Da Caritas Insieme TV
Vocazione: un'affare di tutti i giorni

Testimonianze di amore vissuto nel quotidiano

A cura di Dani Noris


Un sacerdote, una madre di famiglia, un candidato diacono permanente e un seminarista, raccontano l'irruzione del mistero di Dio nella loro storia.

Un dibattito vivace e ricco di spunti ha caratterizzato il nostro modo di celebrare la Giornata delle vocazioni, dallo studio televisivo di Caritas Insieme.
Abbiamo pensato di riproporre un estratto (emissione del 27/28.4.96) di questo squarcio di speranza dalle colonne della rivista, per richiamare l'attenzione sul gusto di chi legge la vita come una risposta ad una chiamata di Dio.
I protagonisti erano don Giuseppe Bentivoglio, sacerdote, parroco e assistente alla formazione di Caritas, Fausta Gianella, madre di famiglia, Massimo Cascianini, candidato diacono e padre di tre figli, Claudio Mazzier seminarista.
Dalla loro testimonianza, stimolata dalle domande di Dante Balbo, nostro collaboratore, emerge un quadro della vocazione cristiana certamente non ristretto alla chiamata al ministero sacerdotale o alla professione religiosa, ma investe la ricerca di senso di tutti noi, giovani o adulti, per trovare "un posto al nostro cuore".
Claudio Mazzier: la mia vocazione é nata circa 5 anni fa, quando lavoravo in Svizzera Interna. In quel periodo vivevo una crisi della fede, mi ero allontanato molto dai valori cristiani e mi son fatto quelle domande ultime che ci si pone quando ci si trova in crisi. Poi ho cercato delle risposte ed é da allora che ho cominciato a leggere la Bibbia. Le risposte però non mi soddisfacevano pienamente. Mi sono riavvicinato anche alla Chiesa, mi sono rimesso a pregare, ad andare a Messa regolarmente e riflettendo su queste esperienze, che si succedevano nell'arco dei mesi e degli anni mi sono accorto che tutto questo non era casuale. Diciamo che gli occhi mi sono stati aperti anche un po' da un prete italiano, che ho conosciuto nella Svizzera Interna, al quale avevo raccontato questa mia esperienza e lui mi aveva detto: 'Mah, Claudio sei sicuro che magari il Signore non ti stia chiamando, sei sicuro che il Signore non abbia bisogno di te?' e mi disse: 'Riflettici, riflettici'. E prima di salutarci quella sera mi aveva detto anche: 'E' possibile che vivrai una ribellione'. Io mi sono messo a riflettere su queste mie esperienze, cioè se questo desiderio di rincontrare il Signore, veniva effettivamente da una chiamata, da una vocazione. Quando scopertine/coprii questo ho tentato di ribellarmi, mi chiedevo: Io? Sacerdote io?, lavoro nel ramo della metalmeccanica, come posso entrare in seminario, come potrò un giorno mettermi davanti ad un altare a predicare. I freni che cercavo di porre alla chiamata del Signore. Con il tempo (il tutto é durato circa 5 anni), ho capito che questo non era qualcosa che mi faceva fare degli enormi sacrifici ma che mi realizzava proprio fino in fondo, che rispondeva a quei desideri del cuore, quella voglia di infinito che, da sempre, l'uomo si porta dentro. Le grandi domande che mi ero posto cominciavano a trovare delle risposte sempre più chiare, mai completamente esaurite e che per questo mi spingono sempre di più alla ricerca della verità e ad andare sempre più in profondità nella vita cristiana.

Don Giuseppe Bentivoglio: devo dire che se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Quello che é accaduto tanti anni fa, è una vocazione che é cascata addosso senza che io avessi mai avuto in mente una cosa del genere. Non é mai stato, per quanto mi riguarda, un progetto che ho pensato di realizzare, ma é stato subito un accorgermi che questa era la strada che dovevo intraprendere. Mi sono accorto che questo era ciò che il Signore mi chiedeva e in un certo senso, mentre pensavo alla faccenda mi ritrovavo anche in questa faccenda. E' una sensazione un po' strana, come se qualcuno dovesse dire: io questa cosa non l'ho voluta e pensata, é accaduta, però mi ritrovo bene in questo fatto che accade e che accadrà successivamente.

