Poveri: il tesoro della Chiesa
Dal 20 al 26 agosto il tradizionale pellegrinaggio diocesano a Lourdes con il Vescovo. La testimonianza di chi da anni si impegna in questa opera pastorale

A cura di Dante Balbo



Un’attività consueta della Diocesi di Lugano, assume un significato particolare nell’anno giubilare: è il pellegrinaggio che ormai da molti anni si organizza verso Lourdes.

Abbiamo intervistato Don Erico Zoppis, che a Lourdes è un veterano, Maria Antonia Lehmann, responsabile di un settore particolare del gruppo Ticinese, i "foulards gialli", Ivo Pellegrini, responsabile dell’associazione Ospitalità che si occupa della formazione e dell’organizzazione del personale volontario in servizio durante i cinque giorni della trasferta ai piedi dei Pirenei.

Vi proponiamo una parte dell'intervista televisiva realizzata nello studio di Caritas Insieme.

D: Nell’anno del Giubileo non si può non parlare di pellegrinaggio ...

Don Erico: Certamente quest’anno, andare in pellegrinaggio a Lourdes assume un carattere particolare. Sappiamo che uno dei punti fondamentali del Giubileo è anche il pellegrinaggio (in Terra Santa, a Roma, a Compostella, a Lourdes o nei grandi centri). Già il popolo ebreo faceva il pellegrinaggio verso Sion, verso Gerusalemme. Per cui noi, riprendendo il Giubileo già dall’esperienza ebraica, abbiamo inserito proprio questo "andare", lasciare la terra per partire alla ricerca di Dio. Il pellegrinaggio assume sempre questo senso della ricerca di Dio, nel cammino di conversione, per diventare "nuovi". Questo dovrebbe essere lo scopertine/copo del Giubileo.

D: Per un sacerdote, partecipare a un pellegrinaggio, in fondo, fa parte un po’ degli "attrezzi del mestiere" ... Ma voi, laici, come siete coinvolti in questa esperienza di Lourdes?

Maria-Antonia Lehmann: È comunque l’esperienza della vita, perché la nostra vita è un cammino. Noi lo viviamo quella settimana in modo più intenso recandoci a Lourdes, riunendoci con le altre persone che magari durante l’anno vivono nella diocesi in parrocchie diverse, in gruppi diversi.

A questo si aggiunge una dimensione speciale, la più arricchente del nostro pellegrinaggio: vivere questi giorni con gli ammalati e servirli.

D: Non c’è il rischio di alimentare illusioni miracolistiche, smentite regolarmente dai fatti, coinvolgendo i malati in quest’esperienza?

Don Erico: È capitato qualche volta anche a me, soprattutto nei primi pellegrinaggi (non ero ancora assistente degli ammalati), di andare pensando che forse si sarebbe visto qualche miracolo. Poi, quando mi sono trovato a confrontarmi con la sofferenza e ho visto soprattutto gli ammalati prima di partire, durante il pellegrinaggio e dopo, ho capito perché i malati vanno a Lourdes. Vanno magari con nel cuore, prima di tutto, la loro sofferenza, sia fisica che morale, anche con il desiderio della guarigione; ma soprattutto, da molti anni a questa parte, vedo che la maggior parte dei malati vanno per attingere forza, per attingere nuova speranza, per attingere il coraggio di continuare a vivere la loro realtà di sofferenza e di malattia anche come "offerta".

D: Per andare a Lourdes, secondo voi, bisogna essere malati?

Ivo: In fondo, forse, siamo tutti un po’ ammalati. Qualcuno è ammalato nello spirito e si reca nella Città di Santa Bernardetta per chiedere al Signore di aiutarlo nelle proprie sofferenze e difficoltà; altri sono malati fisicamente e sono, per così dire, "la perla" del pellegrinaggio.

D: Maria Antonia, come vivono i ragazzi il pellegrinaggio di Lourdes?

Maria Antonia: Quattro volontari, oltre al loro lavoro normale di infermiere o di brancardier si assumono la responsabilità di accompagnare i ragazzi per far vivere loro in modo più pieno i vari momenti, mostrando loro cosa significa il pellegrinaggio, qual è il messaggio di Lourdes, come si può partecipare alle funzioni, e aiutandoli ad incominciare una piccola esperienza di volontariato mettendosi a disposizione degli altri per l’animazione delle funzioni, per l’organizzazione della festa per gli ammalati, per le visite in ospedale e anche animando i momenti di lunga attesa prima di entrare alle piscine. Hanno così la possibilità di venire a contatto con gli ammalati e con il mondo della sofferenza in modo, secondo me, molto particolare. Sperimentano la sofferenza e l’ammalato, non come la viviamo a casa in Ticino, ma in modo molto più vicino, più bello, più "da amici". L’ammalato è colui che mi ascolta e che io sono pronta ad ascoltare.

