e miracoli del vescovo di Hldesheim, scritta sulle tracce di reputati autori. "Lettolo mi parve bello e mi venne pensiero di tradurlo. (...) Dirò nondimeno che, conservato l’ordine e la sostanza dei fatti esposti nell’autografo, ho lardellato la traduzione d’alcune mie osservazioni (...)." E qui arriviamo a un’interessante indicazione che ci pare valida anche per noi: "Non parrebbero questi i tempi di scrivere e stampar vite di santi, ricche di miracoli cui il mondo fa il niffolo. E pure non la è così: le meraviglie della divina grazia, che ne’ santi sfolgoreggiano di luce celestiale, vogliono essere pubblicate; e per ciò appunto che il secolo è tristo, hassi a raccontargli le grandi virtù degli eroi della religione, affinché non ne smarrisca pur anco l’idea, e con nobili esempi confonderlo della sua infingardaggine e corruttela."
In altre parole: abbiamo bisogno di belle persone da guardare, affinché il nostro modo di essere sia attirato, affascinato. La moralità infatti scaturisce non da una serie di regole, ma dal fascino per qualcuno.
E chissà che il gustoso libricino possa essere rimesso in circolazione, per la gioia degli attenti estimatori ...