Fausta Gianella: anch'io in fondo, come don Giuseppe, mi sono ritrovata in una situazione che non ho cercato. Studiavo architettura e pensavo che solo sposando un architetto mi sarei realizzata: mi piaceva molto questa professione. Invece ho conosciuto mio marito che studiava medicina, mi sono sposata che eravamo ancora studenti, dopo un anno ho avuto la mia prima bambina. Dopo un anno e mezzo é arrivato il secondo, dopo tre anni é arrivata la terza e io vedevo che la mia laurea di architettura stava ammuffendo piano piano, attaccata ad un muro.
Con mio marito avevamo pensato di realizzare un focolare cristiano ma ecco in qualche modo ci siamo un po' caduti dentro. Ci siamo sposati, abbiamo avuto i bambini e pian piano cominciava a realizzarsi qualcosa che non avevamo cercato. Almeno io ho avuto qualche ribellione, qualche sofferenza. Vedevo mio marito che cominciava a lavorare, a guadagnare, io invece a casa sempre coi bambini: é arrivato il quarto, il quinto, il sesto figlio. Ecco che si definiva un progetto sulla mia vita che io avevo accettato, ma non avevo pensato così ampio, così grande. Insomma adesso ho nove figli, l'ultima figlia ha sconvolto di nuovo tutti i nostri progetti, tutti i nostri piani.
Questa é la volontà di Dio, questa é la mia vocazione, adesso l'ho realizzato bene, l'ho capito bene, anche perché se tornassi indietro, come don Giuseppe, rifarei quello che ho fatto. Ma é stato bello in fondo non scegliere. E' stato bello assecondare un certo disegno, con tutta la mia libertà.

Dante Balbo: perché una certa vocazione e non un'altra?
Perché chiamata? uno non può fare quello che vuole secondo voi?

Don Giuseppe Bentivoglio: l'esistenza é un dono perciò noi rispondiamo tutti a questo dono, dentro al dono esiste poi una specificazione interiore, per cui uno sceglie di diventare sacerdote, un altro invece si sposa e via dicendo. Dentro questa specificazione diventa ancora più chiaro che tutta l'esistenza dell'uomo é risposta a Dio, perché é Dio che dona la vita, che ha un progetto su di te. Questo progetto non é una violenza, ma é la strada nella quale la persona ritrova se stessa. il nodo della vicenda é questo. Certo che se uno continua a pensare di essere padrone assoluto della vita, non capisce cosa c'entra la vocazione.

Fausta Gianella: io penso che ciascun uomo abbia una vocazione. Dio ha creato ciascuno con un certo compito, con un certo desiderio. il problema sta nel fatto che le persone non hanno un rapporto con Dio tale per capire cosa Dio vuole da loro. Le persone invece che riescono ad instaurare un rapporto con Dio, come da Padre a figlio, come un Padre che ti conduce per mano dicendoti: guarda tu adesso fai questa scuola, tu adesso potresti andare a giocare al pallone ecc... Il bambino si sente guidato perché si sente amato e fa queste cose, oppure propone delle altre cose insieme al papà. Insomma il figlio comincia a camminare nella vita con libertà, perché lo fa accompagnato da un padre che lo ama. Se si riesce ad instaurare con Dio un rapporto così, veramente da figlio di Dio, uno si interpella, trova dei momenti di incontro con Dio, trova dei momenti personali di silenzio, di preghiera. E così costruisce, si realizza, é felice, é libero, é veramente libero.

Dante Balbo: la crisi delle vocazioni in Europa, quindi, da quanto dite voi, sembra piuttosto una crisi di identità, una confusione che investe la persona globalmente, tanto più per una scelta così definita, come quella di farsi prete o suora.

Claudio Mazzier: manca quella disponibilità nel vigilare e nel rivalutare continuamente, riflettendo sulle proprie esperienze. Questo é sintomo anche di una società e di una gioventù che si perdono un po' nel vago, smarrendo quei significati che danno senso alla vita.
Magari ci sono tanti giovani come me che sono chiamati dal Signore, ma quando non c'é la disponibilità del cuore ad aprirsi, la vocazione cade nel vuoto.

Don Giuseppe Bentivoglio: mancano i preti, magari qualche convento rischia di chiudere e via dicendo. Ma esiste una crisi anche della famiglia, è una crisi di vocazione, anche quella. Questi due problemi hanno la stessa causa. Cioè che la persona non concepisce la sua esistenza come risposta consapevole e libera a Dio. Dio visto non come despota ma come Padre, per cui il figlio ritrova sé stesso nel rapporto con Lui. Se non si concepisce così l'esistenza é chiaro che non esiste vocazione come risposta, e perciò una quotidiana responsabilità e una crescente libertà, ma come scelta arbitraria che ciascuno fa condizionato dalle mode dei tempi e dalle voglie del giorno. Il problema giovanile é legato a questo. Perché la crisi giovanile di cui si parla avrà tante ragioni, tante cause, tanti aspetti, ma la radice é che il ragazzo non capisce il senso della sua esistenza e perciò é disorientato, va in tutte le direzioni, Alla fine non ha riferimenti di alcun genere, se non quelli appunto, che il potere culturale intende dare. Il potere culturale ha strumenti sofisticati per condizionare le nuove generazioni.
Come cristiani dobbiamo fare con chiarezza una testimonianza, dobbiamo offrire un'alternativa a questa cultura dominante. Essere chiari nel dire che il senso della vita esiste e bisogna perciò interrogarsi su di esso, che la felicità non dipende dalla realizzazione dei progetti personali ma dalla riscopertine/coperta di un rapporto costruttivo, quello con Dio.

