Progetto Sigrid Undset. Per una reale parità nella vita professionale
Consultorio delle donne 



Il picchiatore non è il criminale, non è l’alcolizzato, non è il tossico, non è il perduto da casinò. E’ un uomo normale con delle grosse difficoltà di gestione di sé stesso e del rapporto con gli altri, in particolare della sua donna ma delle donne in genere

Il Consultorio delle donne è nato nel 1985 a partire da un consultorio sulla salute. Con l’arrivo dei centri di pianificazione familiare ufficiali, il consultorio si è concentrato sulle problematiche legate ai problemi giuridici che le donne incontrano nella loro vita quotidiana.
Dopo un periodo in cui le consulenze avvenivano nei bar, si è aperto un ufficio.
Attraverso gli incontri, essenzialmente con donne, è emerso che la violenza fisica e psicologica, subita da parte del compagno, dei genitori o da altri, rappresentava un problema di proporzioni molto ampie.
Cinque anni dopo, nel 1990, veniva aperta la casa delle donne, una struttura protetta dove le donne che sono costrette ad allontanarsi da casa, a causa della violenza, possono trovare un rifugio temporaneo.
Nel corso di questi anni le richieste di consulenza sono aumentate, le donne sono la maggioranza, ma ci sono anche molti uomini che chiedono aiuto e annualmente si presentano 700/800 persone.
Il consultorio è un luogo dove c’è la possibilità di raccontare e mettere a fuoco i problemi e offre informazioni concrete su dove e a chi rivolgersi per il proprio problema personale, cercando in tutti i modi di attivare le risorse che ognuno ha, affinché ciascuno affronti il proprio problema in prima persona, assumendo le proprie responsabilità senza delegarle agli altri.
Sonny Buletti è la responsabile della struttura e presente dagli inizi. Le abbiamo rivolto alcune domande:

D: Nel corso di questi 15 anni di esperienza, la violenza in famiglia è emersa maggiormente; è perché ha la possibilità di essere espressa o c’è un cambiamento nel tessuto sociale?
R:
Fino ad un paio di anni fa avrei potuto dire che era solo il fatto di poterne finalmente parlare ma adesso, soprattutto con questa crisi economica, che ha reso più difficile tutto, si tende a perdere i propri freni legati ad un ambiente più sicuro. Secondo me c’è un aumento della violenza.

D: C’è un legame fra debiti, gioco, casino’ e violenza in famiglia?
R:
C’è un legame in quanto si tratta di comportamenti legati a una fragilità propria della persona. Non sono queste abitudini a rendere violenta la persona, ma la sua fragilità, la sua insicurezza, la sua svalorizzazione. Quando questo tipo di persona può imporsi, manifestare un potere illusorio se non fra le mura domestiche, laddove vi sono persone più deboli di lui e ricattabili?

D: Dalle statistiche, risulta che la maggior parte delle persone che si rivolgono a voi, sono di nazionalità svizzera.
R:
La popolazione che arriva al Consultorio è ancora prevalentemente svizzera. Sono uomini, donne, copertine/coppie di tutti i ceti sociali. Alla Casa delle donne, che offre uno spazio dove donne e bambini stanno a vivere per un certo periodo di tempo, la popolazione è invece prevalentemente straniera. Questo non perché sono le straniere ad essere maggiormente picchiate, ma perché, proprio essendo straniere hanno meno risorse, conoscono meno persone che possano dare una mano e meno soldi per prendersi un appartamento o una camera nei momenti di urgenza.

D: Quando una donna arriva ad esprimere il dramma che sta vivendo all’interno della sua famiglia, che tipo di sostegno ha per affrontare il partner che se è violento prima continuerà probabilmente ad esserlo anche dopo?
R:
Durante la fase cruciale ci si muove parecchio. Ci siamo noi, i servizi, l’Unità di intervento regionale nell’ambito della legge di aiuto delle vittime di violenza, psicologi, amici. Il problema è subito dopo la crisi, quando in teoria la donna dovrebbe riprendere in mano la propria vita e continuare. A quel momento purtroppo torna ad essere sola. Succede spesso che quando una donna si trasferisce con i figli in un appartamento, l’uomo non la lascia in pace: suona il campanello, la perseguita telefonicamente o la pedina. Se si fa intervenire la polizia, non si fa trovare. Le donne vivono un periodo abbastanza buio, fino a quando il partner non ha esaurito la sua dose di rabbia, e non comincia a rassegnarsi al fatto che la persona con cui viveva prima non è più con lui e che ha diritto a vivere un’altra vita. Sono situazioni dure anche perché spesso, se si vive in un palazzo, gli altri inquilini se la prendono con chi causa il disturbo vivendo lì, quindi non con l’uomo che arriva a creare problemi, ma con la donna che ha scelto un marito così. E a volte capita che vengano invitate ad andarsene.