D: Il confronto con la malattia è un’esperienza evidentemente forma-tiva per i ragazzi (e anche per gli adulti) che vanno a Lourdes...

Maria-Antonia: Sì, io sto lavorando in Ticino con i ragazzi e ci si rende conto che spesso si cerca di evitare ai bambini certe esperienze di sofferenza, di malattia, di dolore, perché non sono pronti per accoglierle, non si sa bene come reagiscono. A Lourdes la sofferenza è una componente importante che fa parte della vita. I bambini affrontano questo problema e si fanno molti meno problemi di quanto noi immaginiamo, proprio perché i malati a Lourdes sono il centro del pellegrinaggio.

Vivendo con noi, che ci prendiamo cura dei malati, entrano con noi guardando alla sofferenza e alla malattia come una componente "normale" della vita. L’importante è che poi ci si atteggi all’aiuto (che non è la compassione di fronte al "poverino che è malato") nel pieno rispetto della persona e che ci si metta al servizio.

D: I malati, quindi, don Erico, sono una risorsa della Chiesa?

Don Erico: Certamente. Quando Gesù diceva "I poveri li avrete sempre con voi", fra i "poveri" vedeva anche i sofferenti e i malati. Sono dei fratelli che sono un po’ "le ricchezze" della Chiesa, perché siamo chiamati a vivere la malattia non come una cosa che ti butta giù (certamente ci sono dei momenti in cui si è "giù"; uno che fa veramente l’esperienza del dolore ne sa più di me)... Per noi cristiani e per la Chiesa, il malato dovrà sempre essere al centro, non per dire che così possiamo fare tante belle cose, ma semplicemente perché il malato ci richiama all’essenziale, soprattutto quando un malato, non può più far niente... Eppure, soffre e s’offre. E' questo partecipare alla croce di Cristo. La malattia insegna, anche a noi che non abbiamo malattie particolari, a lasciare da parte tante cose che sono secondarie e andare all’essenziale. Il malato è una grande ricchezza nella Chiesa.

D: Lourdes è solo malattia?

Don Erico: A Lourdes faccio anche l’esperienza dell’universalità della Chiesa. Mi sembra che anche i nostri pellegrini fanno questa esperienza quando ci si trova per la messa internazionale e si fa questo "bagno" assieme agli altri pellegrini che vengono da tutte le parti del mondo. Si ritorna ricaricati anche di questa fede nella luce di Gesù Cristo. Quando si va a Lourdes occorre fare l’esperienza di tutti questi aspetti e poi portarli a casa.

Naturalmente troviamo questi segni anche nelle nostre chiese e nelle nostre parrocchie: la luce nelle candele, l’acqua benedetta, l’eucarestia, così come nei nostri paesi si incontra la sofferenza e la malattia. Ora a Lourdes si fa un’esperienza particolarmente forte attraverso la quale, poi, si ritorna ricaricati e si riprende proprio a rivivere tutti questi aspetti nel quotidiano.

D: Cosa vuol dire tornare a casa da Lourdes? Cosa significa per una maestra?

Maria-Antonia: Professionalmente lascia comunque un segno, perché nel mio lavoro c’è una parte di servizio alla società che deve crescere, che deve formare i suoi bambini per un futuro nel segno di alcuni valori che sono universali, al di là dell’essere cristiano o meno.

A Lourdes si accoglie il messaggio più religioso e più cristiano, però ci si rende conto che è nella stessa natura dell’uomo sviluppare i valori della condivisione, della pace, della collaborazione, per mettersi al servizio. Gli uomini devono imparare a mettersi al servizio fra di loro.

Questo io, anche a Lourdes, spero di poterlo imparare sempre di più per poterlo comunicare anche ai miei allievi.

Essi poi, se sarò testimone autentica di ciò che ho imparato, lo realizzeranno in forme diverse, nella loro vita famigliare, di gioco, di studio, in futuro nel lavoro, nel mettersi a disposizione della società, per aiutarla a crescere più solidale e umana.


La cassetta VHS

"Il Vescovo di Lugano a Lourdes"

sul pellegrinaggio diocesano del 1997

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