Dante Balbo: la vocazione é un'esperienza particolare che ci conduce in una strada nuova. Su questa strada ci sono delle persone, degli aiuti, degli incontri o é un'esperienza tutta personale fatta di riflessioni, di meditazione?

Claudio Mazzier: io credo che sia proprio il Signore che ti vuole mettere su una certa strada e su questa strada ti fa incontrare le persone da lui scelte per aiutarti a riflettere.
Sono convinto che l'incontro che ho fatto con quel sacerdote italiano e con il gruppo giovanile subordinato alla sua Parrocchia, mi sia stato buttato sulla mia via dal Signore.

Massimo Cascianini: ho la sensazione che il progetto di Gesù sia sempre passato in qualche modo dalla necessità assoluta che gli altri si incontrino. E' sempre stato un voler formare un gruppo, voler formare l'insieme della Chiesa, perché l'uomo riconosca in questo rapporto il bisogno che ha in effetti del rapporto perfetto che é quello con Dio.
Io ho bisogno degli altri perché gli altri mi confrontano, mi guidano, mi sostengono sia poi in questo o in quell'altro aspetto della Chiesa. Proprio perché nell'altro io ho scopertine/coperto spessissimo la presenza di Gesù, la presenza di Dio.
Ho l'impressione che difficilmente la mia vocazione si sarebbe formata senza la vicinanza degli amici.

Fausta Gianella: l'incontro deve essere significativo nel senso che la persona che risveglia in un amico, in un giovane il riconoscimento della vocazione deve essere una persona che ha il coraggio di mettersi nella vita degli altri, magari di entrare nell'intimità di qualcuno, che vedi inquieto, che vedi infelice. Ma questo non é facile, perché ognuno si fa i fatti propri.
L'obiezione più grande alla vocazione é l'individualismo, di cui oggi sono malate le persone, siamo malati tutti d'altronde.
Questo ci riconduce ad un altro aspetto fondamentale, cioè il fatto di non poter ripiegare su di te, di non poter contare solo su di te, cosa che invece é il pensiero comune.
Questo riporta alla necessità di essere capace di obbedire e fare delle rinunce cioè di fare della tua vita un'offerta, e di dire: la rimetto nelle mani di qualcuno, di Colui che me l'ha data, non la posseggo.

Dante Balbo: a proposito di rinunce, a vostro avviso è vero che un cristiano che accetta una vocazione deve rinunciare alle gioie della vita? Questo sembra il pensiero corrente, soprattutto per i sacerdoti, ma anche per gli altri.

Claudio Mazzier: qualsiasi scelta della vita implica una qualche rinuncia. Per esempio un calciatore che ha la partita la domenica, dovrà rinunciare a stare in discoteca fino alle 4 del mattino.
Questo, d'altra parte, é stato il nodo centrale attorno al quale si é aggirata tutta la mia ribellione alla chiamata. Ma in una rinuncia, c'é sempre qualcosa d'altro che viene valorizzato e questo nell'esperienza quotidiana, a un no che si dice, corrisponde sempre un sì. Ho detto no ad avere una famiglia mia, valore in cui credo profondamente, ma per andare incontro ad una famiglia più grande che é la Chiesa. Dovrò rinunciare ad un certo tipo di vita: divertimenti con gli amici ecc., ma questo verrà compensato da una vita più contemplativa dove si comincia ad intravedere più da vicino il mistero di Dio

Dante Balbo: Perché i preti non si divertono?

Don Giuseppe Bentivoglio: si, si divertono, ma non nel senso che diamo alla parola. C'è un'allegria anche al di là delle difficoltà che magari in certi momenti ti mettono una maschera di tristezza addosso, ma in fondo il cuore é lieto. Se il cuore resta lieto hai la possibilità di divertirti. Non il divertimento inteso come dimenticanza di sé, vedi discoteche, che non mi sembra
costruisca più di tanto. Con la letizia del cuore, a noi il divertimento é assicurato. Cioè si gode di più delle cose anche più piccole.

Dante Balbo:Quindi rispondere alla vocazione é rispondere ad un cammino di felicità?

Massimo Cascianini:un uomo è infelice perché ha perso il suo cuore, corre vagando cercandolo, e più lo cerca nel posto sbagliato e più lo perderà. Quando, invece, uno sa dov'é la propria vita e dove ha messo il proprio cuore, cioè in una storia d'amore, famiglia o vocazione religiosa, non ha perso niente, ma ha trovato il senso del suo esistere. E' libero, é sereno, può affrontare anche la sofferenza e le malattie perché il suo cuore sa dov'é.