D: Quindi il violento finisce con l’essere più protetto di chi subisce la violenza?
R:
Manca una chiara condanna sociale alla violenza. Quando un uomo è violento verso la moglie e a volte si tratta di una famiglia dove ci sono tre o quattro bambini, è comunque la donna con i figli che deve allontanarsi da casa per tutelarsi. Se vuole denunciare il partner o il compagno che l’ha picchiata, deve fare una querela di parte, quindi vuol dire che è lei che deve assumersi il dovere di fare questa denuncia, ma anche i rischi.
Denunciare il padre dei suoi figli significa mettersi di fronte alla reazione del partner che può magari capirla e frenarsi, ma anche diventare molto più violento. E’ a questo livello che, secondo me, bisognerebbe introdurre dei cambiamenti. Non sono a favore di una condanna, non dico che chi picchia deve finire in prigione, anche perché penso che non serva a niente.
Però ritengo necessario che vi sia una condanna chiara del comportamento violento e che vengano create delle strutture per cui la persona violenta, (che tra l’altro è una persona assolutamente normale può essere ricco, povero, del ceto medio, medico o operaio...ne abbiamo visto di tutte le categorie) possa capire che il suo comportamento è sbagliato e trovare altri metodi per sfogare la propria rabbia, la propria frustrazione, la propria tristezza. Potrebbe essere utile, forse, che nei primi due o tre giorni dalla fuga della moglie il marito venga bloccato, perché è in questo frangente che esplode la rabbia e la tristezza e la solitudine. Successivamente misure repressive non hanno alcuna funzione effettiva.

D: È anche una vostra sensazione che le vittime di violenza dopo la crisi più acuta spesso si rimettono in situazioni a rischio, tornando dal loro aggressore?
R:
Sì, è un fenomeno studiato a livello mondiale, sembra che la violenza instauri un tipo di dipendenza simile a quella delle droghe. Quindi si concorre in due, c’è questo stato di violenza dopo il quale c’è un pentimento dell’uomo che trova le sue parti migliori, la copertine/coppia vive gli unici momenti belli. Questi attimi belli permettono alla donna di credere dentro di sé che le cose siano cambiate, anche se una parte razionale sa che non è vero, ma le permette di fare questo gioco. Inoltre nella realtà sociale attuale non si hanno grandi risorse che permettano di cercarsi un’altra casa e un altro lavoro. Ma quello che è più tragico, è che benché vittima di una violenza fisica o psicologica, la donna si rende conto che il fragile è lui, che è lui che non ha le risorse per poter vivere normalmente e malgrado la violenza tende a volerlo proteggere. Tutto questo fa sì che finché proprio la goccia non ha fatto traboccare il vaso, la donna tende a dare un’altra possibilità alla vita insieme.

D: Quali obiettivi auspicate si realizzino a livello di sensibilizzazione e presa di coscienza sociale?
R:
In altri Stati sono stati creati dei gruppi per gli uomini picchiatori, sul genere dei gruppi per gli alcoolisti, dove, con l’aiuto di terapeuti, la persona può prendere atto della propria violenza e può cercare delle alternative.
Quello che noi auspichiamo è che in futuro possa venire creato anche in Ticino uno spazio di questo genere, ma da subito chiediamo che ci si renda conto che il problema esiste, che il picchiatore non è il criminale, non è l’alcoolizzato, non è il tossico, non è il perduto da casino’. E’ un uomo normale con delle grosse difficoltà di gestione di sé stesso e del rapporto con gli altri, in particolare della sua donna ma delle donne in genere.
Chiediamo che in questo ambito venga dato un aiuto doppio: alla donna per le violenze che ha subito e i traumi che ne derivano e all’uomo violento perché possa uscirne. Però, ripeto, per poter arrivare a questo dobbiamo prima di tutto ammettere che la violenza esiste e che è condannabile, in tutti i suoi aspetti.

 

CONSULTORIO DELLE DONNE
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