Abbiamo un 29

 

Di Roby Noris

 

 

In copertine/copertina l’autoritratto di Alice, una pittrice portatrice di handicap che comunica in modi diversi da quello verbale a cui siamo abituati. Interrogativi sui modi di comunicare che in questi giorni mi sembrano di attualità per certi versi persino drammatica.

America under attack è il titolo che la CNN ha avuto 24 ore su 24 sullo schermo per tre giorni dopo la tragedia di New York, sostituito poi con american’s new war. Alcuni giorni di immagini incredibili e di continui aggiornamenti scritti e parlati. Se la guerra del golfo era stata mediatizzata con pochissime immagini che sembravano virtuali - qualche puntino bianco su un improbabile sfondo notturno verde - questa volta la realtà ha avuto il sopravvento sull’immaginazione. I crolli di Indipendence Day e di Godzilla o l’Empire che precipita in Armageddon sono stati ampiamente superati dalle immagini televisive in diretta dell’11 settembre. Manatthan, uno degli angoli del mondo più affascinanti dal punto di vista architettonico è stato colpito proprio nel cuore del suo splendore, una follia che ferisce ogni abitante di questo pianeta. Uno scossone per tutti; fino all’11 settembre appalto della finzione del filone cinematografico apocalittico, il mostro è uscito allo scopertine/coperto per una rappresentazione senza precedenti. Il non senso, l’assurdo della morte in diretta secondo scenari nuovi, non più quelli della guerra fra popoli e nazioni ma gruppuscoli che sfidano l’umanità intera, la chiamano a raccolta imponendo lo spettacolo demenziale di morte e distruzione che i satelliti ci hanno permesso di seguire in una arena planetaria gremita all’inverosimile.

Dal profilo della comunicazione me-diatica abbiamo in-franto nuove frontiere: un aereo dirottato e lanciato contro un grattacielo-simbolo con l’obiettivo preciso di attirare il pubblico del mondo e, 18 minuti dopo, quando metà pianeta era sintonizzato lo spettacolo ha avuto inizio seguendo un copertine/copione delirante. “Niente sarà più come prima” hanno dichiarato in molti a New York, ma nemmeno altrove. Le follie di cui la storia dell’umanità è costellata hanno avuto anche punte di efferatezza maggiore ma per quanto riguarda i meccanismi della comunicazione nessuno ha mai potuto neppure lontanamente avvicinarsi o emulare quanto sarebbe avvenuto all’inizio del terzo millennio un 11 settembre qualunque. Soprusi e violenza, guerre e genocidi sono spettacolo quotidiano dei nostri TG ma essere di forza chiamati tutti ad assistere increduli e impotenti a una America under attack non è solo cosa da CNN.

Qualche mese fa accompagnavo mio padre in ambulanza e mentre chiacchieravo con l’autista, dal retro, l’infermiere ci ha interrotti dicendo di mettere la sirena e dopo poco ha chiesto di avvisare l’ospedale perché “abbiamo un 29 naca 6”. Non ho chiesto spiegazioni ma ho intuito che per mio padre era la fine della corsa. All’arrivo al pronto soccorso una dottoressa gli ha preso la mano e gli ha detto “adesso farà un lungo viaggio”: un gesto di grande umanità, quasi solenne.

Sotto alle Twin Towers davanti a milioni di spettatori increduli sono morte migliaia di persone a cui nessuno ha potuto dire altrettanto.