Una giornata di studio alla Scuola cantonale degli operatori sociali
Il rapporto tra le generazioni


Il 12 giugno scorso si è svolta a Mendrisio, presso la Scuola degli Operatori Sociali (SCOS), una giornata di studio sul tema del rapporto fra le generazioni. Era l'inizio di un percorso che, dopo alcuni incontri seminariali, prevede uan giornata conclusiva nel mese di novembre prossimo.

Abbiamo posto alcune domande a Patrizia Solari, responsabile del settore Formazione permanente alla SCOS e nostra collaboratrice.

D: Come è nata l'idea di questo ciclo di incontri?

R: La SCOS ogni anno, nel suo programma di Formazione permanente, oltre ai seminari su temi specifici e ai cicli di specializzazione indirizzati a categorie particolari di operatori, propone anche alcune giornate su temi di ampio respiro, rivolte a tutti gli operatori sociali interessati.
Quest'anno l'idea è partita dal Rapporto della commissione federale "Anziani in Svizzera", presentato a Lugano lo scorso autunno. In questo rapporto, che viene elaborato a scadenze regolari, sono contenute varie raccomandazioni e tra queste si parla della necessità di un rinnovato patto intergenerazionale.
Quello del rapporto tra le generazioni è un tema che si presta a molte rappresentazioni di segno opposto: dal constatare una grossa difficoltà nella sua effettiva realizzazione, a un pensare con nostalgia a tempi passati, all'idealizzare le possibilità reali di scambio, oltre naturalmente al livello che riguarda i diritti/doveri di ciascun cittadino...
Ci è sembrato allora utile prestare attenzione a questa tematica, nell'intento di raccogliere dati significativi e utili all'impostazione di un intervento socio-educativo che permetta a ciascuno di diventare attore nella rete di rapporti che costituiscono la sua realtà di vita.
La questione tocca vari aspetti che vanno dal micro al macro-sociale, come si dice in gergo. Così abbiamo proposto un avvicinamento progressivo alle varie sfaccettature del tema, passando da uno sguardo ampio di taglio culturale - il rapporto tra le generazioni nella cultura ebraico-cristiana, presentato da don Azzolino Chiappini - a un livello economico-politico - aspetti del patto intergenerazionale nella realtà odierna, con Mimi Lepori Boneti - e sociologico - ridefinizione delle generazioni e ruolo della famiglia nel mediare il rapporto tra le generazioni, con il dott. Francesco Belletti -.
Sono state poi trattate, come introduzione ai lavori seminariali, tre questioni particolari: l'intervento sociale tramite la comunità, le problematiche presenti in culture diverse e l'approccio autobiografico come mezzo di conoscenza e approfondimento della realtà intergenerazionale. Infine sono state proposte due esperienze di incontro tra le generazioni, fatte in collaborazione con l'Associazione Ticinese Terza Età (ATTE) e altri operatori: una con bambini di scuola elementare e l'altra con ragazzi di scuola media. Infine è stata presentata in grandi linee un'indagine svolta nel luganese sul tema del volontariato con persone anziane.

D: Che considerazioni si possono fare sulla base dei contributi di questa prima giornata?

R: L'affronto di questo tema mette sicuramente in gioco molti aspetti del modo col quale si affrontano le questioni sociali. Infatti i molteplici spunti emersi avviano piste di riflessione che si agganciano alla questione della continuità dello Stato sociale, al tipo di professionalità e di competenze richieste agli operatori sociali, ai valori sui quali fondare la convivenza e ai canali di trasmissione di questi valori. E' chiaro: i valori non si trasmettono in modo astratto, ma passano attraverso l'incontro e il rapporto tra le persone. Un relatore faceva notare che il "sapere" delle vecchie generazioni non è più interessante per le nuove. Si tratta però del "sapere" intellettuale, delle conoscenze circa, per esempio, l'uso delle nuove tecnologie. Ma c'è un altro tipo di sapere, che è quello della vita quotidiana, delle competenze nell'affronto dei problemi correnti, che viene ancora giocato all'interno del rapporto tra le persone, anche se grosso è il rischio di delegare ai professionisti o agli "esperti" le risposte alle domande sul "come fare".
Il racconto delle esperienze, oltre che essere un segno di fatti che avvengono, potrà servire da stimolo per correggere il tiro laddove il rischio è quello di rinforzare rappresentazioni non corrispondenti alla realtà, per imparare a vedere e ad offrire l'arco più ampio possibile di opportunità e di realizzazioni.
In queste giornate poi, un aspetto interessante e che dovrebbe essere elaborato meglio, è l'incontro di professioni e competenze diverse - operatori di vari settori e con responsabilità diverse, docenti, ricercatori - : sarebbe opportuno poter scambiare di più i vari saperi in vista di una presenza più incisiva, ciascuno nella sua realtà di lavoro.

D: Quali sono gli aspetti più interessanti e originali che vorrebbe sottolineare?

R: Penso che alcuni aspetti che si possono sottolineare sono i seguenti: da una parte la necessità di reimparare a dare un significato alle esperienze per poter capire quale sia la risposta più adeguata, che non è mai una risposta standardizzata. Importa sempre dare attenzione alla persona storica e alle circostanze nelle quali vive.
Una seconda cosa, che riguarda direttamente gli operatori sociali e la loro formazione, è che si devono mettere in discussione le modalità con le quali si opera. Infatti si deve passare da un lavoro di erogazione di servizi o di prestazioni a un lavoro di mediazione, che susciti le risorse presenti, tra cui la capacità di rapporto tra le generazioni e lo scambio di aiuto e sapere quotidiano. Bisogna imparare ad diventare creatori di occasioni e di opportunità, affinché ciascuno possa riappropriarsi delle sue potenzialità, magari scopertine/coprirne di nuove e, in ogni modo, accogliere quello che l'altro gli può offrire. Forse non si troveranno soluzioni ottimali o secondo un modello ideale "perfetto", ma sicuramente si raggiungeranno risposte soddisfacenti, perché condivise dalle parti in gioco.
In relazione a questa seconda sottolineatura c'è la questione dello spazio e del tipo di dinamica da mettere in opera tra terzo settore, reti primarie di aiuto, servizi statali e non statali. Forse è un aspetto che, partendo dal tema in oggetto, emerge solo indirettamente o può essere considerato come conseguenza pratica delle riflessioni più strettamente antropologiche, sociologiche o psicologiche, ma anche economiche.
E' fondamentale ridiscutere il concetto di "bene comune" o di "bene relazionale", per citare il prof. Donati, e capire di più come il benessere della nostra società e la risposta alle nuove povertà non possano essere "ridotti" a un incremento di reddito o di moneta circolante, ma consistano anche in benefici di altro carattere, appunto beni relazionali, che vanno poi a ripercuotersi positivamente sulla questione dei reali costi o risparmi cui lo Stato deve prestare attenzione. Ma mi sembra che su questa rivista si siano aperti il dibattito e la riflessione proprio su questo tema.

D: Come detto, quello di giugno è stato il primo di una serie di incontri. Ci può dire qualcosa riguardo al seguito?

R: Nel mese di ottobre saranno trattati in forma seminariale due temi che erano stati introdotti nel corso della prima giornata: uno è la questione del rapporto tra le generazioni nelle culture dell'emigrazione, con la dott.ssa Graziella Favaro di Milano, e l'altro, la prospettiva di intervento della "community care", con il dott. Fabio Folgheraiter di Trento.
La giornata conclusiva è prevista per il mese di novembre e riprenderà alcuni aspetti del tema, con il contributo di relatori ticinesi, svizzeri e italiani. Sono previste poi ancora alcune testimonianze su esperienze fatte in vari ambiti del Canton Ticino.
Il programma dettagliato di questa giornata verrà diffuso nel mese di ottobre. Per informazioni ci si può sempre rivolgere alla Scuola cantonale degli operatori sociali (091/646.03.93).
Si prevede poi di raccogliere il materiale delle giornate di studio in un quaderno che sarà disponibile nei primi mesi del prossimo anno.